Ortodossia - Italian Flowers of Orthodoxy 1

 https://theflowersoforthodoxy.blogspot.com

The Flowers of Orthodoxy









Ortodossia


Italian Flowers of Orthodoxy 1


ORTHODOX CHRISTIANITY – MULTILINGUAL ORTHODOXY – EASTERN ORTHODOX CHURCH – ΟΡΘΟΔΟΞΙΑ – ​SIMBAHANG ORTODOKSO NG SILANGAN – 东正教在中国 – ORTODOXIA – 日本正教会 – ORTODOSSIA – อีสเทิร์นออร์ทอดอกซ์ – ORTHODOXIE – 동방 정교회 – PRAWOSŁAWIE – ORTHODOXE KERK -​​ නැගෙනහිර ඕර්තඩොක්ස් සභාව​ – ​СРЦЕ ПРАВОСЛАВНО – BISERICA ORTODOXĂ –​ ​GEREJA ORTODOKS – ORTODOKSI – ПРАВОСЛАВИЕ – ORTODOKSE KIRKE – CHÍNH THỐNG GIÁO ĐÔNG PHƯƠNG​ – ​EAGLAIS CHEARTCHREIDMHEACH​ – ​ ՈՒՂՂԱՓԱՌ ԵԿԵՂԵՑԻՆ​​ / Abel-Tasos Gkiouzelis - https://gkiouzelisabeltasos.blogspot.com - Email: gkiouz.abel@gmail.com - Feel free to email me...!

♫•(¯`v´¯) ¸.•*¨*
◦.(¯`:☼:´¯)
..✿.(.^.)•.¸¸.•`•.¸¸✿
✩¸ ¸.•¨ ​



<>


"Io esisto, cercami!". - La conversione del monaco ed eremita olandese Jozef van den Berg (+2023), ex attore, dall'ateismo all'ortodossia


Jozef Van den Berg è stato un ex mimo olandese e un grande attore teatrale famoso. È nato il 22 agosto 1949 a Beers, nei Paesi Bassi, e non aveva alcuna relazione con Dio, era ateo. Era sposato e aveva quatro figli. Tutto è cambiato un giorno, in uno spettacolo in cui interpretava il ruolo di un ateo e diceva: "Non c'è Dio, non c'è Dio". Poi sente una voce dentro di sé che gli dice: "Io esisto, cercami!". Da quel momento qualcosa è cambiato in lui. Lo ha davvero cercato e trovato!
In particolare, aveva una buonissima amica  e lei lo informò che conosceva San Porfirio e che sarebbe andata in Grecia  e se voleva scrivergli una lettera gliela avrebbe data. 

Quando la sua amica arrivò in Grecia e si recò da San Porfirio e quando gli parlò di Jozef, lui raggiante di gioia le disse che doveva vederlo. Infatti avvenne che Giuseppe andò e lo trovò in Grecia. San Porfirio parlò a Jozef dell'Ortodossia. Mentre in Grecia incontrò San Paisios sul Monte Athos. Incontrò anche San Sofronio Sacharov nell'Essex, in Inghilterra. Miracolosamente qualcosa cambiò dentro di lui e decise di abbandonare tutto, soldi, fama, famiglia, amici, pubblicità per diventare un cristiano ortodosso e vivere da eremita in una capanna nella foresta di Neerjinen, nei Paesi Bassi.

Le uniche cose che portò con sé quando partì alla ricerca di Dio furono una bicicletta e un baule con pochi vestiti. Fu battezzato e divenne un cristiano ortodosso. La sua capanna era visitata quotidianamente da molte persone, anche da sacerdoti e vescovi di tutto il mondo. Recentemente è venuto in Grecia per motivi di salute, dove è stato ricoverato e si è addormentato in Signore all'età di 74 anni nell'ottobre 2023 in un monastero di Soho, vicino a Salonicco. Era malato di cancro e non poteva camminare, quindi era costretto su una sedia a rotelle.

<>





Un giovane trovandosi ad Atene, Grecia, nel 1963 durante i mesi estivi, fu tentato dalla carne oltre le sue forze. Decise di porre fine alle lotte di temperanza, perché, come diceva, non poteva più sopportare il peso della carne. Pensò al suo Anziano, l'Anziano Amfilochios Makris di Patmos, ma era troppo lontano per aiutarlo. Lasciò la sua casa e si diresse verso il centro di Atene. Si stava facendo buio. Il percorso durò un'ora. Continuava a pregare, ma la fiamma della carne non si raffreddò. Così, il giovane, che non era mai stato al cinema, si disse: " Inizierò con un film vietato", che proiettava in quel tempo al cinema Rex. Comprò il biglietto e si fermò davanti  ai manifesti pubblicitari. Inesperto com'era, non capiva quasi nulla. Dopo aver strizzato gli occhi per guardare, girò il viso nel caso qualcuno che conosceva lo vedesse. E lì accanto a lui c'era la figura dell'Anziano Amfilochios in lacrime! Tutto si fermò lì. Tornò a casa e pianse amaramente come Pietro.


<>




Come comportarsi con rispetto in una chiesa ortodossa

L'interno di un tempio ortodosso, accuratamente predisposto per riflettere il cielo sulla terra, richiama tutti coloro che vi entrano (siano essi fedeli assidui o semplici visitatori) a un comportamento riverente e adeguato alla santità del luogo.

Quelle che seguono non sono norme fisse e vincolanti, ma una guida per promuovere l'ordine e il decoro nella chiesa. Poiché i suggerimenti provengono per la maggior parte da chiese di tradizione russa, è opportuno notare come in altre tradizioni locali vi siano usanze leggermente differenti.

I consigli sono rivolti a una persona che entra in una chiesa ortodossa alla ricerca di un punto di rifugio dalle intemperie della vita: idealmente, si tratta di ciascuno di noi.

Atteggiamento interiore ed esteriore

Entra nel tempio con un senso di gioia spirituale. Sei di fronte a Colui che promise di dare conforto agli afflitti: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò." (Matteo 11:28). Entra con mitezza, nello spirito del pubblicano del Vangelo, che uscì dal tempio giustificato. Mentre contempli il Volto del Signore e dei santi nelle icone, ricorda come allo stesso tempo essi ti stanno guardando.

Partecipazione

Anche se sei solo in visita occasionale, prega nel tempio come un pieno partecipante, e non come un mero spettatore. Così le preghiere che vengono lette e cantate proverranno anche dal tuo cuore. Segui con attenzione le funzioni, e la tua preghiera non sarà solo personale, ma si unirà alla grande preghiera dell'intera Chiesa di Cristo. Ricorda che le funzioni non sono un tempo per la preghiera privata, ma per la condivisione della grande preghiera della Chiesa.

Orario di arrivo

Cerca di arrivare sempre in tempo, prima dell'inizio delle funzioni. Arrivare in ritardo può capitare e talvolta capita, ma non è certo qualcosa di cui andare fieri. Se, per qualche ragione di forza maggiore, sei in ritardo, abbi cura di non interferire con le preghiere di chi è entrato prima di te. Se arrivi proprio durante la lettura dell'Epistola o del Vangelo, è bene attendere fino alla fine della lettura per entrare o muoverti.

Se arrivi prima della funzione, puoi passare il tempo a prepararti interiormente per la funzione: a un certo punto della Divina Liturgia, durante l'Inno dei Cherubini, ti verrà chiesto di "deporre ogni affanno della vita."

Entrando nel tempio

All'ingresso nel tempio, fatti il segno della croce per tre volte, accompagnando ogni volta il segno di croce con un inchino fino alla cintola. Esistono diverse formule che accompagnano i tre segni di croce, basate sulla preghiera del pubblicano del Vangelo, accompagnate da richieste di intercessione alla Madre di Dio e ai Santi: queste ti ricordano che ti stai preparando essenzialmente a un incontro.

Dopo l'ingresso

Non fermarti di fronte all'entrata, per non bloccare la strada degli altri che entrano per pregare. Muoviti con tranquillità e naturalezza: in un tempio ortodosso puoi andare a occupare il posto che desideri, e se lo vuoi puoi anche cambiare posto nel corso della funzione. Ricorda soltanto che, se passi di fronte alle Porte Sante dell'iconostasi, è bene fermarti un attimo e fare il segno della croce.

Incontri e conversazioni

Quando arrivi, saluta gli amici in silenzio, con un sorriso, un cenno del capo o un inchino. Nella chiesa, evita le strette di mano o gesti simili, anche con amici o parenti stretti, e non metterti a conversare con loro. Vi sono alcuni gesti permissibili in società, che in chiesa diventano quanto mai equivoci: un esempio è baciare la mano alle donne, che si confonde con i gesti di venerazione degli oggetti sacri, e che si dovrebbe assolutamente evitare. Se è necessario parlare (per esempio per chiedere informazioni o assistenza), cerca di farlo con il minimo di disturbo.

Uomini e donne

Secondo un antico costume, uomini e donne occupano nel tempio posti separati. A seconda della disposizione architettonica del tempio, e di usi locali, potrai trovare le donne sulla sinistra e gli uomini sulla destra, oppure le donne sul retro e gli uomini di fronte. Cerca di adeguarti anche tu a questa disposizione.

Vestiti

La Chiesa ortodossa è solitamente piuttosto severa in tema di abbigliamento dei fedeli. Oltre alle comprensibili raccomandazioni sulla modestia e decenza del vestiario (in chiesa non si va per suscitare curiosità e attrattiva fisica), ci sono due importanti regole bibliche da seguire:

-Le donne non dovrebbero vestirsi con indumenti maschili, e viceversa (Deuteronomio 22,5): questa è una ragione per cui in molte chiese ortodosse, anche in Occidente, una donna che porta i calzoni si considera vestita in modo sconveniente.

- Le  donne dovrebbero coprirsi il capo in chiesa, e gli uomini dovrebbero restare a capo scoperto (I Corinzi 11,5). Fanno eccezione i copricapi dei monaci e del clero: questi hanno significati simbolici, e quanti li indossano devono ricevere speciali benedizioni.

Postura

Nel tempio dovresti di norma stare in piedi. In caso di malattia o di stanchezza, ti è permesso sedere. I posti per le persone malate o anziane sono talvolta limitati, per cui abbi cura che ne possa usufruire anche chi ne ha più bisogno di te. Se ti siedi, abbi cura di rimanere in una posizione composta, ed evita di incrociare le gambe.

Non passare il tempo a osservare o scrutare cosa fanno gli altri. Oltre che a evitare di farti esprimere giudizi, questa disciplina ti aiuterà a concentrarti sulle funzioni, e con tutta la complessità dei riti e dell'iconografia non avrai certo tempo di annoiarti.

Bambini

Se porti bambini alle funzioni, assicurati che si comportino con tranquillità, e senza fare rumore (il miglior modo è offrire loro un buon esempio: ricorda che i bambini imitano istintivamente l'atteggiamento degli adulti che li accompagnano). Se i bambini si mettono a piangere o non riescono a stare in silenzio, accompagnali tranquillamente fuori. Insegna loro a rispettare il tempio, segnandosi all'ingresso e all'uscita, e istruiscili nella pratica della preghiera.

Non permettere ai bambini di mangiare o bere qualcosa all'interno del tempio: l'eccezione è costituita ovviamente dalla Santa Comunione e dal pane benedetto distribuito dopo la Liturgia. Questa regola non vale solo per i bambini, e va rispettata per sottolineare l'importanza del nutrimento dello spirito.

Icone

Dopo i segni della croce all'ingresso, puoi andare a venerare le icone. Tipicamente l'icona viene venerata con un bacio, anche se tra alcuni popoli è consuetudine anche appoggiare la fronte all'icona dopo averla baciata. Per ovvie ragioni, è opportuno che nel tempio le donne non portino rossetto sulle labbra! Il punto preciso del bacio dipende dal tipo di icona, ma preferibilmente dovrebbe coincidere con il luogo dove ci si aspetta un bacio rituale (la mano di Cristo, un libro dei Vangeli, l'orlo di una veste); per questa ragione, nelle icone non si baciano di solito i volti.

Di solito, si venera l'icona del Santo patrono o della festa del giorno, posta su di un analoghio (leggìo) nel mezzo del tempio, e quindi le icone di Cristo e della Madre di Dio. Nulla ti vieta, comunque, di andare a venerare icone di tua scelta. Se al momento del tuo arrivo la funzione è già iniziata, può essere meglio che tu ti astenga dall'andare a venerare le icone, perché a questo punto il tuo passaggio in mezzo agli altri fedeli può disturbare la loro preghiera.

Dopo aver venerato le icone, puoi seguire l'antico costume di chiedere perdono ai presenti, inclusi gli angeli che sono già tra loro. Anche senza chiedere esplicitamente perdono, è sufficiente fare un inchino fino alla cintola, portando la mano destra a terra. Se sei nella congregazione mentre qualcuno si inchina a chiederti perdono, inchinati a tua volta, ripetendo il suo gesto: è il modo in cui i fedeli accolgono la richiesta di perdono, rivolgendosi a Dio come alla fonte di ogni perdono.

Candele

Prepara prima di arrivare alla funzione il denaro che offrirai per le candele: eviterai di fare rumore e di causare distrazioni. Dopo avere lasciato l'offerta, prendi le candele, che potrai accendere di fronte all'icona che desideri. Abbi cura, se vedi tante candele già accese in un certo punto, di non accumularne troppe una vicino all'altra (il calore le farebbe fondere e piegare tutte assieme, con scarso effetto estetico e un reale pericolo di incendio).

Offerte

Come per le candele, è bene preparare in anticipo il denaro per tutto quanto è d'uso offrire nella chiesa (per le liste dei viventi e dei defunti da commemorare, per le piccole prosfore che si accompagnano alle liste dei nomi nell'uso russo, per la questua, etc.). Mettersi a contrattare per cambiare denaro nel tempio del Signore non è proprio un comportamento adatto ai cristiani...

Se hai altre questioni monetarie in sospeso con la chiesa (pagamento di quote parrocchiali, offerte per speciali intenzioni, e così via), cerca di non risolverle in alcun modo durante le funzioni.

Gesti rituali

Segui le funzioni con il tuo corpo non meno che con la tua mente. La pietà ortodossa è ricca di azioni che coinvolgono nel culto tutta la persona. Segnati ogni volta che senti il nome della Santa Trinità o qualche preghiera che ti coinvolge in modo personale. Agli incensamenti e nelle benedizioni che il prete fa con la mano, la risposta appropriata è inchinarsi al prete: in questi casi, segnarsi non è necessario. Ci si segna invece quando il prete benedice con qualche oggetto (la croce, il libro dei Vangeli, il calice con i Santi Doni, etc.). Se servi come lettore o corista, non hai l'obbligo di segnarti se tale azione ti può causare disturbo alla lettura o al canto.

Errori

Non condannare gli errori fatti dai celebranti o dagli altri fedeli, anche se ti capita di notare un atteggiamento sconveniente (se entriamo nel tempio per chiedere a Dio di perdonare i nostri peccati, non è salutare fissarci su quelli altrui). Se proprio devi cercare di porre rimedio a una situazione di grande inadempienza, cerca di farlo dopo la fine delle funzioni, e in modo quanto più riservato possibile.

Momenti di particolare riverenza

Vi sono alcune parti delle funzioni in cui è bene evitare del tutto i movimenti che possono creare intralcio o distrazione: bisogna cercare di non entrare o uscire dal tempio,  muoversi, accendere o spegnere candele o venerare icone durante i seguenti momenti:

Grande Veglia

Piccolo ingresso (con il turibolo)
Lettura dell'Esapsalmo
Ingresso con il Vangelo e lettura del Vangelo Aurorale
Canto del Magnificat ("Più insigne dei Cherubini..." ) e della Grande Dossologia
Divina Liturgia

Piccolo Ingresso (con il Vangelo)
Lettura dell'Apostolo e del Vangelo
Canto dei Cherubini e Grande Ingresso (con i Santi Doni)
Canto del Credo e Canone Eucaristico (che inizia con Misericordia di Pace..." e termina con la benedizione del prete "E siano le misericordie...").
Canto del Padre Nostro.
Lettura della preghiera prima della comunione: "Credo, Signore, e confesso..."
La Santa Comunione

Accostati con grande rispetto alla Santa Comunione, nell'atteggiamento richiesto nella chiesa dove ti comunichi (nelle chiese di tradizione russa, tieni le mani incrociate sul petto). Se, dopo aver ricevuto la comunione, ti viene chiesto di baciare il calice, fallo senza segnarti, per non rischiare di capovolgerlo incidentalmente. Coloro che si comunicano dovrebbero rimanere nel tempio mentre vengono lette le preghiere di ringraziamento per la comunione, dopo la Liturgia. Se per ragioni di forza maggiore non possono restare, sono comunque tenuti a recitare in privato le preghiere di ringraziamento.

L'antidoro

Quando ricevi l'antidoro (il pane benedetto) dopo la Liturgia, abbi cura di non spargerne a terra delle briciole, e se accompagni dei bambini a ricevere l'antidoro, presta particolare attenzione a che non lo facciano cadere. Puoi chiedere di portare a casa uno o più pezzi di antidoro, per dividerli con la tua famiglia: in tal caso cerca di avere un fazzoletto pulito o un altro recipiente adatto a contenere l'antidoro, e se puoi aspetta che tutti abbiano ricevuto il proprio pezzo (soprattutto quando i fedeli sono tanti), in modo da non privare qualcuno della propria parte.

Dopo la funzione

Se non c'è una necessità estrema, non lasciare il tempio prima della fine della funzione.

Il silenzio che dovrebbe accompagnare lo svolgimento di una funzione dovrebbe essere mantenuto anche dopo la conclusione, per lo meno finché i fedeli vanno in fila a venerare la croce e, nel caso della Liturgia, a ricevere l'antidoro. Durante questo momento, è stabilito che un lettore legga le preghiere di ringraziamento dopo la comunione: siccome queste preghiere sono recitate e non cantate, il rumore di una conversazione è in tale occasione ancora più fastidioso.

Spesso le funzioni ortodosse prevedono, dopo il termine della preghiera, un momento di aggregazione sociale: rimanda a tale momento tutte le tue necessità di incontri e conversazioni mondane.


<>






55 massime

di padre Thomas Hopko

Sii sempre con Cristo.
Prega come puoi, non come vuoi.
Usa una regola di preghiera che puoi mantenere con disciplina.
Cerca di dire il Padre Nostro diverse volte al giorno.
Ripeti costantemente una breve preghiera quando la tua mente non è occupata da altre cose.
Fai qualche prosternazione mentre preghi.
Mangia con moderazione.
Mantieni le regole di preghiera della Chiesa.
Passa qualche tempo in silenzio ogni giorno.
Fai gesti di misericordia in segreto.
Vai regolarmente alle funzioni liturgiche.
Vai regolarmente alla confessione e alla comunione.
Non perderti in pensieri e sentimenti invadenti. Tagliali via appena sorgono.
Rivela tutti i tuoi pensieri e sentimenti a una persona fidata.
Leggi le Scritture regolarmente.
Leggi buoni libri un poco alla volta.
Coltiva un rapporto di comunione con i santi.
Sii una persona ordinaria.
Sii educato con tutti.
Mantieni pulizia e ordine nella tua casa.
Cerca di avere un passatempo sano e costruttivo.
Fai regolarmente esercizio fisico.
Vivi ogni giorno e momento volta per volta.
Sii del tutto onesto, prima di tutto con te stesso.
Sii fedele nelle piccole cose.
Fai il tuo dovere, e poi dimenticatene.
Fai prima le cose più difficili e dolorose.
Affronta la realtà.
Sii grato in tutte le cose.
Sii allegro.
Sii semplice, nascosto, quieto e umile.
Non attirare mai l’attenzione su te stesso.
Ascolta quelli che ti parlano.
Sii sveglio e attento.
Pensa e parla non più di quanto è necessario.
Quando parli, fallo in modo semplice, chiaro, fermo e diretto.
Tieniti lontano dall’immaginazione, dalle analisi, dalle deduzioni.
Fuggi i pensieri carnali e sensuali alla loro prima comparsa.
Non lamentarti, lagnarti, borbottare o mormorare.
Non paragonarti a qualcun altro.
Non cercare o aspettarti lode o commiserazione da chiunque.
Non giudicare alcuno per alcun motivo.
Non cercare di convincere alcuno.
Non difendere o giustificare te stesso.
Lasciati definire e limitare solo da Dio.
Accetta le critiche con gratitudine, ma mettile criticamente alla prova.
Dai consigli agli altri solo quando ti è richiesto o quando sei obbligato.
Non fare per gli altri nulla di ciò che potrebbero e dovrebbero fare da soli.
Fatti una routine di attività giornaliere, evitando velleità e capricci.
Sii misericordioso con te stesso e con gli altri.
Non avere aspettative se non di essere tentato fino al tuo ultimo respiro.
Focalizzati solo su Dio e sulla luce, non sul peccato e sulle tenebre.
Sopporta in pace, serenamente il giudizio su te stesso e le tue colpe e peccati, sapendo che la misericordia di Dio è più grande della tua miseria.
Quando cadi, rialzati immediatamente e ricomincia da capo.
Fatti aiutare quando ne hai bisogno, senza paura e senza vergogna.


<>









Il caso delle reliquie dell’arcivescovo Dmitri di Dallas, Stati Uniti d'America (+2011)

L’arcivescovo Dmitri di Dallas (al secolo Robert Royster, 1923-2011) è stato uno dei più famosi convertiti all’Ortodossia, noto come scrittore e predicatore. Pochi giorni fa, quattro anni e mezzo dopo la sua morte, il corpo di vladyka Dmitri è stato traslato in una nuova cappella funeraria, ed è stato trovato incorrotto.

Rod Dreher, il blogger ortodosso di cui abbiamo ospitato alcuni articoli sul nostro sito, ha pubblicato un post entusiasta dal titolo “Dallas ha un santo”, annunciando l’incorruttibilità del corpo come segno sicuro di santità... salvo poi notare, in un onesto post-scriptum, che un corpo incorrotto non è un criterio incontrovertibile di santità, e quest’ultima è una caratteristica che spetta alla Chiesa di stabilire, dopo un lungo discernimento.

Da parte nostra, non ci dispiacerebbe affatto vedere l’arcivescovo Dmitri oggetto di un processo di canonizzazione. A suo tempo, ci siamo dati da fare per far tradurre un suo libro in italiano, e abbiamo sempre ammirato la sua lunga testimonianza dell’Ortodossia dopo la sua conversione (un cammino di ben 70 anni!).


<>








Dai detti dei Padri del Deserto

Un giorno Abba Antonio ricevette una lettera dall’imperatore Costanzo che gli chiedeva di recarsi a Costantinopoli e si domandava se fosse il caso di andare. Così disse ad Abba Paolo, suo discepolo, “Devo andare?” Egli rispose: “Se andrai, sarai chiamato Antonio; ma se rimani qui, sarai chiamato Abba Antonio”.

(Dai detti dei Padri del Deserto)


<>







La conversione di un francese cattolico romano all'Ortodossia

Un miracolo di Santa Xenia di San Pietroburgo, Russia


Di seguito riportiamo il racconto di un abitante della Francia che è stato benedetto dalla Santa ai nostri giorni.

Un dentista francese con una clinica privata a Parigi è stato ferito in un incidente stradale ed è dovuto rimanere in ospedale per alcuni giorni. Cattolico romano di religione, ma indifferente alla fede, osservava il paziente nel letto accanto a lui, un emigrato russo che  di note pregava nel reparto, e rideva di lui alle sue spalle. Poiché le lunghe preghiere del russo continuarono per tutti i giorni in cui rimase lì, il dentista pensò bene di prendere in giro l'uomo che pregava, schernendolo anche con quelli delle altre stanze.

Ma dopo quella prima sera in cui cominciò a deriderlo insieme agli altri, era impossibile per lui addormentarsi. All’ improvviso, la porta del reparto si aprì e apparve una donna in abiti maschili e con un bastone in mano, dirigendosi verso il suo letto. Lui fu sorpreso. Le sue  caratteristiche facciali  erano sconosciute; aveva un viso dolce e strano. 

-Cosa vuole, signora? Non ho niente da darle. Chi l’ ha fatta entrare qui?".

- "Sono venuta a dirti", gli disse sollevando il bastone, "di smettere di ridicolizzare Yuri quando prega, perché rimarrai qui ancora per molto tempo, e sarai tu a chiedere le sue preghiere". 

E infatti, nei giorni successivi gli fu diagnosticata una grave insufficienza cardiaca e rimase in ospedale per tre mesi.

Ad un certo punto Yuri lo visitò, e quando il francese gli rivelò la sua visione che aveva avuto, cominciò a parlargli di Santa Xenia e dell'Ortodossia.

Oggi il francese è un membro attivo della comunità ortodossa francese. Lo scorso dicembre ha  battezzato la sua neonata con il nome di Xenia in onore della Santa e in ricordo della sua miracolosa conversione.


<>







San Filareto l’ortolano di Seminara, Italia (+1070) 

8 aprile


Filareto nacque nel 1020 a Palermo, anche se taluni studiosi sostengono che egli sia nato nella zona del Val Demone, territorio ricompreso tra la provincia montuosa di Messina, Caronia e Catania. Le vicende personali e familiari del giovane Filippo si intrecciarono con quelle storiche che contrassegnarono l’Italia meridionale e, specificamente i territori che a partire dall’imperatore Leone III l’Isaurico passarono sotto la giurisdizione dell’impero di Costantinopoli. Infatti, battezzato con il nome di Filippo, in omaggio al grande esorcista di Agira (EN), detto appunto “scacciaspiriti”, egli visse a Palermo, in un ambiente in cui vi era una preponderante presenza musulmana, fino a 18 anni, quando l’imperatore di Costantinopoli Michele IV Paflagone (1034-1041) con una invasione condotta dal grande generale macedone Giorgio Maniace cercò di liberare la Sicilia dal giogo musulmano che si concluse con la vittoria temporanea di Troina del 1040. In tale età, Filippo su ispirazione divina si trasferì insieme alla famiglia a Sinopoli (RC). A 25 anni Filippo si ritirò nella valle delle Saline, che oggi è identificabile con la zona di Seminara (RC) e dintorni. Qui il santo ricevette l’ordinazione monastica ad opera dell’igumeno Oreste del Sacro Imperiale monastero delle Saline, fondato da Sant’Elia il Giovane nell’880, originario di Enna, a cui appunto l’imperatore Leone IV il Sapiente gli conferì il titolo “imperiale”. Tale monastero è il principale insediamento religioso in un’area che secondo taluni studiosi vedeva tra eremi, skiti e piccoli cenobi, circa un centinaio di luoghi vissuti unicamente da monaci e che senza alcun dubbio diedero vita ad un’importante scuola monastica da cui uscirono molti santi italo-greci. L’igumeno diede a Filippo il nome di Filareto che significa “amante della virtù”. Della dura ascesi che praticava Filareto ci è giunto poco da un bios scritto da un monaco Nilo, che, probabilmente è vissuto in un periodo differente dal santo. Quel che ci giunge del santo di Seminara, lo connota come maestro del silenzio e dell’umiltà, in quanto trascorreva gran parte del suo tempo a pascolare gli animali, quando gli fu affidato il compito di pastore, aiutando coloro che si trovavano in montagna a pascolare il loro bestiame, aiutando coloro che si erano persi o si erano infortunati. Al punto da divenire il loro padre spirituale. Successivamente fu un instancabile coltivatore per conto del monastero, quando gli fu assegnato un appezzamento di terra, che lui coltivava avendo sempre addosso una pesante catena, che gli doveva tener viva in mente l’idea della schiavitù del peccato e per l’afflizione del corpo, vestito unicamente di una tunica di paglia. Il suo duro lavoro rendeva molti frutti che il santo donava anche ai poveri che in quel tempo si erano moltiplicati esponenzialmente per via delle guerre che infuriavano in quel periodo. L’ascesi di Filareto si basò inoltre in lunghe veglie ed estenuanti digiuni, spesso si nutriva di erbe bollite, vino, il sale fu una rara prelibatezza e del pane che gli forniva il dispensiere al termine della Divina Liturgia, alla quale il santo si recò, unicamente, a seguito della nomina di ortolano, e quando il medesimo non gli forniva la razione settimanale di pane, Filareto faceva ritorno nella propria capanna senza dir nulla. La sua vita solitaria e silenziosa, infatti la sua partecipazione alle funzioni avveniva silenziosamente in un angolo della chiesa tenendo gli occhi bassi e la testa ancor di più, si nutriva di una fervorosa preghiera che recitava nella sua capanna, spoglia, ma come scrisse l’agiografo estremamente ricca, rigorosamente con la porta aperta, perché i fedeli non dovevano pensare che lui stesse pregando. Tutto ciò lo rese sicuramente poco conosciuto ai suoi fratelli contemporanei e, sicuramente, a quelli successivi alla sua dormizione, in quanto solo grazie ad un miracolo si venne a conoscenza della umile santità di Filareto. Infatti, quando egli si ammalò gravemente, i confratelli lo portarono nel monastero e fattolo distendere sul letto lo lasciarono riposare, credendo che avesse energie sufficienti per poter vivere, per cui lo privarono della necessaria assistenza ed il santo si addormentò nel silenzio e nella solitudine, così come condusse la sua vita. Il giorno seguente i confratelli gli celebrarono il funerale, senza tener conto del profumo che emanava il suo corpo e deposero i suoi vestiti accantonandoli senza dargli un’adeguata conservazione, ma dopo il miracolo, che si narra a breve, i fratelli si ricordarono dei suoi vestiti e fattili a pezzi vennero distribuiti ai fedeli come reliquie. Nella vita è documentato che una donna affetta da cecità, a seguito di una grave emorragia celebrale, si recò sulla tomba ad implorare l’aiuto di Sant’Elia il Giovane, che era estremamente vivo nella devozione dei fedeli a causa dei suoi innumerevoli miracoli, per ricevere un’intercessione miracolosa. In una visione gli apparve il santo che gli disse di rivolgersi alla tomba di San Filareto, che era in grado di guarirla. La donna chiese ai concittadini del santo, ma non ebbe alcuna informazione e, quindi, si recò presso il monastero chiedendo di potersi recare sulla sua tomba, ma i monaci, ovviamente, non conoscevano alcun Filareto e la donna fu licenziata senza potersi recare sulla sua tomba. Ciò la gettò in un profondo dolore, visto che dell’unico monaco che poteva guarirla non si aveva alcuna notizia in quel monastero. Ma un confratello ricevette l’illuminazione divina che il Filareto cercato dalla donna, fosse colui che si era addormentato due anni prima. La donna fu invitata a recarsi a pregare sulla sua tomba e durante la preghiera ella ricevette nuovamente la vista. Tale miracolo consentì di annoverarlo tra i santi asceti italo-greci. Questo fu il primo di innumerevoli miracoli, al punto che fu costruito un oratorio sulla tomba del santo e dove molta gente ricevette le intercessioni miracolose. Nel 1133 il monastero venne costruito sulle rovine dell’originario e dedicato ai Santi Elia e Filareto. Però, si assistette ad un fenomeno curioso, in quanto la devozione di San Filareto si sviluppò enormemente al punto che il monastero venne successivamente conosciuto unicamente con il nome del santo ortolano, facendo così vivere alla sua ombra quello del fondatore ovvero Sant’Elia. Risulta essere un paradosso in quanto l’umile ortolano era estremamente devoto del santo fondatore, al punto da portare sempre con sé il libro della sua vita. Il Sacro monastero fu distrutto dal terribile terremoto del 1693 ed è stato riedificato nei primi anni del secondo millennio. Il culto di San Filareto rinacque a Palermo per opera del Cardinale Giannettino Doria (1608- 1642), che lo inserì nel Calendario Palermitano. L’abate Generale dell’ordine basiliano di Palermo, Pietro Minniti, chiese la restituzione delle reliquie del santo palermitano affinché tornassero nella terra natìa ed il Papa Clemente XI le concesse con la motivazione che in quella città si venerano le sue reliquie. Così come attestato dallo stesso P. Abate Generale, che il 4 ottobre 1701 estrasse il braccio di San Filareto e lo portò con sé a Palermo. La traslazione fu celebrata con solenni suppliche il 14 gennaio del 1703 dalla chiesa di San Basilio sino alla Cattedrale. Ed in tale data fu inscritta la celebrazione nel martiriologio romano. La festa della traslazione fu celebrata sino al 1929, mentre quella del santo fino al 1958, anno in cui la sua festa fu definitivamente cancellata dal calendario liturgico romano. Presso il santuario della Madonna dei poveri di Seminara, di cui l’ultima riedificazione si ebbe nel 1929 a seguito del catastrofico terremoto del 1908, erano conservate sul lato sinistro del presbiterio in una nicchia: braccio-reliquario argenteo quattrocentesco di S. Filarete (prob. opera di L. De Sanguini, del 1451), con mano rifatta da D. Vervare nel 1605. Testa-reliquario argentea di S. Filareto, con iscrizione dedicatoria e datazione (opera di orafo messinese, datata a. 1717). San Filareto ci lascia un’importante insegnamento spirituale ovvero che il fine della lotta spirituale non è quello di acquisire necessariamente delle “soddisfazioni terrene”, bensì quella di anelare unicamente la salvezza eterna e di acquisire tesori spirituali, perché lì dove è il nostro tesoro, là è il nostro cuore.

Per le preghiere di San Filareto, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi misericordia di noi e salvaci. Amin!
~ Affresco di San Filareto, che si trova nel Catholikon del Monastero di Seminara.


Santi Italogreci

<>







Colui che biasima gli uomini malvagi e non prega per loro non conoscerà mai la grazia di Dio

Parecchi santi martiri hanno conosciuto il Signore e il suo aiuto tra le prove. Parecchi monaci hanno compiuto grandi slanci ascetici e sopportato penosi oneri per amore del Signore; pure loro hanno conosciuto il Signore e hanno lottato per vincere le passioni che li tormentavano. Essi pregavano per tutto il mondo e la grazia divina insegnava loro ad amare i nemici. Colui che non li ama non può conoscere il Signore che è morto sulla Croce per i propri nemici. Egli stesso ci ha lasciato un esempio da seguire e ci ha dato il comandamento d’amare i nostri nemici.
Il Signore è amore. Ci ha comandato di amarci gli uni gli altri e d’amare pure i nemici. Il Santo Spirito ci rivela l’amore.
L’anima che non ha mai conosciuto il Santo Spirito non comprende come si possa amare i nemici e non l’accetta. Ma il Signore ha compassione per tutti gli uomini e chiunque voglia essere con il Signore deve amare i suoi nemici.
Chi ha conosciuto il Signore nello Spirito Santo diviene simile a Cristo, come dice San Giovanni il Teologo: “Saremo simili a lui, poiché lo vedremo come egli è” e noi vedremo la sua Gloria.
Tu mi dirai che sono numerosi coloro che soffrono per ogni sorta di male e patiscono per la malizia degli uomini. Ma io ti dico di umiliarti sotto la potente mano di Dio e la Grazia t’istruirà e, tu stesso, vorrai soffrire per amore del Signore. Ecco cosa ti rivelerà lo Spirito Santo che noi conosciamo nella Chiesa.
Ma colui che biasima gli uomini malvagi e non prega per loro non conoscerà mai la grazia di Dio. (p. 326)

(Tratto da Starets Silouane : Moine du Mont Athos. Vie – Doctrine – Écrits, Éditions Présence, Sisteron, 1995)




Il visibile e l'invisibile

 I limiti della ragione umana e la conoscenza di Dio

 Abate Trifone, Vashon, Washington, Stati Uniti d'America

 C'è il visibile e c'è l'invisibile, il materiale e l'immateriale.  Ciò che è materiale può essere scientificamente esaminato e sperimentato, l'immateriale può essere visto e sperimentato solo spiritualmente.  Sono due mondi solo apparentemente in contrasto tra loro.  Se tenti di esaminare ciò che è di natura spirituale usando una scienza che per sua stessa natura è intesa a esplorare il regno materiale, fallirai.
 Le cose che sono di Dio vanno ben oltre le capacità di comprensione della nostra mente limitata.  Il divino può essere conosciuto solo attraverso il nous, quel luogo nel cuore che è il nostro vero centro.  Esso, a differenza del cervello, è capace di una conoscenza che va oltre la comprensione umana, poiché proviene dalla conoscenza noetica.
 Quando proviamo ad applicare le parole alla forma noetica, falliamo.  Non possiamo spiegare Dio più di quanto possiamo spiegare la fisica quantistica, dal momento che entrambi sono invisibili.  Dio è al di fuori del regno della comprensione intellettuale umana.  La Chiesa d'Oriente si avvicina alle cose di Dio come ai santi misteri, poiché Dio può essere conosciuto solo nelle sue energie divine, non nella sua essenza.  Se uno scienziato può credere nella fisica quantistica, l'invisibile, perché non può credere in Dio che non ha visto?  Se possiamo credere nel concetto di infinito, qualcosa che continua all'infinito, perché non possiamo credere in Dio?
 La scienza dell'anima è noetica e può essere esaminata e vissuta solo attraverso l'attivazione del nous.  Il nous nella teologia cristiana ortodossa è "l'occhio del cuore o dell'anima", la mente del cuore.  Dio ci ha creati con il nous perché l'intelletto umano non è capace di conoscerlo senza di esso.  L'intelletto da solo non può conoscere Dio, poiché la ragione umana è limitata alle cose che sono di natura materiale.  Dio è inconoscibile senza la Sua rivelazione divina, e solo il nous può percepire questa conoscenza.  L'essenza di Dio rimane inaccessibile senza la conoscenza noetica.  La scienza ha il suo posto, ma solo il cuore può conoscere Dio.
 La fisica quantistica, sebbene misteriosa, fa ancora parte del regno materiale creato ed è abbastanza spiegabile ora.  La vera differenza non è tra visibule e invisibile, ma alla radice, creato e non creato.  Erano le energie increate di Dio che Mosè vide nel roveto ardente, o che gli Apostoli sperimentarono nella trasfigurazione.  Uno scienziato capirà le proprietà della luce (fotoni), ma non avrà idea della luce increata, che guarisce, deifica e non proietta ombra.  Padre Giorgio Calciu di beata memoria ha sperimentato questa luce in mezzo alle peggiori carceri rumene, e il risultato è un altro effetto che la scienza non può spiegare: l'incorruttibilità del corpo dopo la morte.
 Amore in Cristo,
 Abate Trifone, Vashon, Washington, Stati Uniti d'America


<>





«Dio è luce, e in Lui non c'è tenebra alcuna» (1Gv 1, 5)

«Salve, o Luce. Una luce brillò dal cielo su noi, che eravamo sepolti nelle tenebre, e chiusi nell’ombra della morte, una luce più pura del sole, più dolce della vita di quaggiù. Quella luce è la vita eterna, e quante cose partecipano di essa, vivono; ma la notte teme la luce e nascondendosi per la paura lascia il posto al giorno del Signore: l’universo è diventato luce insonne, e l’occidente si è trasformato in oriente. Questo è ciò che ha voluto dire “la nuova creazione”: giacché “il sole di giustizia” che cavalca l’universo, percorre in modo uguale tutto il genere umano, imitando il padre suo che “fa sorgere il suo sole su tutti gli uomini” e sparge su di essi la rugiada della verità. Egli trasformò l’occidente in oriente e crocifisse la morte in vita e, avendo strappato l’uomo dalla rovina, lo elevò al cielo, tramutando la corruzione in incorruttibilità e trasformando la terra in cielo – egli, l’agricoltore divino, “che mostra i presagi favorevoli e desta i popoli al lavoro”, che è buono, “richiamandoci alla memoria la vita” vera ed elargendoci l’eredità del padre, eredità grande veramente e divina e che non può essere tolta, per mezzo del celeste insegnamento facendo un Dio dell’uomo, “dando leggi alla loro mente e scrivendole nel cuore di essi”».
(Clemente Alessandrino, Protreptico 11, 88, 114)







Il dopo vita

E i miei pensieri sull'unicità della creazione

Abate Trifone, Vashon, Washington, Stati Uniti d'America

 Non esiste una dottrina formale nella Chiesa ortodossa riguardante l'aldilà per gli animali, compresi i nostri animali domestici.  Quei Padri della Chiesa che si sono espressi su questo argomento stavano semplicemente esprimendo opinioni teologiche che non sono diventate universalmente accettate, e rimangono conosciute come "theologoumena" (opinione personale).
 La Chiesa si è saggiamente astenuta dal pronunciarsi in modo definitivo sull'aldilà, poiché molto rimane sconosciuto.  Non capiremo veramente cosa ci aspetta dopo questa vita fino a quando non saremo entrati nell'aldilà.  Come cristiani ortodossi, accettiamo semplicemente il Credo niceno-costantinopolitano, recitando le parole: "Aspetto... la vita del mondo a venire".
 Con la grazia di Dio e la nostra cooperazione con questa grazia, ci aspettiamo di ereditare la vita eterna.  Crediamo che ci saranno anche tutti gli esseri che hanno fatto parte della nostra vita.  Alcuni di noi sperano persino, insieme a CS Lewis, che sia possibile che il paradiso includa anche i nostri amati animali domestici e persino gli animali che hanno contribuito in una miriade di modi al nostro benessere.  Sarebbe possibile che la mucca che ha fornito il latte ai nostri figli e il formaggio alla nostra tavola possa un giorno unirsi a noi in un paradiso dove non c'è morte né dolore?
 CS Lewis descrive qualcosa di simile nel suo libro "The Great Divorce" in cui una donna santificata in paradiso è accompagnata da una miriade di animali mentre cammina nella gloria attraverso i campi del Paradiso.  Dato che ho goduto dell'affetto e della lealtà del meraviglioso gatto delle foreste norvegesi del nostro monastero, Hammi, mi sembrerebbe che un paradiso senza questa piccola creatura amorevole mi mancherebbe.  Anche l'eterna perdita delle nostre galline, che ci hanno fornito tante meravigliose uova fresche, e mi ha dato tanta gioia, mentre le guardavo godersi la loro vita all'aperto, mi sembrerebbe triste.
 Questa è semplicemente la mia opinione e non vedo l'ora di incontrare i tanti amati cani e gatti di cui ho condiviso la vita durante i miei sessantotto anni.  I santi vedevano gli animali come creature di Dio, creati come doni dell'amore di Dio, e quindi resistevano alla negligenza o all'indifferenza quando questi animali erano sotto la loro tutela.
 San Paolo di Obnora era noto per conversare con gli uccelli e San Serafino di Sarov fece amicizia con un orso.  Sant'Antonio il Grande aveva un'amicizia con un leone.  San Modesto vedeva gli animali come sublimi e misteriosi doni di Dio e spesso benediceva il bestiame dei fedeli, pregando per la loro salute e sopravvivenza e glorificando nella vastità e bellezza di tutto ciò che Dio aveva creato.  Io stesso, da circa tredici anni, benedico il nostro gatto Hammi, facendolo uscire dalla biblioteca dopo la sua notte di sonno.
 Le tradizionali terre di Gran Bretagna, Scozia, Galles e Irlanda, tutte terre dei popoli celtici, che fino all'XI secolo facevano parte della Chiesa cattolica ortodossa unificata e i cui santi e la cui vita spirituale hanno molto da offrire al mondo contemporaneo, hanno visto tutta la  realtà come una singola unità.  Questi santi sapevano, come tutti i santi della Chiesa hanno saputo, che la totalità della creazione era stata lacerata dal peccato di Adamo ed era stata restaurata dall'atto salvifico di Cristo.  Nella loro vita hanno incarnato la restaurazione della totalità nella creazione, sia attraverso la comunicazione con gli angeli e gli spiriti, sia attraverso la parentela con tutto il mondo naturale.
 Sant'Atanasio disse: "(Dio) ha provveduto all'opera della creazione anche come mezzo attraverso il quale l'Artefice potesse essere conosciuto... Tre vie erano così loro aperte, attraverso le quali potevano ottenere la conoscenza di Dio. (Primo), potevano guardare  fino all'immensità del cielo e, contemplando l'armonia della creazione, conoscerai il suo Sovrano, il Verbo del Padre".  Così, il mondo naturale, visto alla luce di Cristo, rimane una via per conoscere Dio, cioè una via di salvezza.
 L'unicità del nostro rapporto con la Creazione prende vita con la storia di San Kevin di Glendalough.  Mentre stava in preghiera in una tradizionale posizione monastica celtica con le braccia tese a forma di croce, un merlo costruì un nido sul suo braccio e depose le sue uova.  San Kevin, non volendo disturbare il suo nido, è rimasto nella posizione fino alla schiusa delle uova.  Si dice che il santo abbia affermato: "Non è una grande cosa per me sopportare questo dolore di tenere la mia mano sotto il merlo per amore del re del cielo".
All'inizio della restaurazione dell'unità nell'intero cosmo caduto, Cristo uscì nel deserto e "era con le bestie feroci e gli angeli lo servivano" (Marco 1:13).  Queste creature celesti e terrene che erano destinate a diventare la nuova creazione nel Dio-Uomo Gesù Cristo si erano radunate attorno a Lui.  C'è un chiaro riferimento a questa restaurazione nella vita di Sant'Isacco di Siria, quando scrisse:
 L'uomo umile si avvicina agli animali feroci, e nel momento in cui lo scorgono la loro ferocia è domata.  Si avvicinano e si aggrappano a lui come al loro Maestro, scodinzolando e leccandogli mani e piedi.  Profumano come proveniente da lui la stessa fragranza che venne da Adamo prima della trasgressione, il tempo in cui furono riuniti davanti a lui ed egli diede loro dei nomi in Paradiso.  Questo profumo ci è stato tolto, ma Cristo lo ha rinnovato e ce lo ha restituito alla sua venuta.  È questo che ha addolcito la fragranza dell'umanità.
 In altre parole, lo stato di somiglianza con Dio in Cristo al quale era salito gli permetteva di stare con le bestie feroci proprio come lo era Adamo quando le nominava.  E, sospetto che il motivo per cui gli animali domestici sono così importanti per noi umani è che ci aiutano nel nostro viaggio nel ripristino della parentela tra due diverse parti della creazione.  I nostri animali domestici diventano come tutti gli animali erano all'inizio, quando Adamo fu incaricato di nominarli.
 Quando l'umano può sdraiarsi con il gatto, o il cane, o il pollo, (per parafrasare Isaia) noi aiutiamo un po' l'avanzamento del Regno, lavoriamo per ricreare un po' il Paradiso, e così diamo un nuovo significato a tali umili  compiti come pulire il pollaio o la lettiera.
 Infine, come disse uno dei miei vescovi preferiti, "Gli animali erano con Adamo ed Eva in Paradiso, quindi perché mai non dovrebbero essere anche in Paradiso (Metropolitan Kallistos Ware)?".
 Con amore in Cristo,
 Abate Trifone, Vashon, Washington, Stati Uniti d'America





<<<








ARGOMENTI DI CATECHISMO ORTODOSSO

Alla ricerca della verità

Di: Padre. Anthony Alevizopoulos

PhD. in Theologia, PhD. in Filosofia

Il problema di dove si trovi la verità ha occupato l’umanità attraverso i secoli; è una questione che è sempre attuale e proprio per la sua natura guida l’uomo alla ricerca di una risposta. I filosofi, ed in particolare gli antichi greci, si sono posti la domanda: ”Che cos’è l verità?” e la maggioranza degli uomini hanno cercato una risposta razionale. Alcuni hanno detto che è un Idea, il “principio di tutte le cose”, il “primo motore immobile” e l’hanno chiamata Dio.

Ma questo Dio, il Dio dei filosofi, non può salvare. Tocca gli uomini solo nella loro parte razione e non come un tutto, nessuno può entrare in comunione personale con lui, in quanto è impersonale; una mente universale che agisce in maniera cieca, ed è così distante e così trascendentale che non ha interesse nell’uomo e nel mondo.

Non c’è alcun dubbio che chiunque con una buona disposizione, osservando la creazione e usando il suo potenziale umano non possa che scoprire l’esistenza di Dio. Ma scoprirà solo il concetto di Dio, non Dio Stesso, la verità salvifica.
Altri nel corso dei secoli, hanno creato degli idoli mondani e tutta una serie di divinità. Hanno stabilito leggi “divine” e creato regole, sistemi di adorazione di provenienza umana . Tutti questi, comunque, sono espressioni semplici dell’uomo stesso, non trascendono il creato e non rivelano il solo vero Dio che trascendo questo mondo.

In aggiunta ci sono altri che pensano che l’uomo sia per natura Dio. Diviene semplice per colui che comprende “la sua natura, non si richiede per nulla di trasformare la sua natura nell’incontro con l’IO/Dio, rigettando ogni pensiero che lo differenzi dalla sua stessa divinità e non riconoscendo l’esistenza di un Dio fuori ed al di sopra di lui”.

Concludendo l’analisi, quest’approccio a Dio non soddisfa l’uomo. Conduce ad una solitudine infinita che è contraria alla natura stessa dell’uomo. Per sua natura l’uomo cerca il calore, l’amore, la comunione con gli altri e non solo con se stesso. Senza queste cose non può esistere. Ecco perché continua a cercarle e non si soddisfa delle proprie creazioni in merito a Dio. Cerca di sollevarsi al di sopra della realtà, del creato e cercare il senso della vita in comunione con il Dio increato ed eterno.

La Verità Cristiana

Questo vuoto che si è creato nell’uomo che cerca la verità salvifica è colmato dalla Chiesa. Il Cristiano non cerca la verità creata dall’uomo; la verità razionale, un’idea o una mente cosmica chiamata Dio. Egli cerca la verità che trascende il imiti umani e di tutta la creazione. In aggiunta, egli cerca un Dio che può entrare in comunione personale con lui, in una comunione d’amore, cioè cerca un Dio che sia una persona.

Per i cristiani, la conoscenza di Dio ha un senso diverso. Non è semplicemente un oggetto di un approccio razionale o un mero Principio dell’Universo che esclude ogni relazione personale. La conoscenza cristiana di Dio è un evento di comunione intima e personale tr Dio e l’uomo, una comunione che coinvolge l’intera esistenza umana e non viene semplicemente relegata ad un fattore razionale.

“Conoscenza” dunque, in accordo al concetto cristiano, non è il prodotto di un’attività razionale separata dall’amore, in verità nelle Sacre Scritture, il termine è usato per indicare l’atto con cui si consuma la comunione interpersonale all’interno del matrimonio (Gen. 4,1). Questa comunione non disperde l’unità personale in un qualche principio “cosmico”; ma al contrario la protegge! Attraverso questa comunione l’essere mortale trascende la sua condizione di creatura, che p quella di essere creata, ma partecipa della vita di Dio: increato ed eterno.

L’uomo, comunque, non può realizzare questa trascendenza da solo, con le sue potenzialità ed abilità che sono limitate al creato. L’intima natura dell’uomo è tale da rendere insormontabile il superare l’ostacolo verso l’ascensione ed approcciare Dio direttamente risulta impossibile. Un abisso ontologico, cioè una separazione insuperabile legata alle diverse essenze dell’uomo e di Dio, ci separa dal Creatore. L’uomo non può trascendere quest’abisso.

Ma quello che l’uomo non può fare, Dio lo realizza per amore delle Sue creature: Egli “discende” o meglio “accondiscende”, cioè Egli si adatta alla condizione umana, supera l’abisso e Si rivela alla Sua creatura offrendogli la possibilità do una comunione autentica di amore e di vita.

La conoscenza cristiana della verità, cioè della vita eterna, è e rimane il grande dono del nostro affezionato Padre Celeste. Non è il risalto degli sforzi umani. Ciò che Dio ci offre non è condizionato da noi. È il frutto della libertà e dell’amore di Dio. Questo dono è offerto liberamente e deve sempre essere accettato con gratitudine. Nessuno può forzare Dio ad elargire i Suoi doni.
In aggiunta, Dio, non viola e non forza la volontà dell’uomo, lo lascia nella libertà di scelta (il libero arbitrio). Permette che l’uomo risponda con il suo amore all’amore di Dio od anche che rigetti quest’amore. Questa scelta, questa possibilità, non appartiene al dominio razionale dell’uomo, cioè non basta che l’uomo si orienti razionalmente verso Dio. L’uomo deve partecipare, deve donarsi, nella sua interezza. Ciò che è necessario è la prova tangibile che l’uomo intero (inteso in senso olistico: anima, mente e corpo) si orienti verso Dio, questo include la catarsi spirituale, seguire i comandamenti di Dio. Senza questa disposizione è impossibile trovare Dio:

“In quanto i pensieri perversi separano l’uomo da Dio, e quando il suo potere è messo alla prova, egli condanna i folli, perché la saggezza non entra in un’anima perversa, né trova posto in un corpo asservito al peccato. Uno spirito dedito alla santità e disciplinato fugge dall’inganno e si allontana dai pensieri impropri, vergognandosi di avvicinarsi all’ingiustizia.” (Saggezza di Salomone 1,3-5).

Il libero esercizio delle virtù divine allontana l’uomo dall’autonomia. Funziona nel regno dell’amore di Dio. L’uomo, attraverso la sua obbedienza ed attraverso la realizzazione dei comandamenti di Dio umili il suo corpo e la sua mente, riconosce che lui da solo non può né imbarcarsi né continuare nel cammino della vera conoscenza di Dio. L’intera vita dell’uomo diviene una supplica verso Dio. Dio che accondiscende ed offre all’uomo la conoscenza di Se Stesso. L’uomo partecipa a questa grazia, che è dono di Dio, e che è chiamata energia divina increata. Naturalmente la grazie non è la stessa essenza di Dio. L’essenza di Dio rimane inavvicinabile ed incomprensibile per l’uomo. La Grazia, comunque, emerge dall’essenza di Dio, che ne è la sorgente. Per questo la Grazia non è creata, ma increata. Questa è la ragione per cui questo dono di Dio significa per l’uomo la vera conoscenza di Dio stesso, della vita eterna e della salvezza, Questo è il concetto cristiano della conoscenza di Dio.

Al fedele, per raggiungere questa conoscenza salvifica, è necessario che “chini la testa”, che si sottometta con amore al Signore misericordioso. È per questa ragione che il prete celebrante negli uffici divini, dopo aver intimato a “chinate il vostro capo al Signore” prega:

“O Signore, nostro Dio, che hai chinato i cieli e sei disceso per la salvezza della razza uman, volgi lo sguardo ai Tuoi servi ed al tuo retaggio. In quanto verso di Te, Giudice amico dell’uomo, i Tuoi servi hanno inclinato il capo ed il loro collo , cercando non un aiuto umano, ma la Tua eterna grazia ed attendendo la Tua salvezza…”

Con il concetto Cristiano della verità e la sua “conoscenza”, la vita dell’uomo acquisisce u senso più profondo ed autentico senso ed un destino eterno. È sufficiente che l’uomo consideri la “conoscenza” di Dio come il più prezioso tesoro della vita e che la cerchi in maniera appropriata. Allora la grazia di Dio lo toccherà ed il desiderio di conoscere Dio diverrà la cosa più grande e nulla si frapporrà tra l’uomo e Dio né potrà separare l’uomo dall’amore di Dio:

” Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come è scritto: “Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.” (Lettera ai Romani 8, 35-39).

Questa è la via seguita dai santi martiri della nostra Chiesa, per questo l’inno cita:

“Né la tribolazione, né la persecuzione, né la fame, né la nudità, né l’angoscia, né la rabbia delle bestie, né la spada, né il fuoco vi possono minacciare, o Martiri degni di lode, di separarvi d Dio: in quanto avete superato la natura disdegnando la morte grazie al vostro desiderio di Dio e lottando come se i vostri corpi vi fossero estranei…”.

THE ORTHODOX CHURCH Its Faith, Worship and Life
Rev. Antonios Alevisopoulos, Th.D., Ph.D
Tradotto dal Rev. Stephen Avramides
ATHENS 2001 
Tradott: Basilis Markeze



<>






La colonna spaccata e bruciata dalla Santa Luce (1579)


Nel Sabato Santo del 1579, secondo gli annali ecclesiastici della città di Gerusalemme, i governanti turchi vietarono al patriarca greco e ai credenti cristiani ortodossi di entrare nella Chiesa della Resurrezione per la tradizionale celebrazione della Luce Santa.

Le fonti scritte che raccontano quello che è accaduto sfortunatamente non indicano l’anno esatto. Indicano, tuttavia, che in quell’anno era patriarca di Gerusalemme Sofronios e patriarchi di Costantinopoli, di Alessandria e di Antiochia erano rispettivamente Geremia, Silvestro e Gioacchino, invece sultano dell’Impero Ottomano era Murat III.1

Esaminando gli elenchi ufficiali o pagine web di questi quattro Patriarcati, scopriamo che questi quattro patriarchi greco ortodossi effettivamente erano nelle loro cattedre nella seconda metà del XVI secolo e se osserviamo il periodo in cui ciascuno dei patriarchi era in cattedra in contemporanea con il regno del sultano Murat III, si scopre che l’unico anno in cui erano in carica insieme era il 1579.2

Il sagrato e l’ingresso della Chiesa della Resurrezione.

Secondo le fonti scritte, nel Sabato Santo di quell’anno, un gruppo di soldati turchi proibì l’entrata degli ortodossi nella Chiesa della Resurrezione, in seguito all’intervento degli armeni. I numerosi fedeli rimasero nel sagrato del Tempio anche dopo il tramonto.

Il patriarca Sofronio IV, al primo anno del suo patriarcato, doveva compiere la cerimonia più importante dell’anno, ma i turchi gli avevano negato il suo legittimo diritto.

Il patriarca si era messo a pregare sul lato sinistro della porta del tempio, vicino a una colonna. E improvvisamente, dopo che la notte era già scesa, la colonna si è spaccata e la Luce Santa è scaturita dal di dentro della colonna.

Il patriarca è accorso ed ha acceso il suo cero e ha trasmesso la Santa Luce ai fedeli in attesa. In pochi minuti, la fiamma sacra si è diffusa a tutti i partecipanti e il sagrato del tempio si è illuminato. Le guardie turche stupite dall’accaduto hanno aperto le porte della chiesa e il patriarca, con la moltitudine del popolo, è entrato solennemente nel Santo Sepolcro.

La colonna spaccata che si trova a sinistra dell’entrata della chiesa, di fianco l’autore del libro.
La spaccatura ha un’altezza di 1,20 metri e si presenta come una fiamma che cresce.

Gli eventi di quel giorno sono raccontati in tutte le guide dei luoghi sacri (Proskynitari) di Gerusalemme, pubblicate per i pellegrini che visitano la Terra Santa. La più antica di queste indica che l’evento della rottura della colonna è raccontato in un prezioso manoscritto custodito nella Biblioteca di Monaco. Si tratta del codice Monacensis Gr. 346,3 contenente il Proskynitario del monaco Anania. Il manoscritto, opera del monaco cretese Akakios, del 1634, è una copia dell’opera originale del monaco Anania, scritta nel 1608, 29 anni dopo il miracolo che descrive. Ciò significa che Anania era in grado di raccogliere il materiale che gli serviva, per raccontare l’evento, da persone che avevano vissuto gli avvenimenti in prima persona.

La prima pagina del Codice Gr. 346, custodito
nella Biblioteca di Monaco di Baviera, dal titolo

Il manoscritto è stato pubblicato la prima volta nel 1890 da Α. Papadopoulos-Kerameus a San Pietroburgo,4 accompagnato dalla traduzione in russo.

Secondo il manoscritto che è custodito a Monaco, il monaco Anania racconta quanto segue:

«.. all’esterno della Porta Santa, in prossimità della parte occidentale, si trovano tre colonne di marmo, e dalla colonna di mezzo, dicono, è scaturita la Santa Luce nei tempi antichi. Ed è alquanto lacerata da poter essere vista fino ad oggi. E questo miracolo lo ha fatto Dio in quel modo, perché, raccontano, in quel tempo coloro che comandavano non hanno permesso al patriarca di entrare per compiere la festa di Pasqua come era la consuetudine. E il patriarca si è messo nel sagrato, con la gente, il Sabato Santo sera, sconsolati. E tenevano le candele nelle loro mani. E il patriarca era vicino al trono di s. Elena, di fianco ad una colonna nelle vicinanze. E poi dicono che è scaturita la Santa Luce da quella colonna, che come abbiamo detto si è spaccata parecchio, e si è diretta verso la colonna dove si trovava, vicino, il patriarca. E poi ha acceso i ceri che il patriarca teneva e da questi ha acceso tutto il popolo, dalle mani del patriarca secondo la consuetudine. Poi si dice che, quando hanno visto questo miracolo coloro che comandavano, hanno aperto la porta santa e sono entrati, il patriarca con il suo popolo e si fece la festa, secondo la consuetudine».

Il racconto del monaco Anania che narra l’evento della colonna spaccata nel codice Monacenis Gr. 346, 1634 d.C. Di sopra sono esposti i fogli del manoscritto 83v, 84r, 84v e di sotto i fogli 85r, 85v, 86r. Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek.

La stessa storia, con alcune informazioni supplementari, è descritta in molti Proskynitari di Gerusalemme pubblicati nei secoli successivi. La più antica di queste guide di pellegrinaggio la si incontra a Vienna nel 1749, dal titolo Proskynitarion della città santa di Gerusalemme, scritta dall’Archimandrita e custode del Santo Sepolcro, Simeone. L’opera conferma che la spaccatura della colonna, ad opera della Santa Luce, si è verificata durante la notte.

Scrive l’Archimandrita Simeone:

«Allora il patriarca si è messo fuori sul sagrato della chiesa, nel Santo e Grande Sabato, con il popolo, verso sera, molto rattristati e pregavano il Signore con tutta l’anima. E il patriarca è salito al trono di s. Elena vicino ad una colonna, pregando sia il patriarca che il popolo. Oh, Signore, la tua filantropia, ecco si è spaccata una colonna ed è scaturita la Santa Luce e il patriarca è accorso e ha acceso i ceri che teneva nelle mani e dalle sue mani il popolo ha acceso i suoi ceri per la sua santificazione».5

Proskynitarion dell’Archimandrita Simeone, Vienna 1749, p. 19. Nella foto la parte che racconta il miracolo della colonna spaccata dalla Luce Santa.

In questo Proskynitarion è raccontato anche un altro evento associato con un emiro arabo di nome Tunom, che nel momento del miracolo si trovava nel sagrato del Tempio. Quando ha visto la colonna spaccarsi e prendere fuoco, si è convinto dell’autenticità del miracolo e ha confessato ai suoi correligionari la potenza di Gesù Cristo. La sua confessione è stata causa del suo arresto e della sua esecuzione per mezzo del fuoco.6 È un martire dell’ortodossia. La sua memoria si celebra il 18 aprile ed i suoi resti si trovano nel monastero «Grande Tutta-santa»7 di Gerusalemme.

Il santo martire Tunom e, in fondo, la colonna che ha preso fuoco, in un’icona portatile situata presso il Monastero «Grande Tutta-santa» di Gerusalemme.

Un’altra descrizione importante del miracolo la troviamo nella Cronaca del monaco moldavo Parthenios Agkeev,8 che visitò Gerusalemme nel 1845. Nel secondo volume della sua Cronaca, il monaco dichiara che la colonna si è spaccata dopo che è stata colpita da un fulmine:

«Questa colonna è onorata sia dagli ortodossi sia dai non ortodossi, sia dagli armeni. Vorrei scrivere qualcosa su questo avvenimento, di come tutti i cristiani ortodossi orientali all’unanimità parlano di questo e i turchi stessi lo confermano. Su una parete si trova una iscrizione in marmo e questo avvenimento è descritto là, ma non siamo riusciti a leggerla perché è scritta in lettere siriache in arabo. Così, ne ho solo sentito parlare e non ho potuto leggere».

Il racconto prosegue descrivendo il miracolo:

«Era già passata più di mezz’ora e ancora non si era mostrata la Luce Santa. La giornata era limpida e bella. Il patriarca era seduto sul lato destro. E all’improvviso un fulmine è caduto nella parte sinistra e ha lacerato la colonna centrale e dalla spaccatura è uscito un fuoco. Il patriarca si è alzato e ha acceso i suoi ceri e tutti gli ortodossi hanno acceso da questi».9

Nella sua esposizione il monaco Parthenios racconta che l’avvenimento è descritto in una placca marmorea in lettere siriache, lingua che non conosceva, per questo il suo racconto riporta quello che gli hanno raccontato.

Per questo motivo la sua testimonianza non può avere la stessa validità delle altre e in nessun’altro manoscritto si è trovata una testimonianza del genere.

Quello che è importante per la nostra ricerca è che in entrambi i casi, sia che la colonna sia stata colpita da un fulmine sia che si è spaccata da sola, comunque dalla spaccatura è scaturito un fuoco: l’avvenimento è un miracolo e il patriarca, che si trovava di fianco alla colonna, accese le sue candele.

Ma se un fuoco o una scossa elettrica hanno attraversato la colonna con tanta tensione 430 anni fa, le loro tracce dovrebbero essere ancora visibili. La crepa, nella colonna, sembra essere bruciata e tormentata dal fuoco, ma tali tracce di erosione possono essere verificate e convalidate scientificamente?

Durante la Pasqua del 2008, la crepa della colonna è stata esaminata dal fisico russo Andrej Volkov. Il fisico russo ha inviato fotografie ad alta risoluzione della crepa ad un suo collega, il professor Evgenij Mihajlovic Morozov,10 che è considerato uno dei principali ricercatori al mondo nel campo delle scienze della Μeccanica della Frattura11 (Fracture Mechanics) e Fisica della Resistenza dei Materiali (Physics of Strength of Materials).

Il prof. Evgenij Morozov e il suo ultimo trattato scientifico, dal titolo «Meccanica della Frattura Elastoplastica»,12 nel quale presenta i risultati della ricerca moderna riguardo la teoria delle fratture affrontando il comportamento dei corpi che sono stati incrinati – dai motivi che hanno provocato la crepa ai problemi più complessi della meccanica della frattura.

Il professor Evgenij Morozov, dopo aver analizzato le immagini della spaccatura della colonna, come si vede dalla foto, è giunto alla conclusione che potrebbe essere stata prodotta solo a causa di scariche elettriche.

Il professore Andrej Volkov, che ha collaborato con Evgenij Morozov in un’intervista al quotidiano Verà, il 29 di aprile del 2009, dichiarava:

«Questa coincidenza che proprio a Pasqua, quando non è scesa la Luce, si sia presentata la crepa – non costituisce un miracolo? Certamente si può dire che tutto era un trucco e che la crepa nella colonna era stata prodotta artificialmente. Ci siamo rivolti per informazioni a Evgenij Morozov Mihajlovic, uno dei principali esperti nel campo della Meccanica della Frattura, non solo in Russia ma in tutto il mondo che ha scritto oltre 800 articoli scientifici su questo argomento. Evgeni Mihajlovic ha esaminato le immagini che descrivono dettagliatamente la frattura e ha affermato espressamente che potrebbe apparire solo come il risultato di scariche elettriche da come si presenta la struttura. Cosa significa questo? Che era del tutto impossibile creare artificialmente questa frattura: immaginate, quale grande trasformatore si sarebbe dovuto avere, in particolare nel XVI secolo, quando la gente non aveva idea che esistesse l’elettricità! Per questo motivo la testimonianza è vera».

La testimonianza scientifica di Evgenij Morozov è indubbiamente molto importante e conferma le fonti che raccontano della spaccatura miracolosa della colonna. Volevo avere un secondo parere sulla questione e per questo ho contattato uno dei maggiori scienziati greci di Meccanica della Frattura, il professore Giorgio A. Papadopoulos dell’Università di Atene,14 al quale ho inviato fotografie dettagliate della fessura.

Il professor Giorgio A. Papadopoulos.

Il professor Papadopoulos, dopo aver esaminato le fotografie, ha rilevato che la spaccatura della colonna è stata effettivamente prodotta da una scarica elettrica, avvenuta in contemporanea con un’onda sismica diretta dal basso verso l’alto!

Egli considera inspiegabile questa aggressione combinata alla colonna – scarica elettrica e onda sismica – e per il professore potrebbe essere conside rata un miracolo. Conclude quindi che la causa dell’avvenimento è scientificamente sconosciuta. Il professor Papadopoulos, in risposta ad una mia lettera, scrive:

“Egregio signor Skarlakidis,

vi ringrazio per la vostra e-mail del 31/1/2010. Credo di potervi aiutare nel vostro pregevole progetto. Da 35 anni mi occupo della Meccanica Sperimentale delle fratture nel laboratorio di Resistenza dei Materiali del NTUA e credo che là dove non c’è una spiegazione scientifica c’è miracolo.

Non ho motivo di dubitare del manoscritto della biblioteca di Monaco di Baviera dell’anno 1634, che menziona il modo miracoloso della spaccatura della colonna e quanto ha seguito e cioè che il patriarca greco ha acceso la sua torcia da questa luce. Un miracolo non credo che possa essere contestato soprattutto in presenza di prove rilevanti, da quello che mi dite.

Guardando dalle foto, la spaccatura potrebbe essere considerata come il risultato di un’aggressione composita. Combinazione di scarica elettrica (probabilmente fulmine forte) e forti vibrazioni sismiche. La scarica elettrica, a motivo di una alta e istantanea temperatura, ha reso fragile il materiale della colonna lungo una banda stretta (l’origine). L’onda sismica superficiale nella colonna ha provocato una vibrazione torsionale (affaticamento). Questa doppia aggressione ha portato alla crepa che è partita dalla base della colonna avanzando verso l’alto a zig-zag (come si vede nella fotografia il percorso della spaccatura è non lineare) lungo la striscia resa fragile dalla scarica elettrica.

Se questo effettivamente è accaduto, rimane inspiegabile, a mio avviso, la simultanea composita (combinato) deformazione della colonna.

Pertanto, si potrebbe parlare solo di un miracolo.

Caro signor Skarlakidis mi congratulo con voi per i vostri sforzi e vi auguro, di cuore, successo.

Cordiali saluti,

Giorgio A. Papadopoulos

Professore di Meccanica della Frattura,

Dipartimento di Resistenza dei Materiali Università Tecnica Nazionale”.

Con questo fatto sorprendente della spaccatura nella colonna e del fuoco che ne è scaturito si completa il lungo viaggio da noi intrapreso nel corso dei secoli, studiando il miracolo del Fuoco Santo. Il nostro viaggio è iniziato intorno all’anno 330, quando le cronache raccontano dell’accensione della lampada posta sul Sepolcro di Cristo da san Gregorio l’Illuminatore e si è concluso nell’anno 1579, con il Fuoco Santo che scaturisce dalla colonna.

Abbiamo citato le testimonianza di 43 testimoni. Osservando brevemente queste testimonianze vale la pena annotare tre cose. In tutti i racconti c’è un elemento comune: il riferimento ad una luce o una fiamma, fuoco o fulmine, che scende dal cielo di fronte alla moltitudine dei credenti in un’epoca in cui non c’è né elettricità né la possibilità di riproduzione artificiale di un fenomeno di questo genere.

La seconda cosa importante è l’accensione della lampada ad olio sul Sepolcro e l’illuminazione del Sepolcro vuoto, spoglio e buio durante almeno sei secoli. L’illuminazione del Sepolcro non avviene certamente solo dall’accensione della lampada che si trova all’interno, ma soprattutto dalla luce che emerge dalla roccia in cui fu depositato il corpo di Gesù.

La terza cosa importante che è riportata in diverse storie è la sincronizzazione di questi due fenomeni: cioè la discesa della Luce celeste, l’accensione simultanea delle lampade e l’illuminazione del Sepolcro. Questa sincronizzazione può essere raggiunta solo attraverso un intervento divino.

In questo libro non sono incluse testimonianze successive al 1579 (anche se ce ne sono diverse), in primo luogo perché ci sarebbe stata una saturazione di dati, in secondo luogo perché per farlo è necessario uno libro molto più grande.

Inoltre, la struttura del libro è puramente storica e rivolta alle testimonianze scritte nei primi secoli del miracolo. Tuttavia, ho considerato necessario includere undici resoconti recenti che considero di particolare interesse.

I primi due provengono da due testimoni: il monaco moldavo Parthenios (1846) e l’archeologo inglese Warren che ha vissuto il miracolo per quattro anni consecutivi, dal 1867 al 1870. Con questi due racconti il numero totale delle testimonianze storiche arriva a 45.

Seguono sette testimonianze da cinque patriarchi greci e da due vescovi, che erano a capo della cerimonia e descrivono il miracolo, come lo hanno vissuto all’interno del Santo Sepolcro. In questo modo avremo un quadro più completo di ciò che accade all’interno del monumento quando si riceve la Luce Santa.

Una decima testimonianza successiva, che presenta anche un grande interesse, viene dall’unica persona che ha vissuto il miracolo dall’interno della Tomba, pur senza il diritto di esservi. Si tratta del monaco greco Mitrofanis che, nel Sabato Santo del 1926, si è nascosto sul tetto del Santo Sepolcro per sperimentare il miracolo.

L’undicesima e ultima testimonianza è mia personale e riguarda il Grande Sabato del 2008.

* * *

Note:

1. Nel Proskynitarion della città santa di Gerusalemme e di tutta la Palestina (p. 49) edito nel 1787 a Vienna da Proussis Chrysanthos, è riferito che l’evento è avvenuto «nel tempo del beato sig. Sofronio patriarca di Gerusalemme, del patriarca di Costantinopoli Geremia, del patriarca di Alessandria Silvestro e Gioacchino di Antiochia, durante il regno del sultano Murat».

2. Il sultano turco Murad Khan III ha regnato dal 1574 al 1595, a Gerusalemme Sofronio V è stato patriarca dal 1579 al 1608, a Costantinopoli Geremia II dal 1572 al 1579, in Alessandria Silvestro dal 1569 a 1590, in Antiochia Gioacchino V dal 1553 al 1592. L’unico anno comune è il 1579.

3. Il manoscritto prende il numero 346 sulla lista di IGNAZ HARDT, Catalogus codicum manuscriptorum graecorum bibliothecae regiae Bavaricae, vol. III, Μünchen 1812, pp. 547-48.

4. Προσκυνητάριον της Ιερουσαλήμ και των λοιπών αγίων τόπων, 1608-1634 (Proskynitarion di Gerusalemme e altri luoghi santi, 1608-1634), a cura di A. Papadopoulos-Kerameus, p. 17.

5. Simeone, Προσκυνητάριον Αγίας Πόλεως Ιερουσαλήμ (Proskynitarion della Santa città di
Gerusalemme), Vienna 1749, p. 19.

6. A proposito dell’emiro, nella versione di Vienna si legge: «Είναι και τινά καρφία καρφωμένα εις την γην, έμπροσθεν εις το κατόφλοιον της αγίας πόρτας από τον καιρόν εκείνον εις την μνήμην του γενομένου θαύματος, τα οποία λέγουν να έμπιξεν ένας εμίρις, όστις βλέπωντας εκείνο το εξαίσιον θαύμα επίστευσεν ευθύς εις τον Χριστόν, και φωνάζωντας μία είναι η πίστις των χριστιανών, και έμπιξε τα καρφία εκείνα ένα προς ένα εις την πέτραν, ωσάν εις κηρί μαλακόν, και ούτος εμαρτύρησεν υπό πυρός κατακαείς», vale a dire: «Ci sono alcuni chiodi inchiodati a terra, davanti alla soglia della porta santa, da quel tempo in memoria del miracolo; si dice li abbia inchiodati un emiro, il quale assistendo al divino miracolo ha creduto in Cristo immediatamente, e dichiarando a gran voce “una è la fede quella dei cristiani”, ha messo questi chiodi uno ad uno nella roccia, come nella cera morbida, e con il fuoco egli è stato martirizzato» (Simeone, Προσκυνητάριον Αγίας Πόλεως Ιερουσαλήμ, Vienna 1749, p. 20). L’episodio con i chiodi è brevemente accennato anche nel manoscritto di Monaco (f. 87r).

7. Nota del traduttore: Tutta-santa è uno degli aggettivi riferiti alla Vergine Maria.

8. Il monaco Parthenios è nato a Iasi in Moldavia nel 1807.

9. La traduzione proviene dal monaco Parthenios, Holy Week and Pascha in Jerusalem, in Orthodox Life, vol. 34, 2 (1984), New York, Jordanville. Cfr. anche K. Miliaras, Santa Luce, p. 17.

10. Evgeni Morozov (Евгений Михайлович Морозов), è nato nel 1927, è dottore in scienze tecniche e Professore di Fisica della Resistenza (Physics of Strength) nell’Istituto di Ingegneria Fisica di Mosca. Ha sviluppato equazioni matematiche, programmi in H/H (CAE), e ha sviluppato teorie specifiche circa le caratteristiche di resistenza dei materiali alla formazione di crepe e i limiti della loro resistenza. La sua carriera accademica e di ricerca è iniziata nel 1951 e, dopo numerosi riconoscimenti e premi, continua ancora oggi.

11. La Meccanica della Frattura è la scienza che si occupa dello studio di rottura e la formazione
di crepe nei materiali. Esso utilizza metodi della meccanica analitica per calcolare la forza
esercitata durante la formazione di una crepa, e metodi sperimentali per calcolare la resistenza
di un materiale alle fratture.

12. È stato scritto da Vladimir Morozov e Vladimir Parton e ha il titolo russo “Механика упругопластического разрушения. Специальные задачи механики разрушения” («Elastoplastic Fracture Mechanics. Special problems of Fracture Mechanics».

13. Giornale Vera, 21 aprile 2009.

14. Giorgio A. Papadopoulos è professore di Ingegneria dei Materiali all’Università nazionale e autore di diversi libri e articoli scientifici nel campo della Μeccanica della Frattura. Cfr. G.A. PAPADOPOULOS, Fracture Mechanics: The Experimental Method of Caustics and the Det.- criterion of Fracture, London 1993. Cfr. anche G.A. PAPADOPOULOS, Meccanica Sperimentale di frattura (metodi ottici di Analisi delle Sollecitazioni), edizione Κλειδάριθμος.


<>










La ricerca dell'Ortodossia

Padre Seraphim Rose, Platina, California, USA (+1982)

In molti luoghi diversi e in molti modi diversi oggi le persone cercano e trovano le radici del Cristianesimo nell'Ortodossia. Cose che diamo per scontate sono per loro scoperte sorprendenti, come le seguenti: La grandezza delle nostre Divine Liturgie, che hanno le sue origini nei primi tempi cristiani, e che sono eminentemente adatte al bisogno dell'anima umana di adorare Dio in spirito e verità. La profondità dell'insegnamento spirituale, contenuto negli scritti dei Santi Padri. Semplicemente, la continuità con il passato del Cristianesimo, dal momento che non tracciamo le nostre origini da un maestro relativamente recente, ma da Cristo stesso e dai Suoi Apostoli; e i nostri vescovi e sacerdoti hanno ricevuto le loro ordinazioni in una linea diretta che risale agli Apostoli.
 Con queste radici, se viviamo consapevolmente la vita cristiana, possiamo essere di grande aiuto a coloro che sono stanchi delle interpretazioni personali del Cristianesimo e che desiderano ardentemente il "vero vecchio Cristianesimo", l'Ortodossia.

* * *

Tutta la politica si sta dirigendo verso un governo mondiale che non può essere altro che una schiavitù globale.

* * *

Oggi la gente cerca la verità, cerca Cristo, cerca l'Ortodossia. Noi, che siamo già ortodossi, siamo in grado di contribuire a dargliela.

* * *

Tutto in questa vita va e viene. Rimane solo Dio. Solo per Lui vale la pena di lottare. Abbiamo la seguente scelta: o seguire la strada di questo mondo, della società che ci circonda e trovarci così lontani da Dio; oppure scegliere la via della vita, scegliere Dio che ci chiama e che il nostro cuore cerca. Seguiamo il cammino di San Germano di Alaska e mettiamo nei nostri cuori la profonda risoluzione: da oggi, da quest'ora, da questo minuto, amiamo Dio sopra ogni cosa.

<>







Cristo è risorto! 
È veramente risorto!

<>



La paura bussò alla porta. La fede andò ad aprire; fuori non c’era nessuno! (Anonimo)



<>





I protestanti statunitensi si stanno convertendo in massa all'Ortodossia

Un altro movimento che i media non portano alla vostra attenzione è la massiccia conversione dei protestanti all'ortodossia orientale, che è la forma originale del
cristianesimo.

Più del 79% del clero nelle chiese ortodosse erano precedentemente pastori di varie denominazioni. Ci sono stati casi di intere parrocchie che si sono convertite all'Ortodossia.

Come spiegano alcuni pastori divenuti sacerdoti, ilpassaggio è il risultato &quot;naturale&quot; dell'aridità spirituale e dell'insoddisfazione, poiché le denominazioni protestanti adottano posizioni e valori liberali, ad esempio legittimando l'omosessualità.

Queste deviazioni dalla normale morale cristiana deludono le persone e iniziano a cercare la Vera Chiesa. Il punto di svolta è stato il 1987, quando 2.000 evangelici del Seminario Teologico di Dallas, in Texas, si sono convertiti al cristianesimo.

Un vescovo russo, il metropolita Hilarion Alfeev, intervistato verso la fine del video, spiega: "Ora nelle Chiese protestanti e nella Chiesa d'Inghilterra sono in atto processi che portano i credenti alla domanda: Ha senso rimanere in una chiesa di questo tipo?

Devo dire subito che non consideriamo la Chiesa protestante e la Chiesa d'Inghilterra come 'Chiese' nel vero senso della parola, perché non hanno, probabilmente, le caratteristiche più essenziali della Chiesa cristiana. Non hanno la vera comprensione dei sacramenti e hanno perso la successione apostolica della gerarchia. E negli ultimi 10 anni hanno subito un processo di liberalizzazione così orribile che la morale cristiana tradizionale non viene più predicata nelle loro chiese".







Ortodossia


Sacro Monastero Pantocratore,

Melissochori, Grecia

Cari fratelli e sorelle, siate sempre nella Gioia

Un cordiale benvenuto nella pagina web del Sacro Monastero Pantocratore situato in Melissochori.in Grecia.

La sua presenza in Internet è un umile ministero della nostra confraternita nel diffondere la parola di Dio attraverso i mezzi che ci forniscono le attuali tecnologie.

In mezzo alla moltitudine delle ideologie e al volume sempre cres- cente delle informazioni che circolano nel web; l’ortodossia dà una costante testimonianza della sua fede in Gesù Cristo, nostro Signore. Professa la Sua Pace e invita chi è interessato ad un dialogo proficuo e disinteressato. In una ricerca non condizionata, la Santa Ortodossia spinge a conoscere e sperimentare la Verità.

Ci auguriamo che le nostre pubbli- cazioni possano essere di beneficio spirituale per un numero sempre maggiore di persone nel mondo.

Augurandovi ogni benedizione e l’amore in Cristo, l’abbate del Monastero

† Archimandrita Cirillo

<>







17 PDF: San Paisios del Monte Athos, Grecia (+1994)


















Fonte:


Chiesa di Saint Paisios a Alexandroupoli, Grecia

JL.

<>







Si fonda sulla confessione della vera fede San Paisios del Monte Athos, Grecia (+1994)


Per padre Paisios, come per tutta la tradizione patristica antica, la spiritualità non può che fondarsi sulla retta fede o presupporla.

“Noi ortodossi crediamo e confessiamo che il Verbo di Dio [Gesù Cristo] non è stato creato [=non è una creatura come noi] ma è nato dal Padre prima di tutti i secoli prendendo carne dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. Così ha portato la salvezza al mondo. Discorsi che vengono dall’intelligenza non portano alcuna trasformazione alle anime, poiché questi sono carne. La Parola di Dio che nasce dallo Spirito Santo possiede in sé l’energia per trasformare le anime.

Lo Spirito Santo non discende sull’uomo per mezzo di macchine. È per questo che la [vera] teologia non ha nulla a che vedere con lo spirito scientifico. Lo Spirito Santo scende da solo quando trova nell’uomo delle predisposizioni spirituali”.

Fonte:

Hiéromoine Isaac, L’Ancien Paissios de la Sainte Montagne, L’Age d’Homme, Lausanne 2008.


<>








San Isidoro di Rostov, Stolto in Cristo, dalla Germania (+1474)

14 maggio

San Isidoro Tverdislov, (Costante di Parola) (Germania – Rostov, 14 maggio 1474), fu uno “Stolto in Cristo”.

Nato in Germania da ricchi genitori, abbandonò ancora adolescente la famiglia e, “desiderando il Regno dei Cieli”, distribuì i propri averi ai poveri. Abbigliatosi come un mendicante iniziò dunque a viaggiare per tutta l’Europa, fino a giungere alla città russa di Rostov, dove si convertì al cristianesimo ortodosso, nonostante fosse stato educato fin dall’infanzia al cattolicesimo. Qui scelse, come aveva fatto San Procopio di Ustiug un secolo prima, di diventare uno “Stolto in Cristo”, denominazione con cui vengono indicati coloro che decidendo di vivere simulando la pazzia, in miseria e disprezzando il proprio corpo, credono poter meglio partecipare alla passione di Gesù. A Rostov Isidoro costruì con le proprie mani una capanna in legno per ripararsi alla meglio dagli eventi atmosferici e lì si stabilì.

Secondo la sua Vita, il santo passava la notte dentro la propria capanna in costante preghiera, dormendo e riposando pochissimo al fine di dedicare il proprio corpo a Dio; durante il giorno girava invece per la città simulando pazzia, ammonendo coloro che riteneva si stessero allontanando dalla parola di Dio e aiutando coloro che gli chiedevano aiuto, con i quali divideva i pochi beni ottenuti in carità.

Morì nel 1474.

Nel luogo dove fu sepolto fu costruita una chiesa, dedicata all’Ascensione del Signore, nella cui cripta si trovano tutt’oggi le sue reliquie. La tradizione popolare lo ritenne capace di spirito profetico e gli attribuì numerosi miracoli sia durante la vita che dopo la morte.

Venerato dalla Chiesa ortodossa russa, che lo considera patrono dei marinai, è ricordato il 14 maggio.

<>




L’Esicasmo, Yoga Cristiano

di Ieromonaco Anthony Bloom

Nella misura in cui si può definire lo yoga come una “tecnica spiritualizzante” è legittimo parlare di uno “yoga cristiano”. Lo scopo del presente studio è di farne conoscere le tecniche somato-psichiche e di spiegare il significato ed il valore che ad esse attribuiscono gli ortodossi.Per facilitare l’esposizione del soggetto si possono distinguere tre gruppi principali di esercizi ascetici:I primi non mirano che al corpo e influenzano l’anima (psyche) e lo spirito (pneuma) solo indirettamente, nella misura in cui l’uomo “totale” se ne trova modificato; sono gli esercizi di mortificazione: il digiuno, la veglia, il lavoro massacrante, la castità, ecc. I secondi piegano il corpo a certe esigenze che hanno ripercussioni dirette sulla vita psichica e indirette sulla vita spirituale: essi sono appena conosciuti in Occidente, e formeranno una parte essenziale di questo articolo.Gli ultimi sono esercizi ascetici che mettono in opera le potenze psichiche dell’uomo e hanno ripercussioni corporee: sono essenzialmente la meditazione e certe forme di preghiera che escono dal quadro del nostro soggetto.

Ascesi e mortificazione

L’ uomo è stato creato dal nulla; ecco la prima verità dinnanzi alla quale ci pone la Rivelazione biblica: egli non ha alcun fondamento ontologico in se stesso: nulla ha preceduto l’ esistenza del Cosmo di cui l’uomo fa parte integrante; ed alcun legame genetico collega l’uomo al suo creatore. Il caos di cui parlava il pensiero greco non era che un nulla relativo, quello della nullità, per così dire, non proprio quello del “non essere”. Il libro della Genesi, nel suo secondo versetto, ci parla infatti di un essere informe e confuso: “La Terra era informe e vuota; vi erano tenebre alla superficie”, poiché, per l’antichità, soltanto l’essere ordinato aveva una esistenza. Il nulla vero, assoluto, quello che precede la creazione della prima creatura, oltrepassa la possibilità del pensiero naturale, in quanto non è una assenza o un vuoto, oppure un essere assottigliato fino all’ impercettibilità: è invece la Presenza per eccellenza dell’ Unico, del Solo Reale Trascendente e Sconosciuto fino al momento in cui voglia rivelarSi; il caos è una non pienezza del creato ciò che precede l’ apparizione della creatura e la pienezza del l’Increato, che Dio solo conosce e rivela. Non vi è alcuna comune misura, non vi e alcuna filiazione naturale fra Dio e l’ uomo il cui solo punto d’appoggio è la Volontà divina che, accettata, gli apre l’accesso alla vita che è partecipazione alla Vita di Dio. Ed è all’uomo intero che questa vita è offerta: corpo, anima e spirito, egli è chiamato a conoscere Dio, a comunicare con la vita divina. E’ infatti l’uomo totale che è ad Immagine di Dio. Per raggiungere il suo fine ultimo, l’essere creato deve dunque aprirsi a Dio, oltrepassare la sua propria limitazione ed espandersi nella misura dell’increato. ma oltre questo compito ontologico, un altro compito gli incombe dalla caduta: divenuto un sotto-uomo, deve ridiventare ciò che era all’origine, prima di poter compiere la sua vocazione e rispondere pienamente all’ appello del suo Dio.
L’armonia della natura umana comporta una gerarchia delle sue parti costitutive: il corpo deve essere sottomesso all’anima (psychè) e quest’ultima allo spirito (pneuma); quanto allo spirito dell’uomo (nephesh), esso comunica col Soffio, lo Spirito di Dio nell’uomo (rouah), potenza di vita e sorgente della sua immortalità. Finchè questa gerarchia non è distrutta, l’uomo resta “conforme” a Dio, suo “simile”ed è capace di ricevere Dio e di manifestarLo.
Ma l’ uomo è creato “sovrano”: può determinare il suo destino; la sua contingenza stessa assicura la sua indipendenza: nessuna necessità interna ha costretto Dio a chiamarlo all’ esistenza; inutile alla pienezza dell’ essere divino, l’uomo è posto di fronte al suo Creatore. Se vien meno a Lui, se da Lui si distoglie, l’ uomo impegna la integrità della sua natura e la mette in pericolo: può cessare d’ essere simile a Dio oppure unirsi a Lui. Nel primo caso, al compito ontologico di superamento del creato si aggiungerà, per chiunque voglia realizzare la propria vocazione, un compito nuovo: ritrovare l’armonia perduta.
Non è nè possibile nè desiderabile nei limiti di questo articolo, precisare tutti i termini della caduta; ma per il punto che ci occupa è interessante osservare che essa e’ stata nello stesso tempo improvvisa e progressiva: “E la morte si impiantò a poco a poco” dice il Libro della Genesi; d’altra parte, la caduta è stata improvvisa in questo senso che un cambiamento profondo e radicale si è prodotto fin da quel primo momento che si può definire col termine di “frammentazione”: Dio e l’uomo si sono trovati ad essere staccati l’uno dall’altro; lo Spirito di Dio nell’uomo (rouah) è divenuto non solamente differente, ma estraneo allo spirito dell’uomo, (nephesh); non è più la sorgente di vita, e l’uomo, restato solo, non ha potuto far altro che morire; la triplice armonia gerarchica del corpo, dell’anima e dello spirito si è trovata spezzata fin dal momento in cui non è stato più il canale per il quale la vita si diffondeva nell’anima e vivificava il corpo; e, separato dalla sorgente divina di Vita eterna, l’uomo ha dovuto cercare un appoggio per la sua esistenza nell’ordine naturale. Leggiamo nel secondo capitolo della Genesi (v. 16): “Mangia pur d’ogni albero del giardino”; ma dopo la caduta: “La terra sarà maledetta per cagion tua: tu mangerai del frutto di essa con affanno tutti i giorni della tua vita … e mangerai l’erba dei campi”.
Invece di comunicare con la vita di Dio, Adamo deve partecipare alla vita del mondo materiale e per questo fatto integrarvisi fino al giorno in cui la terra riprenderà ciò che le appartiene: “ … fino al ritorno alla terra donde sei stato preso: poichè polvere sei ed alla polvere ritornerai”.
Ma ciò non è che la prima tappa di questa integrazione dell’ uomo al mondo materiale da cui avrebbe dovuto sganciarsi, meglio nel quale avrebbe dovuto integrare lo Spirito divino: “Lo Spirito mio non contenderà in perpetuo con gli uomini; perciocchè anche non sono altro che carne …” (Genesi, VI, 3). Una volta separato da Dio, l’uomo scivola sulla china dove, lo spinge lo spirito del male di cui si è fatto schiavo: “L’Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande e che tutti i pensieri del loro cuore si volgevano ogni giorno unicamente verso il male” (Genesi, VI, 5), e il diluvio sopravvenne; e quando restarono soli sopravviventi coloro che il male non aveva corrotto, ma che tuttavia hanno ereditato la fragilità progressiva dei loro parenti, il Signore disse a Noè ed ai suoi figli: …. “voi sarete soggetto di timore e di spavento per ogni animale sulla terra e per tutti i pesci del mare: essi sono dati nelle vostre mani; tutto ciò che si muove e ha vita vi servirà di nutrimento; vi dò tutto ciò come l’erba verde”.
Questo diritto di mangiare tutto “ciò che si muove e ha vita” appare dunque come la crudele espiazione di una crescente decadenza, non come una dignità conferita all’uomo: incapace di vivere della Grazia di Dio, senza vita intrinseca, l’uomo dipende ormai completamente dal mondo creato, dalla materia nella quale egli si ingabbia sempre di più; ne ricava la vita e la morte, una vita precaria e momentanea il cui termine è il ritorno alla polvere.
Ritornare alla polvere vorrà dunque dire, fra le altre cose, rompere col dominio della materia, ritornare “autonomo”. “Ahimè! ho reso la mia carne vivace”, proclama un inno ortodosso; l’opposizione di due termini, la carne e il corpo è impressionante e chiara: la carne è il corpo sprovvisto di vita divina e che non mantiene la sua esistenza che nell’ordine della materia; il corpo è la materia umana penetrata dallo Spirito di Dio, ritornata all’armonia e liberata dalle servitù che sono familiari alla sua natura decaduta, quantunque ad essa estranee in ordine alla sua vocazione.
La lotta contro la carne è dunque la reviviscenza del corpo, e il termine di mortificazione vi acquista il suo vero valore: ciò che deve essere ucciso è la passione, la dipendenza; ciò che deve essere distrutto è la servitù ; ma questa lotta non è una uccisione e non e unica mente negativa: noi apparteniamo al mondo decaduto che ha sostituito il mondo antidiluviano, e non è sufficiente rinunciare a ciò che è per noi sorgente di vita per acquistare una nuova vita. L’ascesi di mortificazione non ha senso che nella misura stessa in cui si associ ad un’ascesi costruttiva che ci renda atti a ricevere la Vita divina ed a vivere della Parola di Dio, in altri termini che ci apra a Dio; cio non è possibile che se, mentre da una parte ci liberiamo dal mondo materiale, dall’altra prendiamo piede nel mondo divino; e il progresso in questo secondo senso deve precedere l’opera di rinunzia o almeno andare di pari passo con essa; mancando tale condizione la “carne” muore prima che il “corpo” sia ritornato alla vita.
I diversi elementi di questa ascesi – digiuni, veglia, continenza, lavoro – non richiedono alcun commento.
Ciascuno di essi ha un valore particolare e non può essere utilizzato promisque. Se la veglia, condotta fino ai limiti delle possibilità individuali, dà all’ intelligenza un’acutezza e una folgorazione sconosciute, il digiuno riporta l’uomo in se stesso, l’aiuta a far coincidere il suo essere psichico con i limiti del corpo; e l’ascesi della sete è una delle condizioni necessarie al progresso della preghiera interiore.
In tal modo è interessante osservare ed importante sapere che non ci si può dedicare con successo ad un esercizio ascetico senza dedicarsi simultaneamente agli altri: non si può pregare senza digiunare e senza vegliare, ma è anche possibile digiunare e vegliare se lo spirito di preghiera non ci penetra: è questa la ragione per cui le vite dei santi misurano il progresso spirituale in termini, che a noi sembrano così strani, di lunghe veglie, di digiuni appena credibili… Si tratta appunto di ” morire alla terra ,, e di rivivere in Dio, di elevarsi con uno sforzo costante concertato all’altezza della propria natura vera attraverso una lotta che raddrizzi e liberi, che uccida il germe di morte affinché la vita porti frutto e trionfi.

Tecniche somato – psichiche

L’ascesi di mortificazione è comune all’Occidente e all’Oriente cristiani; quella che debbo esporre ora è propria alla Chiesa ortodossa. Essa è stata stabilita e meravigliosamente sviluppata dai maestri della tradizione esicasta. L’esicasmo, scuola o meglio tradizione spirituale, ha avuto il suo più grande sviluppo fra l’XI e il XIV secolo nei monasteri e le solitudini del monte Athos. L’esicasmo pone la pace interiore come una necessità primaria e come ultima realizzazione della vita spirituale: pace terrestre intelligibile, contemporaneamente corporea e mentale, che apre la via alla pace ineffabile della contemplazione luminosa di Dio. L’ascesi esicasta verte sull’essere intero: fa uso di ogni sua potenza e unisce ciascuna di esse allo Spirito di Dio. Il posto che la pace vi occupa è lungi dal farne un quietismo orientale,come spessissimo si è creduto: la pace non è assenza di lotta, ma assenza di incértezza e di turbamento.
La caduta, come abbiamo detto, ha immerso l’ uomo nella materia e lo ha sottomesso ai meccanismi delle sue leggi; non solo si è appesantito corporalmente ed è divenuto tributario del mondo che doveva dominare e guidare, ma, nel suo essere mentale stesso, l’uomo si è legato e incorporato al mondo creato e decaduto; egli non può più pensare nè sentire altrimenti che nella forma di questo mondo materiale, di questo mondo fuorviato, utilizzando le immagini che esso offre, ed incapace di sfuggire alla successione, poichè il pensiero è divenuto discorsivo. Quand’anche egli cerchi di liberarsene, grazie ai meccanismi dell’astrazione, è pur sempre nel circolo vizioso del creato e dei suoi meccanismi che egli si muove, secondo il modo, divenuto normativo, del discorso. Il ritorno alla norma vera consiste dunque nello stabilire l’attenzione perfetta fuori dagli attacchi della dissipazione, nella stabilità del semplice sguardo.
Notiamo dapprima che l’attenzione è, nell’esperienza spirituale, non solamente una concentrazione delle forze divergenti dell’intelletto, la sua somma in un punto, un perfetto raccoglimento che lo libera dallo svolgimento discorsivo e lo stabilisce nell’ “eterno ora di Dio” mediante il silenzio interiore, nell’amore-adorazione. Questo punto di somma perfetta è chiamato “cuore”; quest’ultimo non è la “sede delle emozioni”, come non lo è il cuore anatomico: è il “centro” della vita umana, il luogo da dove scaturisce la vita e in cui essa si ritira in ultimo. Trovare “il luogo del cuore” vuol quindi dire stabilire la propria vita interiore, e dunque la vita senz’altro epiteto, in una perfetta stabilità ed in una sovrana ed immutabile indipendenza, e raggiungere la pace ricercata.
Tutta l’ascesi corporea, che è legata alla sua ricerca ed alla sua utilizzazione, è fondata su di una constatazione psico-fisiologica che ci sembra molto semplice, ma la cui scoperta empirica appartiene al genio: vale a dire sapere che ogni attività psichica comporta una ripercussione somatica e che inversamente gli atteggiamenti e i movimenti del corpo possono favorire, ed anche provocare, stati mentali. Il corpo, in modo sensibile o impercettibile, partecipa ad ogni movimento dell’anima – che si tratti di sentimento, di pensiero astratto, di volizione od anche d’esperienza trascendente. Questa risposta del corpo è duplice: prende parte allo sforzo d’ attenzione del soggetto, e si adatta al suo tema; è universalmente noto che lo sforzo d’attenzione si accompagna con un accigliamento ed un irrigidimento della maschera; che la collera, la gioia ed ogni nostra emozione si esprime in gesti e in atteggiamenti; molti sono coloro che hanno notato che il nostro corpo intero partecipa ad attività mentali le gambe del Pensatore di Rodin “ pensano” con la stessa intensità della fronte. Quanto all’adattamento corporeo al tema del pensiero, non bisogna più farne la prova: la psico-fisiologia ci ha fatto sapere che ad ogni rappresentazione corrispondono sensazioni cenestetiche, attività glandolari, una messa in tensione motrice caratteristiche. Questo duplice processo non si svolge in modo qualunque: se è vero che l’organismo intero partecipa a ciascun avvenimento mentale, non è men vero che, nei diversi casi, sono regioni differenti dell’organismo ad essere interessate in modo dominante, al punto che, all’occasione, tale regione sembra essere la sola messa in azione, e che meccanismi d’esclusione mutua intervengono, legati agli antagonismi fisiologici ben noti. D’altra parte, uno stesso tema, secondo che sia pensato o sentito, che si orienti verso l’azione o resti quiescente, che provochi tale o tal’altro giudizio di valore (e quest’ultimo carattere è importante nella pratica ascetica), mette in opera centri differenti di sommazione dell’essere, di concentrazione dell’attenzione. Il “tema traccia la propria vita”.
Soltanto il pensiero errante, non sostenuto da uno stato timico definito, è sprovvisto di luogo fisico: esso ronza nella testa e sveglia reazioni somatiche passeggere che, all’occasione, possono diventare esse stesse centri d’attrazione per il pensiero che ha dato loro nascita, e fissarlo in modo spesso inatteso. Questo pensiero errante è determinato dal meccanismo complesso delle associazioni d’idee autogene, delle impressioni ricevute dall’ambiente esteriore e delle onde subcoscienti messe in moto a caso dalla meditazione ; questo pensiero ha un valore intellettuale mediocre, ma presenta nella vita ascetica pericoli reali, poiché troppo spesso si comporta come l’apprendista stregone di Goethe. Appena appare un pensiero dirigente o un sentimento centrale, ogni attività psichica vi si unifica intorno, acquista una più grande semplicità, una più grande coesione; il campo di coscienza si restringe e si illumina, e simultaneamente si definisce un luogo di concentrazione dell’ attenzione. L’esperienza degli asceti ortodossi ne ha definito un certo numero e li ha specificati con caratteri somato-psichici che permettono di riconoscerli. Indichiamoli brevemente.

Centro cranico cerebro-frontale

É localizzato, grosso modo, alla regione sopracciliare; forse è preferibile non andare oltre; poiché le testimonianze degli autori non forniscono alcuna base per localizzazioni più esatte; ci sembra (ma ciò è soltanto una semplice supposizione personale) che esso si situi all’ intersezione degli assi orbitali quando lo sguardo si dirige verso la regione frontale. Questo luogo corrisponde ad un pensiero astratto di una intellettualità purissima; può essere molto intenso, molto lucido e penetrante, ma e’ complesso, è instabile in quanto è retto dalle leggi dell’associazione; la sua unificazione intorno ad un tema esige un grande sforzo di concentrazione volontario che ne sospenda il libero gioco anarchico; questo sforzo comporta la fatica, poi si spezza, stremato di forze, e il pensiero si dissipa. È il modo di pensiero comunemente usato quando cerchiamo la soluzione di un problema o quando ci applichiamo a risolvere una difficoltà richiedente tutta la forza viva e tutta l’abilità del nostro intelletto.

Centro bucco-laringeo

Senza abbandonare completamente la regione sopracciliare, il pensiero può legarsi ed in corporarsi alla parola che l’esprime; quest’ultima, invece di essere soltanto pensata, è evocata, sentita, assaporata; acquista una potenza evocatrice propria dell’ordine dei valori emozionali (timici), di cui si carica, e si ripercuote sui pensieri più che nel caso precedente. I termini del pensiero perdono la loro astrazione, si arricchiscono di una certa colorazione timica che mancava ad essi e acquistano un valore rappresentativo più grande; il loro dinamismo tanto più si accresce ; e, tuttavia, il pensiero, essenzialmente discorsivo, fissato debolmente dall’elemento emozionale legato alla parola, resta in gran parte in balia del gioco delle associazioni irrazionali; per mantenersi nei limiti che esso s’ impone, deve lottare; resta instabile, alla lunga si dissipa e muore É tuttavia la forma del pensiero più comune: quella dell’ intelligenza che si esprime nella conversazione, la corrispondenza, e nei primi stadi della preghiera. É alla base dell’orazione giaculatori. Il luogo fisico che gli corrisponde si situa nell’area bucco-laringea.

Centro pettorale

È situato nella parte superiore e mediana del petto; l’orante resta molto vicino ancora alla sua esperienza precedente: pensieri e sentimenti vi vibrano allora al tempo stesso che sono espressi e gustati dagli organi della voce (alta, sussurrata o muta); oppure egli è sulla via del progresso verso il centro d’unificazione e di concentrazione perfette, e allora la sua preghiera resta silenziosa: il silenzio dell’anima, ha detto Sant’ Isacco il Siriaco, è il mistero del secolo a venire. La stabilità del pensiero, già palesemente colorato d’un elemento timico, è molto più grande dei casi precedenti, ma è ancora il pensiero che defluisce la colorazione emozionale e che è modificato da essa; così è ricco e variato malgrado un accrescimento d’unità; non cede spontaneamente; se alla lunga vien meno, non è per effetto di un infiacchimento dello sforzo d’attenzione intellettuale che è minore, in quanto l’intelligenza è sostenuta dalla carica emozionale del pensiero, ma per un crollo della tensione timica.

Centro cardiaco

È situato nella “parte superiore del cuore”, un poco al di sotto della mammella sinistra, secondo i Padri greci; “un poco al di sopra”, secondo Teofano il Recluso, il vescovo Ignazio Briantchaninoff ed altri. Forse, tenendo conto di un insieme di indicazioni disseminate, si potrebbe rischiare di dire che il luogo del cuore sia legato al seno carotideo; ci sembra tuttavia più sicuro non cercare di stabilire corrispondenze anatomiche troppo rigorose e di accontentarci della terminologia approssimativa in uso, poichè una maggiore precisione non insegnerebbe niente a coloro che non conoscono per esperienza i luoghi di cui è questione, e l’approssimazione è più che sufficiente per coloro che sanno ciò di cui si tratta.
L’attenzione è fissata “al di sopra del cuore”, dice Teofano il Recluso, come su una torre d’osservazione da cui lo spirito sorveglia i pensieri e i sentimenti che cercano di introdursi nella cittadella sacra, nel santuario della preghiera.
Il pensiero concentrato nel cuore perviene ad una coesione completa: è sostenuto da un elemento timico indivisibile, di una tale intensità che nulla di estraneo può innestarsi su questo pensiero nè penetrarlo. La potenza della carica emozionale posseduta in sè dal tema che occupa il pensiero e’ sufficiente ad allontanare ogni interferenza estranea ; tutta la vita interiore è “istantaneizzata”, vale a dire stabilita in un Presente duraturo e così ridotta all’unità; ogni emozione potente può essere l’ origine di questo modo di concentrazione: nell’ordine della vita secolare può essere una gioia intensa o un grande dolore; nell’ordine della vita spirituale, è un incontro con il Dio vivente, la percezione della Presenza reale e della realtà della Presenza personale di Dio, esperienza primordiale di ogni vita cristiana.
L’ intelligenza non ha da compiere sforzo alcuno per evitare che l’attenzione si dissipi; essa adempie il suo vero compito; vede e discerne; tutte le sue attività sono aspirate dal di fuori al di dentro, fissate in questo luogo fisico da un attrazione onnipotente e colà mantenute da una forza ad esse estranea, e tuttavia più intima all’anima dell’ anima stessa (Nicola Cabasilas) che ravviva il cuore e fa l’unità nel pensiero. L’ intelligenza, liberata, in virtù di questa beata captività dallo sforzo necessario per concentrarsi su un tema che le sarebbe esteriore, persiste senza fatica nella preghiera o nella meditazione. Libera da ogni lotta, da ogni incertezza da ogni preoccupazione, essa acquista una lucidità una vigilanza, una potenza e uno splendore che le erano fino allora sconosciuti Questo stato cesserà quando la grazia vivificante dello Spirito Santo sospenderà la sua azione. Insieme con queste manifestazioni della sfera noetica, la concentrazione dell’attenzione nel centro cardiaco ha ripercussioni timiche: il sentimento è vivo, fervente, purissimo, spoglio da ogni emozione e da ogni passione: è una pace ardente, inintelligibile e ineffabile; è anche una potenza per le sue esigenze e la sua ripercussione sulla sfera pratica; ed una luce. Lungi dall’oscurare il pensiero, come fanno le emozioni, essa lo sgancia interamente. L’ intelligenza resta pienamente e intensamente cosciente e libera – poichè l’anima, liberata dal suo ripiegamento su se stessa e svicolata non è mai passiva, agita da una forza estranea (lo stato agito è lo stato passionale stesso). Libera, può realizzare la sua vera vocazione che è di attualizzare tutto ciò che Dio ha messo in lei; d’essere pienamente se stessa, vale a dire conforme a Dio, e di diventare il Tempio del Dio vivente: “ La Volontà di Dio”, scrive un teologo russo, “è la libertà per gli angeli, la legge per l’umanità decaduta; non è maledizione che per i demoni”. In questa sinergia di Dio che si dà e della creatura che, per riceverla ed unirsi a Lui, si abbandona attivamente, l’anima talvolta conserva la piena padronanza di sè e può a suo piacimento restare silenziosa orientare la sua preghiera, tal’altra vede sorgere dalle profondità del suo essere che comunica con la vita divina la forma della sua relazione con Dio, prende coscienza del suo essere vero in Dio e si lascia condurre dallo Spirito che la chiama e la guida. Avendo percepito la Presenza, essa dimentica il mondo intero e non vede più che Dio, ma in Lui scopre l’amore che Dio stesso porta alle sue creature e, come sulle onde del riflusso, si trova ricondotta, piena di compassione e di tenerezza ma questa volta con Dio, verso quel mondo che aveva abbandonato per essere soltanto con Lui. Di nuovo a faccia a faccia col suo Signore, prega per questo mondo creato e amato da Dio, comunica con la sua Carità e questa partecipazione la strappa ancora al creato per immergerla in Dio. In altri casi, infine, è un silenzio ineffabile che si fa nell’uomo liberato da sè, ed egli contempla, nel riposo completo di tutte le forze del suo essere, la luce divina increata i misteri del mondo, della sua propria anima e del suo corpo (Sant’Isacco il Siriaco).
Questa esperienza può aver luogo secondo un modo estatico o non. L’estasi, il rapimento, sono, infatti, il segno di una vita mistica elevata; ma lungi dal significarne l’apogeo, traducono l’ incapacità dell’uomo a vivere nella pienezza della vita divina senza perdere contatto con la sua vita individuale particolare: ” L’estasi, dice San Simeone il Nuovo Teologo, non è dei perfetti, ma dei ma dei novizi. L’ideale da raggiungere è una vita d’unione perfetta che sia permanente, inalterabile e nella quale sia integrato l’uomo intero; spirito, anima e corpo, senza urti nè rotture d’ equilibrio, all’immagine di Nostro Signore Gesù Cristo; stato raro e di cui Sant’ Isacco ha potuto dire che appena uno su diecimila può raggiungere,,. Ogni preghiera vera, vale a dire fatta in una perfetta umiltà, con lo spogliarsi di ogni preoccupazione di sè, da un orante che ha fatto la sua pace con Dio, la sua coscienza e il Cosmo abbandonandosi a Dio senza ritorno, come pure ogni meditazione condotta nelle stesse condizioni, è presto o tardi vivificata dalla Grazia dello Spirito Santo. È allora che acquista i caratteri precedentemente citati dell’ordine timico e noetico, è allora che essa diviene il fermento di ogni azione a cui serve da criterio, che si trova ad essere il tutto della vita, che cessa di essere un’attività per diventare l’essere stesso ; allora la preghiera fissa la sua dimora nel luogo cardiaco, permettendo all’orante di adorare Dio dal fondo del cuore e di unirsi a Lui; altresì, il che è fondamentale, tutte le tecniche che permettono di scoprire e di localizzare questo luogo artificialmente, non hanno lo scopo di far scaturire la preghiera, e ancor meno di far nascere complessi d’emozioni somato-psichiche che sarebbero l’oggetto illusorio dell’esperienza mistica. Esse debbono indicare al novizio, cui sono destinate, dove è situato questo centro d’attenzione optima, affinché egli possa, quando sarà venuto il momento, riconoscere che è proprio da quel luogo che nasce la sua preghiera, e fissarvisi; lo stabilirsi dell’attenzione in questo luogo, crea, d’altra parte, le più favorevoli condizioni perchè la preghiera possa essere profonda e stabile ; ma, se è vero che la vera preghiera mette in opera questo luogo fisico dell’attenzione, occorre dire che l’attenzione può trovarvisi fissata al di fuori di ogni preghiera : come ogni artificio, quest’ultimo non può condurre l’uomo che fino a se stesso e non gli assicura alcun superamento ; la preghiera nasce in un atto di fede che ci mette a confronto con l’ Increato, il Dio personale e vivente: essa non dipende da alcun artificio e non può essere conquistata nè con l’astuzia nè con la violenza ; è libero dono di sè, da una parte e l’altra. il corpo non è dunque un organo produttore, ma un criterio oggettivo; ciò che si esige da esso, come pure dal pensiero discorsivo, è il silenzio ed il ritorno all’unità; è attivo, ma non creatore: è, come tutto nell’uomo, una terra fertile in attesa del seme; parte integrante dell’uomo totale, anche esso porterà i suoi frutti di santità, poichè è chiamato alla trasfigurazione, alla resurrezione e alla vita eterna.
Per il maestro il corpo, con tutti i suoi movimenti, è un prezioso strumento di prospezione, in quanto gli permette di discriminare fin dal primo momento certi stati, pur se il loro contesto psicologico è ancora impreciso, o meglio quando il discepolo è ancora incapace di percepire le sfumature della sua vita interiore. La scienza dei Padri in questa materia non è dunque un insegnamento della preghiera e nemmeno della vita interiore, ma una ascesi e una criteriologia dell’attenzione. Ciò equivale a dire l’ importanza di un maestro che guidi il debuttante al tempo stesso nella vita interiore e negli esercizi corporei, che li controlli ed impedisca al novizio di lusingarsi prendendo per effetti della grazia i risultati naturali della sua ascesi. Ogni errore di tecnica e d’interpretazione può, infatti, avere le più nefaste conseguenze, come l’ha provato l’esperienza dei monaci athoniti del XIV secolo e quella dl tutti gli imprudenti e di tutti gli orgogliosi che hanno creduto poter utilizzare senza guida le tecniche somatiche.
Immediatamente al di sotto del cuore, luogo fisico dell’attenzione in una vita spirituale sana, si trova la regione “dei reni e delle interiora” da dove nascono tutte le sensazioni cenestesiche che, ricevute e riprese da uno psichismo peccaminoso, conducono agli stati passionali che turbano il cuore e l’intelligenza. Al loro pieno sviluppo, questi stati si traducono in manifestazioni corporee e mentali che non possono affatto ingannare: sono i desideri sfrenati della carne e dello spirito. Ma all’inizio, queste sensazioni sono abbastanza simili a quelle che descrivono certi mistici e quindi possono sviare il novizio. L’area che le libera e permette ad esse di salire fino alla coscienza chiara o crepuscolare è molto vasta: comprende tutta la regione che è immediatamente al di sotto della mammella. Monaci ignoranti, senza guide, senza esperienza nè discernimento, hanno fatto la crudele esperienza di ciò che introduce nella vita interiore la concentrazione dell’ attenzione su queste zone. Sono i loro errori e le loro disgrazie che hanno, da secoli, alimentato gli argomenti di critica antiesicasta di Barlaam di Seminaria, di Gregorio Acyndinos, di Niceforo Gregoras e dei loro moderni successori più istruiti ma non più illuminati, che hanno trasmesso all’Occidente le loro vedute erronee sull’esicasmo e la teologia palamita, accusando i monaci dell’Athos di cercare, con la contemplazione del loro ombelico ed esercizi di soffocazione, la creazione di stati d’estasi che sarebbero lo scopo ultimo cui pervenire.
Se si mettono da parte i dettagli che specificano i diversi “ luoghi secondari” di questa vasta regione, si può dire che la fissazione dell’attenzione su uno qualsiasi dei centri di questa zona comporti l’oscuramento progressivo del pensiero lucido e della coscienza, che può andare fino alla loro estinzione completa, provocando stati crepuscolari più o meno stabili e più o meno duraturi; l’esacerbazione delle percezioni cenestetiche e, infine, l’ apparizione di manifestazioni passionali, incontrollate, corporee e mentali. Il sentimento libero e lucido,è sostituito dall’emozione somato-psichica passiva; la pace e il riposo attivo delle forze dell’anima dal turbamento e la violenza dei desideri e degli appetiti irrazionali; il silenzio del corpo dal disordine delle passioni e degli impulsi anarchici; la padronanza di sé da uno smarrimento più o meno completo del pensiero e del sentimento che diventano incapaci di comandare i nervi e di reggere il corpo. Ed il tutto porta spesso all’ alienazione mentale e ai disordini fisiologici.
L’uso degli esercizi corporei esige in modo più assoluto un maestro sperimentato e vigilante, e, da parte del discepolo, una grande semplicità e un abbandono attivo e fiducioso; le sue difficoltà aumentano, come pure i pericoli, con la complessità psichica del novizio e con l’ attitudine che dà la nostra educazione moderna a “guardarsi vivere”, invece di vivere. Questa ascesi, come abbiamo detto parecchie volte, modella una forma e non ha senso che per il contenuto che vi si trova inserito; si collega in maniera necessaria ad un ascesi mentale. Dobbiamo dare ora una descrizione delle tecniche stesse.

Tecnica diretta, fondamentale

Due maestri ce la fanno conoscere nei loro scritti: San Gregorio Il Sinaita, che, nel XV secolo, introdusse la Preghiera di Gesù sul monte Athos e ne fu l’instancabile propagatore; e San Simeone il Nuovo Teologo che fu il maestro eminente dell’ XI secolo.

San Gregorio il Sinaita:

“Siedi su di un seggio basso, fa discendere la intelligenza dalla testa nel cuore e mantienila in questo luogo; poi, penosamente inclinato fino a risentire un vivo dolore nel petto, nelle spalle e nel collo per la tensione dei muscoli, grida di cuore e di spirito: Signor Gesù Cristo, abbi pietà di me! Ciò facendo, trattieni il respiro, non respirare con troppo ardire, in quanto ciò può dissipare il pensiero. Se pensieri sopravvengono, non prestarvi attenzione quand’anche fossero semplici e buoni, e non solo vani ed impuri. Trattenendo la respirazione per quanto puoi, imprigionando la tua intelligenza nel cuore e moltiplicando pazienemente i tuoi appelli al Signore Gesù, tu spezzerai e annienterai rapidamente questi pensieri con i colpi invisibili che infligge loro il Nome Divino. San Giovanni Climaco dice: “Colpisci i tuoi avversari col Nome di Gesù; non esiste arma più; potente sulla terra o nei cieli”. Quando il tuo pensiero verrà meno, quando il tuo corpo e il tuo cuore saranno divenuti doloranti a forza di piantare in essi con frequenza il nome di Gesù, sicchè ogni occupazione avrà cessato di apportar loro il calore e la gioia necessari per sostenere lo zelo e la pazienza di colui che vi si dedica, allora (soltanto) alzati e solo o col tuo discepolo, salmodia o esercita il pensiero su tale passaggio delle Scritture o rifletti alla morte oppure leggi o dedicati al lavoro manuale o a qualche altra occupazione che faccia penare il tuo corpo”.

San Simeone il Nuovo Teologo:

“Devi in primo luogo vegliare a tre cose : prima, a non avere alcuna preoccupazione, buona o cattiva; in secondo luogo, devi avere una coscienza pura in tutto che nulla ti rimproveri; e per terzo, ad avere un distacco perfetto in modo tale che il tuo pensiero non inclini verso alcuna attrazione di questo mondo. Avendo fortemente stabilito tutte queste disposizioni nel tuo cuore, stai in un luogo ritirato, solo, in un angolo; chiudi la porta, concentra la tua intelligenza, allontana da essa ogni oggetto temporale o vano, appoggia fortemente la barba contro il petto; trattieni un pò la respirazione, fa discendere la tua intelligenza nel cuore mentre dirigi al tempo stesso su di esso gli occhi del corpo tuo, e presta attenzione a ciò che avviene ; costringi l’ intelligenza a restarvi legata e cerca col pensiero di trovare il luogo dove si trova il cuore affinchè la tua intelligenza vi si fissi completamente. Dapprima vi incontrerai le tenebre e la pena; ma poi, se perseveri in questo esercizio d’attenzione notte e giorno, tu ne ricaverai una gioia incessante. L’intelligenza, a forza di sforzarvisi, troverà il luogo del cuore, ed allora vedrà presto cose che mai ha visto e di cui non ha nozione: si vedrà luminosa, piena di saggezza e di discernimento. Ed allora, da qualsiasi parte possa venire un pensiero illegittimo, prima ancora che penetri nel cuore e vi introduca una qualsiasi immagine, l’ intelligenza lo scaccerà e l’ annienterà dicendo: Signore Gesu’ Cristo, abbi pietà’ di me! È a partire da questo momento che essa comincia ad avere risentimento ed odio per i demoni, li insegue, li colpisce e li annienta. In merito alle altre cose che avvengono nello stesso tempo, tu apprenderai a conoscerle più tardi con l’aiuto di Dio, da te stesso, con la tua propria esperienza, nella misura stessa in cui custodirai nel tuo cuore Gesù, vale a dire la preghiera indicata: “ Signor Gesù, abbi pietà di me!”.

Tecnica mediata accessoria

San Niceforo l’ Astinente ci dice: “Prima di tutto, che la tua vita sia libera da ogni agitazione, da ogni preoccupazione, sii in pace con tutti. Poi, ritirati nella tua cella, chiudi la porta dietro di te; siedi in qualche angolo e fai quanto ti dirò. Concentra il tuo spirito e fai seguire, per raggiungere il cuore, il cammino che segue l’aria, e costringilo a discendere nel cuore con l’aria che inspiri. Abitualo a non abbandonare questo luogo troppo presto, in quanto al principio esso soffre molto di restare così rinchiuso ed allo stretto, ma quando vi si abitua non vuol più errare al di fuori”.

Tecnica mista

Consiste nella sincronizzazione di un certo numero di battiti del cuore con ognuna delle fasi della respirazione, e nell’adattamento, ad ogni battito del cuore, di uno dei termini della Preghiera di Gesù.

Ulteriori consigli

A coloro che non ottenessero accesso al luogo del cuore con i mezzi precedenti, San Niceforo l’Astinente dà questo consiglio: “La facoltà d’elocuzione risiede nella laringe. Utilizzala dunque a ripetere incessantemente la preghiera di Gesù. Al principio, l’attenzione vi resterà estranea: a poco a poco tuttavia l’ intelligenza presterà ascolto alle parole, l’attenzione si fisserà su di esse; poi il cuore ne sarà commosso e la preghiera ti introdurrà da se stessa, senza sforzo da parte tua, nel suo santuario”.
Questa tecnica è essenzialmente differente dalle precedenti; scandalizza spesso coloro che ne sentono parlare, per ciò che vi è in essa di deliberatamente meccanico; come ammettere, come accettare, anche all’ inizio, l’assenza cosciente e consentita di attenzione; come questa preghiera fatta senza prestarvi attenzione può essere o divenire un atto pio? Noi ci troviamo qui di fronte al realismo senza reticenze dei Padri e alla loro straordinaria penetrazione: agli incapaci essi offrono una via che li condurrà alle più autentiche realizzazioni dello spirito ed essi sanno lottare contro ogni nostro nemico spirituale con le sue proprie armi: agli automatismi del pensiero, oppongono un automatismo che potrà vincere i suoi avversari, in quanto è ancora più semplice di loro; al concatenamento anarchico voluto dalle circostanze della vita di relazione, essi oppongono un ritmo autonomo poiché libera dall’ambiente colui che lo mette in moto, ma anche personale, poiché ognuno si sceglie il proprio e lo installa sui ritmi profondi del suo essere fisiologico e psicologico. La nostra esperienza, pur così povera, malgrado la sua apparente complessità, non ci insegna forse che l’attenzione analitica del nostro intelletto, molto spesso, dissipa la concentrazione, ne spezza l’unità profonda, disperdendone ‘lo sforzo su una moltitudine di oggetti? Invece la ripetizione monotona, ritmica, senza fretta e senza splendore, di una formula unica, breve ma possente in virtù delle rappresentazioni mentali che vi si legano e della Presenza reale di Dio, fa il silenzio nell’ intelletto, unifica l’attenzione sul piano timico e realizza in fin dei conti la piena concentrazione. È da questa esperienza che è nata l’orazione giaculatoria

Consigli di Teofano il Recluso

Teofano il Recluso dice “Sii come una corda di violino regolata su di una nota giusta. Senza illanguidimento nè tensione: il corpo eretto, le spalle in giù, il portamento della testa comodo, la tensione di tutti i muscoli orientata verso il cuore”.
È particolarmente interessante notare il giudizio che dà questo grande maestro di vita interiore sui metodi classici dell’esicasmo. Essi sono, egli dice, in sostanza, il frutto e la prova di una esperienza spirituale autentica. Hanno portato ad una conoscenza preziosa delle regole e delle vie della vita interiore, e hanno mostrato in particolare con evidenza l’importanza della dignità del corpo fin da questa vita nel nell’opera della salvezza e nella via di unione. Tuttavia costituiscono un pericolo per i novizi senza maestro poichè potrebbero soppiantare in essi l’opera spirituale stessa e indurli a prendere per carismatici stati naturali divenuti inabituali per noi.
Le tecniche classiche possono tuttavia, secondo lui, essere consigliate a coloro il cui cuore si è disseccato e chiuso nel formalismo dei riti e delle regole, e che non conoscono più che la forma senza vita della religione. La concentrazione dell’attenzione al cuore, per tutto ciò che comporta come ripercussioni somato-psichiche può far loro ritrovare l’emozione naturale e la vita, e condurli, sotto una direzione molto sicura, ai sentimenti apassionali della vera vita interiore.
É necessario dire una volta di più che tutte queste tecniche non costituiscono la vita in Dio, come non lo sono nemmeno la preghiera e la meditazione: esse fanno parte di una ricca ascesi liberatrice che abbraccia tutto l’essere e che è per natura negativa. Quando l’attenzione è stata unificata nel luogo di perfetta concentrazione e pronta a ricevere e ad elevare la sua preghiera, allora soltanto comincia l’opera spirituale.
Per la loro forma e per il loro tenore, la preghiera e la meditazione debbono essere fattori di coesione e di unità. Abbiamo consacrato al loro studio la introduzione e l’ultimo capitolo di un saggio pubblicato nel 1948 in Etudes Carmélitaines; vi rinviamo il lettore curioso di maggiori dettagli, poichè le tecniche mentali dell’esicasmo sono da loro sole un vastissimo soggetto. Tuttavia, prima di terminare questa esposizione, vogliamo dire una parola a proposito delle analogie che sono state segnalate fra il metodo esicasta e il Training Autogeno. In un articolo disgraziatamente troppo breve, il dottor Paul Zacharias cerca di stabilire un parallelismo fra i metodi psicoterapici di Autogenes Training e quelli che noi abbiamo descritti in questo articolo: egli trova che si è di fronte a due tecniche, non soltanto analoghe, ma quasi identiche; una sola cosa sembra mancare all’esicasmo: gli esercizi di risoluzione muscolare e nervosa. Noi non siamo certi che una intera giustizia sia stata fatta a qualcuna delle condizioni preliminari, sia di postura e sia mentali; forse una analisi più larga e più spinta dei due termini in presenza permetterebbe di precisare le analogie e di discernere qualche differenza passata sotto silenzio. Sembra tuttavia interessante osservare che uno psicologo di mestiere riabiliti nel suo dettaglio un’ascesi che è in uso denigrare in nome della scienza.

Fonte:

Ieromonaco Anthony Bloom

L’esicasmo yoga cristiano

Giuseppe Rocco – Editore – Napoli


<>











San Paisios del Monte Athos, Grecia (+1994)

San Paisios del Monte Athos (Farassa, 25 luglio 1924 – Souroti, 12 luglio 1994), particolarmente venerato in Grecia per la sua semplicità e le sue doti non comuni, è stato monaco del Monte Athos.

Vita

L’anziano Paisios del Monte Athos fu una notevole figura carismatica. Si chiamava Arsénios Eznepìdis e nacque a Farassa (in Cappadocia, oggi Feke nell’odierna Turchia) nel luglio del 1924. Il neonato Paisios, fu battezzato dal parroco del paese, un sacerdote monaco con fama di santità, Arsenio il Cappadoce. Gli diede il proprio nome. Dopo un poco la famiglia di padre Paisios, il parroco e tutto il paese lasciarono la turchia ed emigrarono in Grecia. Si stabilirono nell’isola di Corfù nella quale sant’Arsenio morì poco dopo. Da Corfù passarono a Igoumentista e da questa a Kontitsa. La loro grande povertà impedì al piccolo Arsenio di fare studi superiori. Già da piccolo si nota in lui una spiccata religiosità: amava isolarsi in preghiera nel bosco nel quale, racconta, aver avuto una visione di Cristo.

Terminato il suo servizio militare come marconista, nel 1950 spinto dal desiderio di divenire monaco si reca nel Monte Athos. Entra come novizio nel monastero di Esphigmenou. In seguito riceve il nome di postulante: Avérkios. Il 12 marzo 1956 lascia il monastero di Esphigmenou ed entra in quello di Philotheou, ed è qui che, pochi mesi dopo, prende la tonsura monastica col nome di Paisios. Il monaco aveva ardente desiderio di fare vita quasi eremitica, vivendo nel deserto dell’Athos ma ne fu impedito: “Una sera, mentre mi preparavo per partire per il deserto, improvvisamente mi aveva bloccato sul mio sgabello una forza invisibile. Quest’effetto duro per due ore. Pregavo versando lacrime quando sentii una voce: ‘Non andrai nel deserto, ma a Konitsa, dove ti aspettano gliuomini’. Dopodiché fui liberato. Dio mi mandava nel mondo”. Dall’agosto del 1958 padre Paisios sta nel monastero di Stomio, a Konitsa. Il 30 settembre 1962 padre Paisios lascia questo monastero, invitato dal vescovo-igumeno del monastero di santa Caterina sul Sinai. Laggiù rimase quasi un anno, non senza difficoltà, dal momento che il luogo gli causava notevoli problemi di salute.

Ritornò sull’Athos e, poco dopo, fu costretto a farsi operare. Gli asportarono una parte di un polmone. L’11 gennaio 1966 egli ricevette dalle mani del suo padre spirituale, papa Tichon, il grande schima monastico. Dal 12 agosto 1968, il padre, nonostante le sue precarie condizioni di salute, aiutò alcuni monaci a ristrutturare il monastero di Stavronikita.

Alla morte di papa Tichon, padre Paisios si ritirò a vivere nella sua cella senza abbandonare, però, Stavronikita. In seguito visse in una povera casetta non lontano dal monastero di Koutloumousiou dove riceveva continuamente molti pellegrini confortandoli e stimolandoli nelle virtù. Non di rado diversi tra loro testimoniavano avvenimenti miracolosi grazie alle preghiere dell’umile monaco.

Il 12 luglio 1994 il monaco morì, in seguito a complicazioni intervenute a causa di un’operazione al tumore diffuso in molte parti del suo corpo.

Un medico che lo operò testimoniò così: “Era la prima volta che vivevo a diretto contatto con un Anziano atonita e ne sono stato impressionato. La morte era per lui una redenzione; la considerava come un ponte che lo avrebbe aiutato a raggiungere Dio. L’esperienza che ho vissuto è qualcosa di molto commovente che non può essere descritto”.

Il corpo di padre Paisios è seppellito nel monastero di san Giovanni il Teologo a Sourotì, presso Salonicco, ed è meta di continui pellegrinaggi.

Il 13 gennaio 2015 padre Paisios è stato iscritto nel registro dei santi della Chiesa ortodossa su approvazione del Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico.con questo rescritto:

“Oggi, martedì 13 gennaio 2015, si è riunita, sotto la presidenza di Sua Santità, il Santo Sinodo nella conferenza regolare concernente l’esame degli argomenti dell’ordine del giorno. Questo stesso Santo Sinodo: a) ha accettato all’unanimità, su relazione del Comitato Canonico e ha registrato nell’Elenco dei santi della Chiesa ortodossa il monaco Paisios Athonita;[…]. Patriarcato di Costantinopoli, 13 gennaio 2015”.

Spiritualità

Ha una mentalità contraria a quella secolare

Per l’anziano atonita la spiritualità non è qualcosa d’etereo, una filosofia astratta, un lavoro psicologico e puramente consolatorio ma qualcosa di estremamente vivo e legato all’esistenza umana. Rappresenta la pratica cristiana vissuta con la presenza divina dello Spirito Santo, una presenza viva. Questa pratica è totalmente contraria alla mentalità secolare. Per questo l’anziano scriveva:

“Quanto più un uomo è spirituale tanto meno ha diritti in questa vita. Egli dev’essere paziente, accettare le ingiustizie e anche gli insulti degli altri. Invece un uomo sbilenco, di cattivo carattere, lontano da Dio, pensa di avere molti diritti: calpesta, insulta e fa ingiustizie agli altri. Bisogna non dimenticare che i nostri diritti sono salvaguardati da Dio per la vita eterna. Ma noi, molte volte, chiediamo stupidamente di essere giustificati in questo mondo; di non subire nessun danno. Se poi ci dicono qualcosa cerchiamo subito di gistificarci. Poi pensiamo di credere in Dio. Questo è un prendere in giro lo stesso Signore. La giustizia umana non dice nulla all’uomo spirituale, ma certamente è un freno per l’uomo duro e storto”.

Fatta questa precisa divisione di campi, logica e giustizia divina da una parte, logica e giustizia umana dall’altra, il monaco aggiungeva: “Non contare sulla tua conoscenza. Per poter accogliere dentro di te la conoscenza divina devi abrogare la conoscenza secondo il mondo. Diventa semplice come un bambino. Non vantarti della tua conoscenza. La conoscenza gonfia”.

In queste riflessioni si nota tutta la distanza tra la spiritualità dell’asceta atonita e quella tipica di una religiosità in cui si cerca di accordare principi molto umani con il vangelo, cosa non possibile per padre Paisios. Infatti per lui l’uomo spirituale non si ferma alla giustizia umana ma la supera perché abbraccia quella divina, non può fermarsi alla conoscenza mondana che spesso è d’ostacolo a quella divina ed evangelica.

È caratterizzata dal discernimento e dalla ricerca sincera di Dio

L’asceta atonita parlava di spiritualità, ossia di pratica evangelica, in modo molto semplice e profondo al contempo. In questo modo si faceva capire anche ai più illetterati. La sua spiritualità era associata ad una notevole capacità di discernimento nella quale non esisteva alcuna imposizione. Egli infatti scriveva:

“Spesso osservo una cosa strana che succede agli uomini spirituali e che mi ricorda il mercato. Lì tutti gridano: uno racomanda le sue arance, un altro le sue barbabietole e così via. Ciascuno si preoccupa di vendere la propria merce. Qualcosa di simile succede anche ai cristiani. Alcuni dicono: se entri in quest’associazione ti salverai, se entri in quell’altra ti salverai, mentre molti uomini non sono chiamati né all’una né all’altra, ma ad una terza. Per l’amore di Dio! Un vero uomo di Dio offre solo un aiuto; mai soffoca l’altro. Supponiamo che io vada in un campo militare per parlare di monachesimo. Certamente non dirò loro bugie, ma fatti. Cosa può succedere? Tutti quelli sono chiamati a diventare monaci? Certamente no. Farei dunque del male a coloro che seguissero, a causa mia, il monachesimo senza avere vocazione, perché dopo ne soffrirebbero e sarebbero dei falliti. Quello che devo fare, invece, è trovare quel puro che ha la vocazione monastica, ed aiutarlo concretamente nella realizzazione della sua chiamata”.

Il monaco incontrava molte persone, sia quando stava nel monte Athos, sia quando le esigenze lo chiamavano in altri luoghi. Per quanto facesse una vita prevalentemente dedita alla preghiera, non mancava mai d’istruire ed edificare gli altri. Tutto ciò non lo stancava tranne nel caso in cui si trovava davanti a persone senza alcun interesse spirituale.

“Quando la discussione è spirituale non mi stanca. Il problema incomincia quando si fanno tante domande senza senso. Se gli uomini che le fanno fossero illetterati, allora si giustificherebbero. Si tratta però di scienziati che mi chiedono, ad esempio, qual è il rapporto tra lo spazio ultraterreno e la coscienza dell’uomo. Tira tu le conclusioni! A questi uomini di solito dico: ‘Ho il caffè pronto e due scatole di aspirine. Sedetevi all’ombra e a poco a poco risolveremo il problema’. In questi casi occorre sia il caffè che le aspirine… Al contrario, una volta sono rimasto sveglio per tre notti di seguito; eppure non mi sono stancato. Ma quando capita qualche discussione con uomini di cultura solo esteriore, senza profondità o interessi spirituali, allora essi mi provocano il mal di testa con le loro domande. Questo è ciò che mi stanca”.

Non è prodotto umano ma della grazia divina

Che per il monaco atonita il rapporto con Dio non fosse qualcosa d’intellettuale o di psicologico ma di vissuto in modo molto concreto ossia d’esperienziale, dono di grazia, lo si nota anche i questi suoi appunti nei quali si riferisce alla grazia di Dio descrivendola come una forza che lo attraversa:

“Quando viene la grande grazia, l’uomo non la può sopportare. Si scuote tutto, allo stesso modo in cui il corpo viene scosso dalla corrente elettrica. Non può sopportare una così grande beatitudine. S’immerge nelle lacrime, nella beatitudine, nella gioia inesprimibile, nell’eros divini; si trasforma. Mi ricordo di quello che mi è accaduto in passato. Avevo le reliquie di sant’Arsenio di Cappadocia [il parroco che lo battezzò] sul mio letto e vegliavo pregando tutta la notte. All’improvviso è apparso il diavolo che mi ha afferrato gridando: ‘Che reliquie sono queste?’. Allora anch’io ho gridato: ‘Santo di Dio, aiutami’. Subito il diavolo è sparito e l’anima mia si è immersa in una beatitudine inesprimibile. La mattina, un mio conoscente vedendomi, è rimasto sorpreso dalla trasformazione che la grazia aveva provocato sul mio volto”.

In un altro passo l’anziano racconta un’esperienza personale ma in terza persona per non glorificare se stesso, cosa che era solito fare:

“Vi racconterò di uno la cui cella, alcuni giorni fa, sovrabbondò di luce divina, mentre egli stesso non sentiva di essere nel suo corpo. Era rapito nello spirito. Ritornato nello stato naturale e sparita la luce increata e celeste, quest’uomo guardando la luce del sole ha capito la grande differenza tra le due. Inoltre sentiva il suo corpo molto pesante. Allora cominciò a piangere forte per la mancanza di quella dolcezza e di quello splendore”.

In questo, padre Paisios non fa che rieccheggiare, pur nei termini suoi propri, la dottrina spirituale degli asceti antichi per i quali la vita spirituale è esperienza, pratica, incontro con Dio nella sua grazia, per quanto in modo non sempre chiaro ed evidente. Si noti pure come per Paisios la grazia non è una sorta di semplice “giustificazione divina”, come potremo notare in alcuni pensatori della riforma luterana o una semplice “garanzia per il Paradiso”, ma una vera e propria presenza di Dio che trasfigura l’umano e si fa riconoscere già nella dimensione terrena: “la grazia aveva provocato una trasformazione sul mio volto”. Questa particolare dottrina la possiamo notare anche in san Gregorio Palamas (XIV sec.) che fu, pure lui, monaco atonita e, in genere, nella Chiesa ortodossa.

Richiede una vera e propria lotta da parte dell’uomo

Ciononostante, la pratica cristiana per padre Paisios non dev’essere la ricerca di consolazioni, non è composta solo da una continua e fervente preghiera ma è soprattutto caratterizzata da una vera e propria lotta per fare spazio dentro di sé alla grazia divina nella pratica dei comandamenti e dei precetti evangelici. L’uomo dev’essere molto determinato in quest’opera ascetica evitando quanto lo può stornare da Dio:

“Alcune volte nella vita spirituale bisogna sforzarci. A volte soffriamo di inappetenza spirituale. Allora occorre sforzarci, mangiare un boccone e così l’appetito verrà. Lo stesso facciamo con la nostra mano che ha preso una storta: se l’accarezziamo solo non guarirà mai. Ci vuole un movimento repentino, affinché la mano possa ritornare nella sua posizione giusta. Non dobbiamo assomigliare alla tartaruga che è partita per il matrimonio ed è arrivata al battesimo”.

In questo lavoro ci vuole molta forza e pazienza:

“Senza pazienza non si fa nulla. Alcuni sono così impazienti che assomigliano a uno che ha piantato una vite e il giorno dopo vuole bere il suo vino. Questo però è impossibile. Chi non ha pazienza soffre: sente il doppio del freddo quando c’è freddo, e il doppio del caldo quando c’è caldo, come il soldato che pensa che l’ultimo mese del suo servizio sia più lungo di quelli passati. Occorre molta pazienza in tutto e specialmente nelle cose spirituali”:

E ancora sullo stesso stile l’asceta aggiunge:

“Non leggete i giornali e non guardate la TV. Spesso anche i giornali religiosi fanno del male ai cristiani provocando rabbia contro altre persone e, in genere, causando confusione. Siate attenti a tutto! Leggete solo i libri dei Padri”.

La letteratura patristica è per Paisios l’aiuto più efficace per comprendere la Sacra Scritura e questo lo aiuta anche nella lotta ascetica indicando un giusto stile. Per questo Paisios insegna:

“La battaglia contro [il proprio] uomo vecchio [= l’uomo che ragiona e vive mondanamente] si deve condurre con filotimo [= con generosità e nobiltà], con senso della propria miseria, con speranza, con consolazione, con sicurezza e respirando l’ossigeno spirituale. Ma tutto ciò viene assicurato da un cammino retto. Non occorrono atteggiamenti a buon mercato, ossia un’obbedienza forzata o una preghiera senza coinvolgimento personale. Non ci vogliono lacrime e tristezze che provengono dal diavolo. Io devo piangere i miei peccati ma sperare nell’amore di Dio, non divenendo triste come vuole il diavolo. Dovete vivere con semplicità, come il bambino nelle mani di suo padre”.

Viceversa, “Oggi anche nella vita spirituale si cerca di giungere a Dio subito e senza fatica, ma non è possibile! Ci vuole la fatica, fatica del corpo!”.

Infatti, “La santificazione non si raggiunge senza fatica e lotta”.

D’altra parte, “il corpo vuole passarsela bene. Noi però lo dobbiamo crocefiggere. Ma quando? Quando una persona è debole e crocifigge il suo corpo, questo non ha senso. Ma quando il corpo è sano e ribelle, allora va crocifisso perché obbedisca allo spirito. Se, ad esempio, la carne vuole che il piatto sia pieno zeppo e il cibo sia alto come la cima del monte Athos, oppure quando essa desidera del vino, allora le togliamo tutto ciò. Così il corpo viene crocifisso”. In questo, Paisios non crede che il corpo sia un male ma che, essendo debole, ha bisogno d’essere educato ed elevato, non assecondato.

È al di sopra della semplice razionalità (che caratterizza la mente) perché ha casa nel cuore

Davanti ad un uso continuo ed esasperato della razionalità, dell’autogiustificazione e dell’autosufficienza nel Cristianesimo, l’asceta insegna a diffidare da questi atteggiamenti che per lui sono cristianamente fuorvianti:

“Quanto più l’uomo si fortifica spiritualmente, tanto più Dio gli permette di comprendere ulteriormente sia il senso del peccato sia i doni divini. In questo caso l’uomo intelligente s’identifica con l’uomo santificato. Il diavolo non va a caccia degli stupidi, ma degli intelligenti, cioè di coloro che sono vicino a Dio e comincia a farli soffrire usando le armi dell’autosufficienza, della razionalità, della ragione e del giudizio. Perciò dobbiamo ‘mettere la nostra testa nel frigo’ fino a quando Dio non ce la restituirà santificata. Nessuno è mai guarito da solo e nessuno sarà salvato senza l’obbedienza”.

Nella spiritualità di Paisios abbiamo la dialettica mente-cuore. Il mondo vive con la mente facendo continua leva sulla razionalità con la quale ha costruito la sua civiltà. Il cristiano santificato vive con il cuore (ossia con la profondità spirituale, non con il sentimento!) che ha una logica spirituale oltre la mente e che la mente non può comprendere. Per questo un Cristianesimo appoggiato sul razionalismo non può comprendere la logica spirituale e finisce per vivere lontano dal vangelo. Ecco allora la necessità di mettere la mente nel “frigo”, ossia ghiacciare l’attività razionalistica per far spazio al cuore. Da qui proviene la conseguenza: “Chi vive con il cuore si riposa. Invece chi vive con la mente si stanca”. Con la mente ci si inganna ma il cuore non s’inganna. Solo con la grazia di Dio e la collaborazione ascetica umana l’uomo può passare dalla logica della mente a quella spirituale del cuore. Infatti, come afferma l’asceta, “Cristo colpisce il cuore [= parla ad esso], il diavolo la testa [= fa discorsi razionali per condurre lontano dalla vita in Cristo]”.

Questa divisione mente-cuore si collega, a sua volta, all’antropologia propria ai Padri greci ed è sintetizzata nel XIV secolo da san Gregorio Palamas al quale si rimanda.

Si fonda sulla confessione della vera fede

Per padre Paisios, come per tutta la tradizione patristica antica, la spiritualità non può che fondarsi sulla retta fede o presupporla.

“Noi ortodossi crediamo e confessiamo che il Verbo di Dio [Gesù Cristo] non è stato creato [=non è una creatura come noi] ma è nato dal Padre prima di tutti i secoli prendendo carne dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. Così ha portato la salvezza al mondo. Discorsi che vengono dall’intelligenza non portano alcuna trasformazione alle anime, poiché questi sono carne. La Parola di Dio che nasce dallo Spirito Santo possiede in sé l’energia per trasformare le anime.

Lo Spirito Santo non discende sull’uomo per mezzo di macchine. È per questo che la [vera] teologia non ha nulla a che vedere con lo spirito scientifico. Lo Spirito Santo scende da solo quando trova nell’uomo delle predisposizioni spirituali”.

Incontri con persone di altre Chiese, fedi e con gli agnostici e gli atei

Verso il Cristianesimo occidentale

Nei suoi frequentissimi incontri con le persone, padre Paisios ha avuto pure modo di confrontarsi con gente di altre fedi o confessioni cristiane. Con esse aveva lo stesso atteggiamento del santo prete che lo battezzò: amabilità ma allo stesso tempo chiarezza e solidità nelle proprie convinzioni. Riportiamo a titolo di esempio un dialogo avuto con un religioso cattolico:

“Guarda, la differenza tra l’Occidente e l’Oriente è una sola… cioè la logica [λογικη]; l’Occidente crede in essa l’Oriente crede nello Spirito Santo. Non è il Credo, il ‘Filioque’ o le altre differenze… perché il ‘Filioque’ si può anche intendere bene. È lo Spirito Santo che conta e l’unione delle Chiese si fa così; se si è uomini di Dio, se si ha lo Spirito Santo allora si è Uno… l’unione potrà avvenire tramite questa via, non tramite altre strade che sono una presa in giro e farse. Come il Patriarca Atenagora che ha preso in giro Paolo VI e Paolo VI Atenagora. Vedi, io ho fatto solo le elementari non ho studiato teologia, ho letto solo, oltre alla Scrittura, l’Everghetinòs [i Padri del deserto], l’Abbà Isacco, il Sinassario… ho sempre cercato giorno per giorno la luce dello Spirito Santo… il resto non importa. Anche in Oriente la logica sta entrando molto nella Chiesa e c’è grande confusione; la maggioranza dei vescovi pensa con lo stesso cervello e mentalità del sindaco… Invece è lo Spirito Santo che ci fa uno”.

“Lo ripeto: è la logica il male di tutto, il pensiero… A Tessalonica c’è una scuola teologica abbastanza buona, ma ad Atene…le cose più assurde vengono da lì! Fortunatamente nell’Ortodossia c’è molto sale, ma anche i nostri si stanno piegando al sistema della scienza, vanno a studiare all’estero… pensa, hanno inventato pure la scienza della pastorale per i parroci e ci mettono dentro pure la psicologia! Ma lo Spirito Santo cosa ci sta a fare? Lasciamo ai tedeschi il mestiere di pensare e pensare per fare nuovi aerei e nuove bombe…”.

“Non voglio dire che non ci sono differenze dogmatiche… ci sono… ma sono tutte riconducibili a quel male di cui ti parlavo prima [il razionalismo]”.

Nell’incontro con un cattolico padre Paisios affermò:

“Vedi, questo atteggiamento severo che c’è qui nel Monte Athos verso i romano-cattolici non è per mancanza d’amore. È come se un medico desse ad un malato dei dolci per guarirlo; no, deve dargli erbe amare. Così non si può ingannare la gente con un falso ecumenismo, ma dire le verità. Purtroppo …. anche nella Chiesa ortodossa molti imparano dall’Occidente. Bisogna invece tornare alla tradizione dei Padri… La Chiesa in Occidente si è costituita in forma di stato e ha coniato la sua moneta [νομισμα], ha sostituito il cervello allo Spirito… ma questo sta succedendo anche qui in diverse parti per imitazione e influenza dell’Occidente. Vedi, non basta la buona disposizione e l’intenzione, ma occorre aderire alla verità, quando lo Spirito illumina… Con la buona disposizione si può giungere fino ad uccidere dei monaci come ha fatto il patriarca Veccos quando uccise molti monaci nel monte Athos che si opponevano all’unione con la Chiesa d’Occidente”.

Verso altre fedi

Nei riguardi delle religioni non cristiane padre Paisios affermava:

“Per andare in India ci vuole qualcosa di molto potente. Là non sono come in Africa. Hanno una vita e alte teorie spirituali, fanno muovere gli oggetti [con il pensiero]! È vero che sono forze demoniache e magiche, ma intanto li fanno ballare… e bisogna che noi siamo abbastanza forti nello Spirito per far ballare pure noi gli oggetti….”.

A tal proposito tra il popolo greco si racconta che una volta padre Paisios incontrò un buddista in grado di frantumare piccoli sassi con il pensiero. L’anziano non lo disprezzò e anzi aggiunse: “Sei molto bravo!”. Poi gli passò un’altra piccola pietra sulla quale aveva segnato una croce. Il buddista per quanto s’impegnò non ce la fece a rompere quella pietra.

Verso gli agnostici e gli atei

“Un giovane vivace diceva all’Anziano: ‘Non c’è Dio. Non credo’.L’anziano gi rispose con bontà: ‘allora vieni vicino a me. Lo sai che la cicala che ora canta parla di Dio? Vedi questo gattino! Che bella pelliccia che ha, è migliore pure di quella di una regina!’ Il giovane si commosse alle parole dell’Anziano e la sua incredulità si addolcì”.

“Una volta un professore universitario visitò l’Anziano e gli disse: ‘Ho difficoltà a credere che Dio esista. Sono un uomo colto, vivo in Occidente e tutto ciò che dici e fai si può spiegare razionalmente. Certo, esiste qualche forza, ma non posso accettare tutto quello che dici su Cristo e sui sacramenti’. L’Anziano dopo averlo ascoltato gli rispose con tono brusco: ‘Sei più stupido di una lucertola!’. Offeso dalle parole dell’Anziano il professore reagì. L’Anziano insistette: ‘In verità tu sei più stupido di una lucertola e te lo dimostrerò’. L’Anziano chiamò subito una lucertola. All’animaletto che corse da lui chiese se Dio esistesse. La lucertola si alzò su due zampe e chinò la testa dando con questo movimento una risposta positiva all’Anziano. Il professore ne fu sorpreso e iniziò a piangere. L’Anziano soggiunse: ‘Hai visto che tu sei più stupido di una lucertola? Essa sa che Dio esiste e tu, con la tua intelligenza, non hai compreso la sua esistenza’. Il professore lasciò la cella dell’Anziano tutto scosso”.

Ruolo del monachesimo

Per padre Paisios il monaco è essenziale non solo per la Chiesa ma per il mondo intero, dal momento che interagisce con forze di ordine spirituale che innervano tutta la realtà. Per questo la funzione più importante del monaco è la preghiera.

“Il proprio del monaco è di sudare, marcire, scoppiare nella propria cella. La preghiera è l’arma più potente di tutte. Se aiuto o libero un carcerato, non ho fatto molto: la preghiera lo salva non per questa vita, ma per la vita eterna. Non è proprio del monaco visitare i malati, ma pregare per la loro anima. Nella Chiesa ci sono quelli che curano i malati e quelli che li assistono. Il monaco è un’altra cosa. Ma chi è più prigioniero dei defunti, di quanti sono nell’Ade e non possono fare nulla per la propria conversione? Noi invece possiamo salvarli. Dobbiamo fare preghiere e metànie [=prostrazioni] per i defunti! E ciò anche per i vivi: solo la preghiera può costringere Dio ad intervenire di forza in certe situazioni: Dio rispetta la libertà dell’uomo altrimenti il diavolo gli direbbe: ‘Ehi, perché agisci così?’. Invece quando un cristiano prega, costringe Dio ad intervenire con potenza anche contro la libertà di quel poveretto che giace nel peccato! Ma perché noi monaci andiamo a cercare altre strade che non sono efficaci e potenti come la preghiera, la vita nascosta? Anche noi qui subiamo l’influenza dell’Occidente”.

“Durante la guerra del Golfo l’Anziano era chiuso nella sua cella e non riceveva nessuno. Aveva aumentato il tempo della sua preghiera affinché il conflitto non diventasse ancora più letale. Più tardi disse ai suoi visitatori: ‘Con la preghiera non possiamo evitare ciò che ha previsto Cristo. Ma egli ci ha consigliato di pregare affinché sia giorno e non notte, sia estate e non inverno. Con l’aiuto della preghiera il male si controlla e diminuisce”.

“Sono venuti a trovarmi due cattolici. Erano uomini buoni ed esercitavano la professione di architetto. Mi dissero che il monachesimo dell’Ortodossia non offriva nulla, mentre il loro offriva una grande missione, quella dell’evangelizzazione. Ho spiegato che l’apostolato dei monaci è diverso, differisce da quello dei chierici che vivono nel mondo. Se eliminassimo i fari dalle rocce sul mare, che cosa succederebbe alle navi? I monaci hanno appunto la funzione di essere i fari sulle rocce dell’umanità”.

Rapporto con il mondo animale

Una delle specificità dell’anziano Paisios fu quella di avere un rapporto profondo e armonioso con il mondo naturale e animale a lui circostante.

Egli insegnava: “Se ami gli animali, costoro lo sentono e ti vedono in un altro modo, come un amico. Nel paradiso, prima della caduta, gli animali erano amici dell’uomo, Adamo aveva il carisma della previsione spirituale, intuiva i bisogni degli animali e li aiutava. L’aquila mangiava solo gli animali morti; solo dopo è divenuta selvaggia e mangia anche quelli vivi. Tutti gli animali erano domestici, ma dopo la caduta si sono inselvatichiti”. Non mancò chi testimoniò d’aver visto il monaco dialogare con passerotti, orsi, serpenti e aquile e questi gli obbedivano. Altrove l’Anziano disse:

“Quando io mi metto al posto della bestia selvaggia, inizio ad amarla e posso avere compassione pure per i serpenti. […] L’amore divino tocca gli animali selvaggi. Una bestia selvaggia è in grado di discernere se un cacciatore viene a ucciderla. Si avvicina all’uomo che l’ama, non ha paura di lui”.

“Egli chiamava i leprotti selvatici come noi chiamiamo i gatti e questi non avevano paura di vivere con lui. Questo leprotto era stato trovato dall’Anziano nei presso degli albicocchi, gli aveva fatto un segno di croce sulla fronte e chiese al suo figlioccio Basilio come ad altri cacciatori di non ucciderlo”.

Carismi e miracoli

Non è possibile esaurire la lunga lista di eventi inspiegabili che hanno caratterizzato la vita e sono avvenuti dopo la morte di Paisios a causa sua.

Per dare solo una vaga idea di essi se ne farà due rapidissimi accenni tratti da testimonianze.

Al di là delle leggi naturali

Costantino Coutsoyannis racconta: “Un giorno stavo trasportando l’Anziano dal monastero della Preziosa Croce, in Calcidica, fino a Sourotì [località in cui si trova un monastero femminile]. Durante questo tragitto fummo immersi in una pioggia torrenziale al punto che, si avrebbe detto, le cataratte del cielo si fossero aperte. Al nostro arrivo le monache ci attendevano con ombrelli e mantelli da dare all’Anziano affinché non si bagnasse. Mi fecero segno di avvicinarmi il più possibile all’edificio. Ma in modo sorprendente in un istante e per un raggio di due metri attorno alla vettura la pioggia cessò di cadere mentre poco più in là c’era il diluvio. Quando l’Anziano discese e mi ebbe salutato entrando, ricominciò a piovere normalmente pure sulla vettura”.

Eventi di guarigione

“Qualche anno fa, quando il buon padre viveva ancora, caddi malata. Mi diagnosticarono un tumore. Mio figlio andò a trovare l’Anziano e gli disse che mi avrebbero condotta all’Ospedale Théageneio di Salonicco come fu. In una sala operatoria, con una rapida biopsia, mostrarono che avevo un cancro. Sei giorni dopo i medici mi dissero che se il sangue non si fermava di scendere dalla piaga mi avrebbero condotto in sala operatoria. Mio figlio tornò a vedere il buon padre che gli disse: ‘Tua madre non s’inquieti, non è nulla. I chirurghi hanno sbagliato di fare un’operazione’. Gli donò un komboskìni (=una specie di rosario) dicendogli: ‘Dallo a tua madre e dille che con questo appenderà i medici alla parete’. Il settimo giorno, quando l’Anziano era nella Santa Montagna, apparse in Ospedale! ‘Vidi l’Anziano accanto a me mentre sistemava i tubicini che drenavano il sangue. Prima del tempo di ringraziarlo sparì’. La sera giunsero i medici e constatarono che il sangue non colava più, l’incisione si era chiusa e, conseguentemente, gli esami furono tutti negativi. Non avevo bisogno né di aspirina né di chemioterapia. Più tardi, dopo la mia uscita dall’Ospedale, incontrai l’Anziano nel monastero del Venerabile Precursore e lo ringraziai d’essere giunto in Ospedale per vedermi. Egli mi rispose: ‘Bambina mia, sono venuto perché i medici ti hanno ingiustamente maltrattata’ “.

Visioni

Un altro fenomeno inspiegabile di cui fu protagonista padre Paisios e che lui stesso riferiva, furono alcune visioni. Non era oggetto solo di visioni demoniache ma, più spesso, di visioni di santi. Riportiamo solo un esempio. Paisios narrò che, in un determinato periodo, dei vescovi greci gli avevano sottoposto alcuni gravi problemi ai quali non erano riusciti trovare risposta. L’asceta non potendo aiutarli, iniziò a ricorrere alla preghiera chiedendo l’aiuto di sant’Eufemia, un’antica santa del IV secolo alla quale era devoto. Passato un certo tempo in cui chiedeva questo aiuto, un pomeriggio sentì bussare alla porta della sua casetta. Alla sua domanda chi fosse, una voce femminile risposte: “Sono io, Eufemia”. “Eufemia, chi?”, riprese l’asceta. Si fece silenzio e la visitatrice riprese a bussare. L’asceta chiese nuovamente chi fosse e gli fu risposto al medesimo modo. Ad un certo punto, il monaco vide la figura della visitatrice entrare nella sua casetta, nonostante la porta fosse rimasta chiusa. Appena Paisios si accorse che l’apparizione non era demoniaca (la santa apparsa venerò l’icona della Trinità), le chiese la soluzione ai problemi che gli erano stati posti. Poi aggiunse: “Vorrei che tu mi dicessi come hai sopportato il tuo martirio”. Al che, l’apparizione rispose: “Padre, se allora avessi saputo come sarebbe stata la vita eterna e la bellezza celeste che le anime godono nello stare vicino a Dio, onestamente avrei chiesto che il mio martirio durasse sempre, dal momento che non fu assolutamente niente in confronto dei doni della grazia di Dio!”.

Bibliografia

Cronache dal Monte Athos, a cura di Lorenzo Diletto della Piccola Famiglia della Resurrezione, Valleripa 1986.

Dionisios Tatsis, non cercate una santità a buon mercato. Vita e insegnamenti dal Monte Athos, EDB 1997.

Père Paissios moine du Mont Athos, Lettres, Monastère Sain-Jean-Le-Théologien, Souroti de Thessalonique 2004.

Hiéromoine Isaac, L’Ancien Paissios de la Sainte Montagne, L’Age d’Homme, Lausanne 2008.

<>







PAUL FR. BALLESTER CONVALIER (+1984)

PERCHÉ ABBANDONAI LA CHIESA CATTOLICA ROMANA

“Sempre pronti a rispondere a vostra difesa a chiunque vi domanda ragione della speranza ch’è in voi” (I Pietro 3, 15)

ATENE 1954 
TRADUZIONE DAL GRECO

IC XC
NI KA

NAPOLI

PRESSO LA CHIESA DEI SS. PIETRO E PAOLO DEI NAZIONALI ELLENI

1955

AL NASCENTE MOVIMENTO

ORTODOSSO ITALIANO DEDICO

† A. B. K.

INVECE DI PREMESSA

Nell’ottobre dell’anno scorso 1954 è sorto a Catania ed a Firenze, promosso da Italiani di puro sangue, un movimento che mira non ad un Cattolicesimo riformato, ma addirittura ad un ritorno completo e sincero alle origini, cioè alla genuina Chiesa Cristiana esistente prima del funesto grande scisma tra Oriente ed Occidente consumato dal Papa Urbano II nell’anno 1098 nel Sinodo di Bari da lui ivi convocato. I pionieri di tale movimento hanno trovato tale Chiesa primitiva nella Chiesa Ortodossa Cristiana che è infatti l’unica genuina continuatrice della Chiesa fondata da Gesù Cristo e divulgata dai SS. Apostoli.
È molto commovente il fatto che proprio in quest’anno che è il novecentesimo dagli inizi dei primi aperti contrasti ecclesiastici tra Occidente e Oriente, che condussero poi all’anzidetta separazione definitiva dell’anno 1098, ha inizio con il movimento Ortodosso italiano in parola, il ritorno alla retta dottrina di Cristo dei popoli Occidentali trascinati allo scisma. Il detto movimento Ortodosso italiano, pur giovanissimo e recentissimo, conta già in Catania ed in Firenze due Vescovi, quattro presbiteri, un diacono e circa duecento aderenti e moltissimi simpatizzanti.
Ora, il molto Rev. Paul Fr. Ballester Convalier ex Frate Francescano in Spagna – ora Presbitero Ortodosso – abbandonò anch’egli il Cattolicesimo Romano e scrisse poi in greco un opuscolo intitolato “La mia conversione all’Ortodossia” in cui espone con molta chiarezza il dramma della sua anima a tale riguardo. Egli spirito studioso, occasionalmente veniva messo in seri dubbi circa la verità di alcune dottrine fondamentali della Chiesa Romana a cui apparteneva ed ha cercato sinceramente e ad ogni costo e sacrificio di arrivare al fondo della questione. Ed è riuscito a trovarne, da solo, l’uscita dal cieco vicolo in cui inconsciamente si trovava. Il dramma spirituale esposto dal Rev. Convalier è, senza dubbio, il dramma di numerosissime altre anime incapaci di trovare l’uscita dal cieco vicolo. Per venire incontro a tale stato e specialmente a tutti i simpatizzanti del suddetto «Movimento Ortodosso italiano» sentiamo il dovere di presentare in debita traduzione il su riferito documento del Rev. Convalier, sostituendo il titolo originale: “La mia conversione all’Ortodossia” con quello: “Perché abbandonai la Chiesa Cattolica Romana”, come più adatto al contenuto e come più comprensibile ai lettori in Italia. Siamo convinti che finché l’Europa Occidentale e Centrale non sarà rieducata alla retta fede cristiana, direi riortodossata, studi sì fatti non saranno mai inutili.
Infine ringrazio il mio carissimo figlio in Cristo Sig. Augusto Scrino dell’aiuto letterario prestatomi per la sollecita traduzione del presente.

Napoli, 25 Marzo 1955.
Festa dell’Annunziazione di M. V.

† Archimandrita Benedictos Katsanevakis

DUE PAROLE AL LETTORE

Non è scopo di queste pagine una personale giustificazione della conversione dell’autore all’Ortodossia, ma esse, costituiscono una testimonianza apologetica, commovente e riconoscente della purezza della fede e dell’arditezza del suo insegnamento. L’originalità del presente studio, non consiste precisamente nel tema, per il quale sono già state scritte innumerevoli opere teoriche sotto ogni punto di vista ecclesiastico, ma nella maniera originale con cui esso viene svolto. Padre Ballester non si è contentato di presentare semplicemente la teorica espressione del suo giudizio teologico; egli è possessore di un modo di vivere teologico dal quale si è mosso verso il più doloroso dei cammini spirituali, verso il più penoso dei sacrifici: l’abbandono della sua Chiesa e l’allontanamento dalla sua patria. L’espressione di questo modo di vivere teologico e della sua autosincerità, solo una speciale ispirazione ed una rarissima forza di volontà gli potevano permettere di trasmutarla in una splendida realtà.
Durante la lettura dei capitoli che seguono, il lettore, avrà l’occasione di seguire devotamente, passo per passo, il cammino contestato di questo monaco Francescano dai suoi primi timidi dubbi fino alla più decisiva confessione della Ortodossia, quale vera Chiesa di Cristo. Confessioni di tal genere, sempre più in maggior numero e più frequenti, costituiscono anche un severo monito per quella Chiesa, la quale ha perduto ormai la sua medioevale occasione di mutarsi in un centro dittatoriale di un mostruoso impero politico-ecclesiastico. Costituiscono anche la più espressiva delle istruzioni per quei gruppi cristiani, i quali camminano ancora nel buio, per il ritrovamento del vero gregge. Ma, innanzitutto, sono una delle più incoraggianti lezioni, che oggi possiamo ricevere noi che siamo già ortodossi; una oggettiva ed appassionata testimonianza per la purezza della nostra eredità religiosa, una devotissima resa d’onore alla fedeltà con la quale i nostri progenitori seppero conservarla illesa, e in mezzo alle dure prove storiche e alle più sfavorevoli epoche.
Uomini, come l’autore del presente studio, i quali sanno cosa credono e perché, ed in qual modo sono giunti alla pienezza di questa fede e che sono pronti a dare testimonianza ed a fare apologia di essa con la stabilità di una certezza assoluta e con l’entusiasmo dei figli della Verità, sono chiamati in primo luogo a trasmettere la luce dell’Ortodossia al buio delle non Ortodosse filosofie cristiane con la potenza ed il successo con cui sarà possibile un giorno la realizzazione di quella Ecumenica brama di un solo gregge ad un solo Pastore, Gesù Cristo, per la quale il Signore pregò con tanta perseveranza, verso il Padre Celeste.

Marsiglia, Marzo 1954.
Stanislao Jedeezewsky

* * *

I PRIMI DUBBI

Il lungo e faticoso cammino della mia conversione all’Ortodossia ebbe inizio, la prima volta, un giorno mentre ero occupato nella compilazione dei cataloghi della biblioteca di quel monastero Cattolico-Romano al quale appartenevo. Questo Monastero, uno dei più belli della Spagna nord-orientale, appartiene all’Ordine Monastico di S. Francesco d’Assisi ed è costruito sulla spiaggia mediterranea a pochi chilometri da Barcellona, mia città nativa. I superiori del monastero mi avevano incaricato di ricompilare i cataloghi delle opere e degli autori della nostra ricca biblioteca conventuale, onde metterli al corrente circa tutte le perdite d’incalcolabile valore che aveva subito durante l’ultima guerra civile spagnola, quando il nostro monastero fu incendiato e in parte distrutto dai comunisti. Una sera, quindi, mentre ero tutto preso dal lavoro, nascosto dietro una montagna di vecchi libri e manoscritti semibruciati, feci una scoperta che produsse in me grande meraviglia. In una busta, contenente scritti riferentesi alla Santa Inquisizione dell’anno 1647, trovai una copia in lingua latina di un Editto di Papa Innocenzo X col quale si scomunicava quale eretico ogni cristiano che osasse credere, seguire o comunicare ad altri l’insegnamento dell’Apostolo Paolo circa l’autenticità della sua dignità apostolica[1]. Continuando poi questo straordinario scritto faceva obbligo ad ogni fedele di credere, sotto la minaccia del castigo nell’oltre tomba, che l’Apostolo Paolo, in tutta la sua vita ed azione apostolica, cioè da quando si convertì al cristianesimo fino alla sua morte non aveva esercitato la sua opera apostolica liberamente ed indipendentemente da ogni potere temporale, ma contrariamente egli dipendeva in ogni momento dalla monarchica autorità dell’Apostolo Pietro, del Primo presunto Papa e Re della Chiesa. Questo assoluto potere, aggiungeva lo scritto in parola, lo ereditarono per successione diretta tutti gli altri Papi cioè i vescovi di Roma.
Confesso che se avessi rinvenuto nella biblioteca del monastero un libro messo all’«Index»[2] non mi sarei maggiormente meravigliato. Naturalmente non ignoravo gli eccessi ai quali erano incorsi i Tribunali della Santa Inquisizione nel Medio Evo e nei tempi posteriori in fatta di temi dogmatici. Era quella un’epoca in cui cercavano con ogni sacrificio di macchinare una giustificazione teologica delle ambizioni imperialistiche del papismo. Per la riuscita di tale progetto Roma aveva dato ordini espliciti ai teologi e predicatori onde dimostrare con ogni mezzo che i Papi avevano ricevuto da Dio il potere di regnare come Cesari sull’intera Chiesa Ecumenica, quali eredi del presunto primato dell’Apostolo Pietro. In tal modo s’intraprese in Occidente una vera campagna di diffamazione teologica dell’insegnamento Ortodosso relativo al detto presunto primato dell’Apostolo Pietro con il doppio scopo di essere messo il fondamento a qualche giustificazione teologica del Cesarepapismo da una parte e dall’altra minimizzare l’autorità dei Patriarchi d’Oriente di fronte alle pretese del loro confratello romano. Uno dei mezzi principali per l’adempimento di questo progetto fu una sorprendente moltitudine di pubblicazioni delle opere dei Santi Padri, opere falsificate o semplicemente apposta erroneamente interpretate. In queste opere falsificate si cercava intelligentemente e con l’aiuto di una errata interpretazione di alcuni passi evangelici[3] di far apparire il famoso «Primatus Petri» come un eccezionale privilegio che Dio concesse all’Apostolo Pietro e in seguito ai suoi supposti successori, i romani Pontefici, in virtù del quale, questi, avevano il diritto di esercitare una dittatura praticamente assoluta sulla Chiesa Universale, di fronte alla quale l’Ortodossa veniva descritta come ribelle. Così, una grande moltitudine di «Antologie» e di «Catene»[4] di passi patristici relativi al primato papale, gran parte dei quali sono assolutamente falsi ed il resto di essi contraffatti e con una base minima di contenuto autentico, uscirono dalle tipografie dei conventi dei principali ordini Monastici dell’Occidente circolando in sbalorditiva abbondanza nell’Europa Mediterranea[5]. Però, se i fedeli avessero meditato sul fatto che l’Apostolo Paolo e gli altri Apostoli non erano sottoposti al potere assoluto del così detto Primo Papa Simone Pietro, allora l’intero edificio dell’alterata dottrina del Papismo sarebbe crollato da per sé. Per questo motivo i Vescovi di Roma non smisero mai di condannare, scomunicare e terrorizzare con minacce di castighi spirituali e d’oltretomba, i fedeli che avessero tentato di manifestare il benché minimo dubbio in proposito.
I Tribunali della Santa Inquisizione sotto l’emblema «Il fine giustifica i mezzi»[6] presero mandato di porre in atto altri mezzi più convincenti, cioè di mandare al rogo e alle torture e di gettare nell’olio bollente o scorticare vivi i più ostinati e «impenitenti» cristiani «in nome della SS. Trinità e per il bene generale della Chiesa». Ciò nonostante, non mi aspettavo mai che il fanatismo della mia chiesa l’avesse spinta al punto di osare finanche la proibizione e la condanna d’insegnamenti che con molta chiarezza sono contenuti nelle Sacre Scritture e che furono insegnati dagli stessi Apostoli, come accadeva con lo scritto che tenevo fra le mani. Questo superava ogni limite, perché scomunicare i fedeli seguaci dell’insegnamento dell’Apostolo Paolo equivale ad una incomprensibile condanna della dottrina Ortodossa di questo Apostolo, il quale nella seconda sua Epistola ai Corinzi chiaramente dice che in nulla fu inferiore a nessuno degli altri Apostoli[7]. Quindi, quell’Editto di Papa Innocenzo X, mi sembrava così incredibile che preferii esaminare la possibilità di qualche errore tipografico o forse qualche fatale contraffazione del testo autentico, cosa che d’altra parte accadeva spesso all’epoca che la cronologia del documento indicava[8]. In ogni caso, però, autentico o falsificato che fosse, oppure semplicemente alterato, giunsi alla conclusione che questo testo costituiva nella nostra biblioteca conventuale, un elemento bibliografico veramente curioso e degno di ogni attenzione e di ogni studio.
Molto presto, però, il mio interessamento si mutò in turbamento, quando, dopo il confronto, nella Biblioteca centrale di Barcellona, accertai che non solo questo documento era assolutamente autentico ma che esso non costituiva l’unico monumento della sua specie. Difatti in due casi anteriori di quelle sentenze della Santa Inquisizione dell’anno 1647, cioè del 1329[9] e 1351[10] i Papi Giovanni XXII e Clemente VI avevano scomunicato e condannato ogni uomo e teoria che avessero tentato di negare che l’Apostolo Paolo aveva operato sotto gli incontestabili ordini e l’assoluto potere del presunto Primo dei Papi e cioè dell’Apostolo Pietro. Precisamente per la medesima ragione il Papa Martino V aveva scomunicato Giovanni Huss nel Sinodo di Costanza[11]. Posteriormente Pio IX nel Sinodo Vaticano[12], Pio X nel 1907 e Benedetto XIV il 1920, avevano ripetuto le medesime condanne nel modo più categorico e ufficiale[13].
Esclusa, quindi, in tal modo, ogni possibilità d’errore o, di falsificazione, non tardai a comprendere che con tutto ciò, cominciò a nascere in me un doloroso problema di coscienza. Perché personalmente mi era impossibile credere seriamente che l’Apostolo Paolo fosse stato guidato da qualche potere umano. L’indipendenza e la libertà della sua opera Apostolica presso i gentili, in paragone all’opera dell’Apostolo Pietro presso i giudei, costituisce per me un avvenimento molto serio che non ammette neanche la minima obiezione[14]. L’Apostolo Paolo «chiamato all’apostolato non dagli uomini né per mezzo d’alcun uomo»[15] considerava Simone Pietro come il secondo, dopo Giacomo[16] fra quelli «che sono reputati colonne» e che a Paolo piaceva di chiamare così perché «erano considerati di essere qualcosa» nella Chiesa di Cristo[17]. Però, aggiunge in seguito, che, il posto che essi prendono lo lascia completamente indifferente, trattandosi di semplici preferenze personali, che Dio non tiene seriamente in conto[18]. In ogni modo, l’Apostolo Paolo categoricamente afferma che chiunque siano gli altri Apostoli, lui non era inferiore a nessuno. Ciò per me era chiarissimo, specie se si prende in considerazione la spiegazione dei Santi Padri che su tale punto, non lascia alcun dubbio. S. Giovanni Crisostomo, per l’Apostolo Paolo dice: «Dichiara costui la sua parità con gli altri Apostoli e desidera confrontarsi non solo con tutti gli altri, ma anche col primo fra di loro, per dimostrare che tutti avevano la medesima missione e dignità»[19]. E difatti con assoluta unanimità, tutti i Padri insegnano che «Tutti gli Apostoli furono quello che era Pietro e tutti erano dotati dello stesso onore e potere»[20].
È impossibile essere sotto gli ordini di qualche autorità superiore di un altro di essi, perché l’assioma d’Apostolo è «il più grande potere, la vera vetta di tutte le potestà»[21]. Perciò S. Cipriano sostiene che «Tutti costoro, ugualmente, sono pastori, malgrado che uno è il gregge. E questo in piena concordia viene pascolato dagli Apostoli»[22]. E S. Ambrosio aggiunge a tale proposito: «Se l’Apostolo Pietro aveva qualche precedenza fra gli altri, questa fu precedenza di confessione non di onore. Precedenza di fede e non di classe»[23]. Giustamente, quindi, il medesimo Santo scriveva riferendosi al Papa: «Non possono essere eredi dell’Apostolo Pietro coloro i quali non osservano, come lui, la medesima Fede»[24].
Tutta la questione quindi era chiarissima. Ciò nonostante il dogma Cattolico romano che insegnava a riguardo perfettamente il contrario, mi poneva nel tremendo dilemma di scegliere in coscienza e a dispormi o col Vangelo e la Tradizione da una parte, o coll’insegnamento della mia Chiesa dall’altra. Perché secondo il dogma Romano ecclesiologico, al cristiano, per salvare la sua anima[25], è indispensabile credere che la Chiesa, costituisce chiaramente una monarchia[26] di cui Monarca è il Papa[27]. Perciò il Sinodo del Vaticano riassumendo in proposito tutti i precedenti verdetti, rese ufficialmente noto che: «Se qualcuno avesse detto che Pietro – presunto primo Papa e Vescovo di Roma – non fu costituito da Gesù Cristo quale Principe degli Apostoli e Capo visibile della Chiesa militante… sia scomunicato»[28].
Come mi sarebbe possibile concordare due tanto diametralmente opposte e conflagranti disposizioni dogmatiche ?

I CONSIGLI DEL CONFESSORE

Essendomi trovato quale naufrago nella più inesorabile tempesta spirituale mi indirizzai al mio Confessore, al quale esposi in modo semplice e naturale il problema che mi tormentava. Il mio Confessore era uno dei più istruiti e prudenti Sacerdoti del monastero e non tardò a comprendere che il caso era uno dei più seri e complicati. Dopo essersi concentrato per un po’in silenzio nelle sue riflessioni, cercando invano una soddisfacente soluzione, si decise a dare un tale svolgimento al problema che confesso francamente non mi aspettavo:
«Le Scritture ed i Santi Padri – mi disse con il più naturale tono – vi hanno turbato. Lasciate da parte queste due cose e limitatevi a seguire fedelmente l’infallibile insegnamento della nostra Chiesa, senza indagare tanto nelle cose e senza domandare molto. Non permettete che le creature di Dio, qualunque esse siano, scandalizzino la vostra fede verso la Chiesa di Dio».
Tale inattesa risposta non fece altro che ingrandire maggiormente il mio turbamento spirituale. Avevo creduto sempre che la parola di Dio era esattamente quell’unica cosa che nessuno poteva «mettere da parte». Secondo la mia concezione la Scrittura è ciò che determina la retta posizione delle nostre credenze[29] e non sono le nostre credenze a determinare l’ortodossia della Santa Scrittura. E per dire con precisione, proprio dalla Santa Scrittura deriva a noi l’obbligo di «esaminare noi stessi se perseveriamo nella retta fede o no»[30]. «Non voglio sentire ciò “che dici tu” e ciò “che dico io” – dice S. Agostino – ma tutti e due dobbiamo ascoltare ciò “che dice il Signore”. Indubbiamente esistono libri del Signore, all’autenticità dei quali tutti e due ubbidiamo e ci sottomettiamo. In tali libri dunque dobbiamo cercare di trovare la vera Chiesa e solo in essi dobbiamo poggiare la nostra discussione»[31].
Il mio Confessore, senza per nulla darmi tempo a proporre la benché minima obiezione aggiunse: «Vi darò in cambio un elenco di nostri scrittori, nelle cui opere potrete trovare di nuovo la vostra calma spirituale, perché è in questi libri, che senza la minima difficoltà, potrete ritrovare l’insegnamento della nostra Chiesa». E chiedendomi se avessi «qualcosa di più interessante» da riferirgli, dette termine alla nostra conversazione. Pochi giorni dopo il mio Confessore se ne andò dal Monastero per un viaggio di predicazione in diverse Chiese e Monasteri del nostro Ordine. E lasciandomi il catalogo dei libri di cui mi aveva parlato, mi chiese di promettergli, che gli scrivessi spessissimo onde tenerlo al corrente dell’andamento dei «miei turbamenti spirituali».
Malgrado che le sue argomentazioni non mi avessero, per nulla persuaso raggruppai tutti quei libri con la decisione di studiarli con la maggiore possibile obiettività e scrupolosità. La più grande parte di questi libri era costituita da testi teologici e da manuali di decisioni papali e di Sinodi «ecumenici» papali. Mi misi con premura e sincero interesse allo studio di questi libri e senza prendere nessuna altra misura preventiva che la Santa Scrittura che tenevo aperta davanti a me «la lampada ai miei piedi e lume al mio sentiero»[32]. Né il mio Confessore, né l’intera mia Chiesa sarebbero riusciti a compararmi con gli Giudei, i quali furono biasimati dal Signore perché «erano in errore non conoscendo le Scritture»[33]. Contrariamente, anzi, sarei rimasto fedele secondo l’esempio di quei fedeli, che dopo aver accettato la parola di Dio «con ogni prontezza»[34] furono encomiati dall’Apostolo perché consultavano continuamente le Scritture onde controllare ogni cosa che insegnava loro[35] per non essere ingannati dalla «filosofia e da vane sottigliezze secondo la tradizione degli uomini e non secondo Cristo»[36].
Ma a mano a mano che avanzavo nella lettura e nello studio dei testi che mi avevano suggerito, cominciai, in principio piano e timidamente, con maggiore sicurezza poi, a persuadermi che fino allora ignoravo quasi completamente la vera natura e composizione organica della mia Chiesa. Dopo essere stato annoverato nel Cristianesimo e battezzato, verso la fine dei miei studi ginnasiali, seguii le lezioni di filosofia e allora mi trovavo ancora sulla soglia della teologia Cattolico-romana, cioè di una scienza che allora costituiva per me qualcosa di assolutamente nuovo e che mi compariva per la prima volta. Fino allora Cristianesimo e Chiesa Romana costituivano per me due idee, le quali esprimevano la medesima e indivisibile realtà. Nella mia vita Monastica che trascorreva tranquillamente ed indisturbatamente mi assorbiva soltanto l’aspetto puramente soprannaturale della questione, e poiché la mia attenzione era attratta dai miei studi filosofici, non mi si era presentata l’occasione di esaminare profondamente le ragioni e le basi della composizione organica della mia Chiesa. Fu precisamente in quei testi ufficiali, controllati con tanta perspicacia dal mio Confessore, che mi si cominciò a rivelare, sotto il suo reale aspetto, questa paradossale religioso-politica organizzazione monarchica che si appella Chiesa Romana.
Suppongo che un riassuntivo riesame dell’insegnamento dei su accennati libri, da me studiati, non sarebbe superfluo.

LA MONARCHIA DEL PAPA

Secondo la concezione cattolica-romana, la Chiesa, in primo luogo, «non è che una monarchia assoluta»[37] di cui il Papa è monarca, che, come tale agisce[38]. In questa monarchia del vescovo di Roma «consiste tutta la potenza e la stabilità della Chiesa»[39] che, «non potrebbe esistere senza di essa»[40]. Il Cristianesimo stesso, dicono i papisti, «si appoggia completamente sulla base del papismo»[41] e ancor di più, «il papismo è l’elemento più importante del Cristianesimo»[42] «la somma e la sostanza di esso»[43]. Il potere monarchico del Papa, quale «supremo Sovrano e Capo della Chiesa», «Pietra angolare», «Maestro infallibile della Fede», «Rappresentante unico di Dio sulla terra», «Pastore dei Pastori», «Vicario di Gesù Cristo», «Dolce Cristo in terra», «Dolce Cristo parlante» ecc. ecc. è assolutamente autoritario, in ogni momento esecutivo e si estende su tutto il mondo[44].
Tale autorità papale si estende, si dice, «per divino diritto» contemporaneamente[45] su tutti i battezzati del mondo intero e su ciascuno uomo separatamente[46]. Tale potere dittatoriale, quindi, può mettersi in azione in ogni momento su ogni cattolico cristiano direttamente sia laico che chierico, Vescovo, Arcivescovo, Cardinale ed anche Patriarca ed ancora su ogni Chiesa di qualunque specie liturgica e di qualunque lingua[47], perché il Papa è il primo vescovo in ogni vescovado o diocesi del mondo[48]. Coloro i quali negano di riconoscere tutto questo potere o non sottostanno ad esso «ciecamente»[49] sono «scismatici, eretici, empi e sacrileghi»; e le loro anime sono fin da ora predestinate a esser gettate nel fuoco eterno, in quanto da ogni punto di vista è indispensabile, per la salvezza dell’anima, la fede nella divina istituzione del Papato e la sottomissione ai suoi rappresentanti[50].
E così il Papa sembra incarnare quel fantastico Sovrano, nel sollecito avvento del quale credeva Cicerone, e per il quale scriveva che gli uomini avrebbero dovuto riconoscerlo per salvarsi[51]. E, sempre secondo il dogma Romano, «dato che il Papa, ha il diritto d’intervenire e giudicare su tutte le questioni spirituali di tutti e di ogni singolo cristiano, a maggior ragione ancora, può intervenire nelle loro questioni terrene e materiali»[52]. Per questa ragione egli può limitarsi soltanto alla imposizione di pene spirituali ed alla privazione della salvezza dell’anima di coloro, i quali negano di sottomettersi a lui, ma «similmente ha il diritto di obbligare i fedeli ad ubbidirgli costringendoveli»[53]. Ciò perché «la Chiesa tiene due spade: l’una simbolo del potere spirituale e l’altra simbolo di quello mondano o temporale. La prima spada sta nelle mani del clero e la seconda nelle mani dei Sovrani e soldati, ma similmente anche questa sta sotto il criterio e la volontà dei preti»[54].
Il Papa che pretende di essere il Rappresentante e Plenipotenziario sulla Terra di Colui «il cui regno non è di questo mondo»[55], di Colui il quale proibì agli Apostoli di esercitare la minima dominazione o sovranità sui fedeli è, con tutto ciò, anche Sovrano temporale facendo, in tal modo, continuare nella sua persona, la tradizione imperiale dei Cesari di Roma «della Città eterna» e regina del mondo[56]. Nel corso della storia, il Papa, divenne Padrone e Sovrano di grandi Stati e condusse le più sanguinose guerre contro gli altri Re cristiani al fine di conquistare una nuova parte di terra o anche, semplicemente, per soddisfare la sua insaziabile sete di dominio. Ottenne ancora migliaia di servi e svolse parte primaria e molte volte decisiva nella politica internazionale. Il «dovere dei Sovrani e Governanti cristiani» è di indietreggiare di fronte «al Re per divino diritto» cedendo il loro regno stesso a questo trono ecclesiastico-politico «che è stato istituito quale ornamento e sostegno di tutti i restanti troni del mondo»[57]. Oggi, il regno mondano del Papa, si limita alla sola Città del Vaticano, la quale costituisce uno Stato indipendente con rappresentanza diplomatica negli Stati dei cinque continenti del globo terrestre, con un esercito mercenario, con armi, polizia, prigioni, propria moneta circolante, commercio, ecc.
E come coronamento di questa sua onnipotenza, il Papa, ha ancora un’altra più tremenda prerogativa che nello stesso tempo è anche l’unica nell’intero mondo; è una mostruosa e inaudita prerogativa, simile alla quale nemmeno l’orgiastica fantasia delle più grossolane religioni idolatriche può mai sognare. Il Papa, secondo tale immaginaria prerogativa, è per diritto divino «Infallibile», secondo la definizione dogmatica del Concilio Vaticano dell’anno 1870[58]. Di conseguenza da allora l’umanità a lui deve rivolgere quelle parole che prima rivolgeva al Salvatore: «Tu hai, Signore, parole di vita eterna»[59]. In avvenire non c’è più bisogno della presenza dello Spirito Santo per guidare la Chiesa «in tutta la verità»[60] non c’è bisogno più nemmeno delle Sacre Scritture né della Tradizione, dato che già esiste un Dio sulla terra col potere di. rendere inutili o anche di proclamare ancora come errati gli insegnamenti di Dio dei Cieli[61].
In base a questa infallibilità, il Papa, e solamente il Papa, è il Canone della Fede[62], e può proclamare, anche senza il consenso della Chiesa, quanti che siano nuovi dogmi ai quali, i fedeli, hanno il rigoroso obbligo di credere ciecamente se vogliono sfuggire ai castighi dell’inferno nell’oltretomba[63].
«Dipende soltanto dalla volontà e dal piacere di Sua Santità – scriveva il Cardinale Baronius – che l’intera Chiesa creda sacro e santo ciò che lui desidera[64] e bisogna che le sue Epistole Pastorali siano considerate, credute e ubbidite «come scritture canoniche»[65]». Come logica conseguenza di tale infallibilità, risulta, che gli insegnamenti papali devono essere osservati con una tale cieca obbedienza che lo stesso Cardinale Bellarmino, il quale è stato proclamato «santo» dalla Chiesa Romana, nella sua celebre «Theologia»[66] espone tale supposizione con la più grande naturalezza: «Se qualche giorno il Papa avesse errato, consigliando peccati e proibendo virtù, la Chiesa, sottopena di peccato contro coscienza, sarebbe stata obbligata a credere che in realtà i peccati sono buoni e le virtù cattive». Il Cardinale Zabarella va ancora oltre e assicura che: «Se Dio e il Papa si radunano in un Concilio… il Papa può fare (colà) quasi tutto ciò che fa Dio… e il Papa fa tutto ciò che desidera, sia pure illegalità e in ciò, egli, è qualcosa più che Dio»[67].
Quando ebbi terminata la lettura di tutti quei libri consideravo me stesso estraneo in seno alla mia Chiesa la di cui composizione organica, era chiaro, non aveva nessuna relazione con la Chiesa istituita dal Signore, organizzata dagli Apostoli e i loro successori, e i SS. Padri avevano descritta e resa chiara. Secondo la mia concezione una tale organizzazione papista, difficilmente si sarebbe potuta identificare con la Chiesa di Cristo perché non è edificata sopra la roccia che è lo stesso Gesù Cristo ma sopra l’instabile sabbia d’immaginarie prerogative del Papa che si dice, ereditò da Simone Pietro il quale, però, non le aveva mai avute e neppure immaginate.
«Noi – dice S. Agostino, uno dei più grandi Padri della Chiesa Romana – noi, che siamo cristiani e che con le nostre parole e opere, non crediamo a Pietro, ma a Colui che lo stesso Pietro aveva creduto… Colui, il Cristo, il Maestro di Pietro il quale lo catechizzò alla strada che conduce alla vita eterna, Colui è anche il nostro unico Maestro»[68].
E difatti come sarebbe stato possibile ammettere seriamente l’infallibilità dei Papi, i quali usurpano il titolo di «esclusivi successori» dell’Apostolo Pietro che fu precisamente il solo fra tutti gli Apostoli, il quale, come disse lo stesso Signore, in determinati casi non sapeva quello che diceva[69]. Infallibile Simone Pietro, il quale fu ripreso dall’Apostolo Paolo perché «fosse da riprendere»[70], poiché «non camminava secondo la verità del Vangelo»?[71] Infallibili coloro i quali si autoappellano «legali successori di quello al trono e al Vescovado di Roma» dal momento che sapevo benissimo che fra essi s’incontrano non pochi nomi di generatori di tanti scandali, quali il Papa Marcello, notoriamente apostata e idolatra che sacrificava a Venere, come è a tutti noto, entro al medesimo tempio di questa e dinanzi al medesimo altare di essa?[72] Infallibile, dunque, Papa Giulio, il quale, fu scomunicato quale eretico dal Sinodo di Sardica?[73] Infallibile anche Liberio, che seguiva gli errori di Ario e condannò quale eretico S. Attanasio, il grande protagonista dell’Ortodossia?[74] Infallibile anche Papa Felice II per il quale, S. Attanasio dice che fu eletto Papa da tre suoi eunuchi e ordinato da tre spie dell’Imperatore, e fu aspirante degno dei suoi elettori della sua medesima pasta, dato che le di lui eretiche credenze erano pubblicamente note, e generalmente tutta la sua condotta nel suo insieme si adattava bene ad un Anticristo?[75] Infallibile Papa Onorio, il monotelita[76] e Gelasio, il quale seguiva credenze eretiche nel dogma della S. Eucaristia? Infallibile Papa Sisto V, del quale circolò una edizione delle S. Scritture «corretta con le sue stesse mani e nella pienezza della sua Apostolica autorità» la quale era tanta piena di errori di ogni sorta che fu necessario ritirarla subito nel mezzo del più grande scandalo?[77] Infallibile Urbano VIII che condannò quale eretica la teoria di Galileo secondo la quale la terra gira intorno al sole?[78] Infallibili i Papi Zaccaria il quale proibì sotto pena di scomunica di credere che la terra è rotonda?[79] e Pio II il quale ebbe l’ammirevole sincerità di avvertire amichevolmente il re Carlo VII di Francia che non bisogna credere in tutto ciò che i Papi dicono, perché il più delle volte parlano per passione o per interesse?[80] Infallibile Papa Pio IV, il quale ebbe l’ardire di trasgredire il VII Canone del Concilio Ecumenico di Efeso[81] e con ciò si rese spergiuro del giuramento che dette durante la cerimonia della sua intronizzazione?[82]
La Chiesa, dice S. Cipriano e non il Vescovo di Roma, è quella «pura e vivificante acqua, che non può essere intorbidita e misturata, perché la sorgente dalla quale scaturisce è pura e limpida»[83]. All’intera Chiesa e non esclusivamente ai Papi, Nostro Signore Gesù Cristo promise assistenza perpetua e continua fino alla consumazione dei secoli[84]. A favore di tutta la Chiesa, e non solo a Pietro e ai suoi presunti successori, promise d’invocare dal Padre Suo lo «Spirito della Verità»[85], quello Spirito che insegna tutta la verità[86] e tutto lo scibile[87]. E precisamente per questo motivo l’Apostolo Paolo chiama la Chiesa e non Pietro «colonna e base della Verità»[88]. E ancora, per la medesima ragione, S. Ireneo insegna che, in nessun altro luogo, ma soltanto nella Chiesa, bisogna cercare la Verità di Cristo, perché «solo nel seno della Chiesa troviamo questa Verità con tutta la certezza pura, integra, e non rimescolata»[89].
Non solo a Simone Pietro, ma a tutti insieme gli Apostoli e ai suoi discepoli il Signore disse: «Chi ascolta voi ascolta me»[90]. D’altra parte, durante il corso della storia della Chiesa antica, dall’epoca della sua istituzione fino al grande scisma, non v’è neppure il minimo precedente di un qualche disaccordo o qualche questione di fede di grande importanza che fosse stato risolto dai Vescovi di Roma. Cosa, secondo me, inspiegabile se questi ultimi, in effetti, fossero stati realmente riconosciuti ed ammessi quali veri Capi assoluti e di più infallibili della Chiesa Ecumenica. È universalmente noto che nessuna delle grandi eresie fu mai debellata dai Papi di Roma, ma, esse, furono combattute, sconfitte ed estirpate per mezzo di un Concilio Ecumenico o da un Padre della Chiesa o da qualche santo Teologo. L’arianesimo, per esempio, era condannato dal Concilio di Nicea e non dal Papa, che era egli stesso seguace di Ario. Il Concilio di Efeso neutralizzò il nestorianesimo. S. Epifanio fu colui che sconfisse gli gnostici, S. Agostino fu il grande confutatore del pelagianesimo e così di seguito.
Ancora di più: i Vescovi di Roma, non furono giudici in nessuna di queste grandi questioni ecclesiastiche, ma, viceversa, più delle volte, ne erano imputati, accusati e perfino giudicati da altri Vescovi, Patriarchi, Sinodi e Concili. Così, il Sinodo di Arelate decide sul dissidio sorto tra il Vescovo di Roma e quelli d’Africa circa la questione dell’anabattesimo[91]. Anche la Chiesa Africana scrisse al Vescovo di Roma come a quello di Alessandria esortandoli severamente a pacificarsi[92]. Il Patriarca d’Alessandria con i Vescovi Orientali scomunicò Papa Giulio nel Sinodo di Sardica[93]. Papa Onorio fu condannato e scomunicato dal VI Concilio Ecumenico[94], ecc. ecc.
Avendo assoluta convinzione di tutto ciò, convinzione, che d’allora in poi in nessun modo m’abbandonò, scrissi al mio confessore la prima lettera dopo la nostra separazione.
«Ho studiato i libri che la Vostra Reverenza ebbe la bontà di consigliarmi. Ciò nonostante, la mia coscienza non mi permette di trasgredire ai comandamenti di Dio prestando fede ad insegnamenti umani[95] che non hanno neppure la minima base Biblica. Tali insegnamenti sono la catena degli insegnamenti sul Papismo i quali vengono coronati dallo sragionamento sulla infallibilità. «Noi possiamo riconoscere la vera Chiesa basandoci – dice S. Agostino – sul criterio biblico, e non appoggiati su detti e su sentenze, né sui Sinodi dei Vescovi, né sulla lettera morta dei dissidi, chiunque essi siano, né su fallaci presagi e prodigi, ma soltanto su ciò che si trova scritto sulle predicazioni dei Profeti, sui Salmi, sulle parole dello stesso Buon Pastore Gesù, sulle opere e sugli insegnamenti degli Evangelisti e in una parola, sulla canonica autenticità delle Sacre Scritture»[96]. Questo stesso Padre scrisse contro i Donatisti: «Non voglio più sentire questo “tu dici” e “io dico”, ma noi tutti sentiamoci “così dice il Signore”». Indubbiamente vi sono libri del Signore, sulla cui autenticità entrambi concordiamo, ubbidiamo e ci sottomettiamo. In essi quindi ricerchiamo la Chiesa e su di essi discutiamo la nostra discordia e differenza»[97]».
Terminai la lettera al mio Confessore con queste parole: «Non mi allontanerò, quindi, mai da ciò che costituisce il vero canone cristiano per la prova e la conoscenza della vera fede e per la veridicità e genuinità di ogni dogma: cioè non mi allontanerò mai e poi mai dall’autenticità della parola di Dio e dalla Tradizione della sua Chiesa[98]. E certo i vostri dogmi sono inconciliabili con il detto canone».
La risposta non tardò a venire: «La Vostra Reverenza non ha ascoltato i consigli e gli orientamenti che le ho dato – lamentava il mio confessore – e ha lasciato che la Bibbia continuasse la sua pericolosa influenza sulla sua anima. I Santi Libri sono come il fuoco, il quale quando non illumina, brucia e annerisce… e appunto per questa ragione i Papi saggiamente decretarono che «si tratta di uno scandaloso errore credere che tutti possono leggere le Sacre Scritture[99] ed i nostri Teologi confermano che i libri Sacri della Bibbia costituiscono una oscura nube, un recinto ove anche gli atei ancora possono trincerarsi»[100]. «La fede nella chiarezza delle Scritture costituisce un dogma eterodosso[101] dicono i nostri infallibili Capi. Riguardo poi alla Tradizione, non ritengo necessario ricordare alla Reverenza Vostra, che dobbiamo «seguire innanzi tutto il Papa quando si tratta di questioni di fede anziché a migliaia di Santi Agostini, Girolami, Gregori, Crisostomi», ecc.[102]. E quando abbiamo la interpretazione dataci da Roma riguardo a qualsiasi testo della Bibbia se pure tale interpretazione può sembrare assurda e contraria allo stesso concetto del testo bisogna che noi crediamo di essere in possesso della Verità della parola di Dio[103]».
Tutte queste cose consolidarono maggiormente le mie convinzioni. Con tutte le sue teorie, con tutti i dogmi della nostra Chiesa contrari anche con lo stesso Papa, io, non avrei potuto mai mettere da parte la parola di Dio, la quale è assolutamente e incontestabilmente retta e chiara per quelli che hanno trovato la vera conoscenza[104]. Questo è la parola della Luce[105], che può sembrare oscura solo a quelli che vanno verso la perdizione e dei quali il Dio di questo secolo ha accecato lo spirito[106]. La S. Scrittura è ancora la parola di Vita[107], della Grazia[108], della Virtù[109] e della Salvezza[110] e non desideravo divenire colpevole e accusato nell’ora del Giudizio trascurandola ora[111]. Io sapevo precisamente che la fede nelle S. Scritture è la fede più retta di tutte[112], e assolutamente cattolica[113], giacché solo la S. Scrittura è sufficiente, come dice S. Attanasio, alla professione della Verità[114]. Perciò S. Giovanni Crisostomo mette in rilievo che: «quando abbiamo la Sacra Scrittura è insensato cercare altri maestri al di fuori di questa»[115]. «In essa – scrive Sant’Isidoro Pelusiota – esiste tutto quanto è necessario conoscere»[116] e «tutto ciò che c’interessa imparare»[117]. Secondo S. Basilio il grande: «è una evidente imperfezione della nostra fede ed una prova di superbia, il rigettare qualcosa di quanto è scritto ivi, o, al contrario, ammettere qualcosa che ivi non è scritto»[118]. Da ciò giustamente i SS. Padri ne concludono che «bisogna credere solo in quello che è scritto nei sacri Libri e ciò che ivi non è scritto, non bisogna cercarlo[119] né utilizzarlo mai»[120].
La mia Chiesa, colpendo la S. Scrittura, non ottenne null’altro che perdere davanti ai miei occhi ogni autorità, perché divenne simile a quelli eretici per i quali S. Ireneo dice che «perché furono ripresi dalla parola di Dio ritornarono di nuovo contro di Essa per criticarla»[121]. «Colui che si adatta alle S. Scritture – dice il gran Crisostomo – è cristiano. Se qualcuno la polemizza egli cammina fuori del canone. Se però nello stesso tempo, egli viene a dirvi che la S. Scrittura insegna ciò che lui crede, allora ditemi, voi, non avete criterio e intelletto?»[122].
Questo fu il mio ultimo contatto che ebbi col mio Confessore. Dopo di ciò non credetti opportuno continuare la nostra corrispondenza e non gli scrissi più. Nemmeno lui da allora in poi cercò di sapere di me, preferendo non impicciarsi oltre del «mio spiacevole caso» dato che indubbiamente ciò avrebbe potuto danneggiarlo nelle sue splendide possibilità che aveva per essere ordinato Vescovo «Apostolicae Sedis Gratia» che tanto fedelmente aveva servito in ogni momento.
Io, però, non mi fermai. Avevo cominciato «a deviare dal deviamento» della mia Chiesa, seguendo una strada per la quale non era possibile fermarmi se non prima d’aver trovato un luogo sicuro, almeno teoricamente. Il dramma che vissi in quei giorni era che, mentre sentivo me stesso allontanarmi sempre più dal papismo, dall’altro canto, non mi sentivo di avvicinare a nessun’altra realtà ecclesiastica. L’Ortodossia, il Protestantesimo e l’Anglicanesimo non costituivano allora per me che delle idee abbastanza confuse, e non era ancora giunta né l’ora né l’occasione di pensare al come avrebbero potuto avere la benché minima relazione col mio caso personale. Ciononostante amavo la mia Chiesa che mi aveva fatto cristiano e della quale indossavo la tonaca. Era perciò necessario approfondirmi e occuparmi sempre più largamente dello studio della questione, per giungere piano piano e con tristezza alla accorata certezza, che questa Chiesa in realtà era inesistente, e non occupava nessun posto entro il regime papista. E difatti, innanzi al potere dittatoriale del Papa, l’autorità della Chiesa e del corpo episcopale è praticamente nulla. Perché secondo la loro teologia «l’autorità della Chiesa è autentica ed efficace solo quando si armonizza con la volontà del Papa. In caso contrario l’autorità della Chiesa non ha assolutamente nessun valore»[123]. Perciò, quindi, il medesimo valore ha il Papa essendo assieme con la Chiesa e il Papa senza la Chiesa; con altre parole, il Papa è il tutto e la Chiesa non è nulla. Giustamente, quindi, scriveva con dolore il Vescovo More: «Mutando la sintesi della Chiesa, mutiamo anche il di lei dogma. E da ora innanzi sarebbe più retto salmodiare nella divina Liturgia : «Credo al Papa» anziché dire: «Credo in Una, Santa, Universale e Apostolica Chiesa»[124].
Il significato e l’importanza dei Vescovi nella Chiesa Romana consiste nell’occupare un posto di un semplice rappresentante subordinato all’autorità papale sparsi in tutti gli angoli del mondo, alla quale autorità papale si sottomettono nello stesso modo come si sottomettono anche i semplici fedeli. I papisti si sforzano di giustificare tale stato di cose che prevale, basandosi su una assurda interpretazione del 21° capitolo del Vangelo di Giovanni[125] secondo il quale, dicono loro: «Il Signore affidò a S. Pietro, primo Papa, il mandato pastorale sui Suoi agnelli e sulle sue pecore, cioè il mandato di massimo, unico ed assoluto Pastore su tutti i fedeli che vi sono simboleggiati con gli agnelli e su tutti i restanti Apostoli e Vescovi, i quali vi sono simboleggiati con le pecorelle»[126]. Ma anche i Vescovi nel cattolicesimo romano non sono per idea successori degli Apostoli[127], perché «l’autorità spettante agli Apostoli spirò con essi e perciò non si trasmise ai loro successori nel vescovado». Soltanto l’autorità di S. Pietro, alla dipendenza del quale si trovavano tutti gli altri si trasmise ai successori, i quali vennero dopo di lui al Papismo[128]. Perciò «esiste una grande differenza nel succedersi a S. Pietro e nel succedersi ad uno qualunque degli altri Apostoli. Il Pontefice romano, quindi, solamente, succede a S. Pietro quale legale Pastore di tutta la Chiesa e per conseguenza ha tutta l’autorità che deriva da Colui dal quale Pietro la ricevette. Mentre i restanti Vescovi non succedono nel vero senso della parola agli Apostoli, perché questi ultimi non erano che dei semplici accreditati Pastori dei quali non può esistere un successore».
I Vescovi quindi giacché secondo il papismo, non ereditarono nessuna autorità Apostolica, non dispongono di nessun’altra potestà, fuori di quella che ricevettero, non direttamente da Dio, ma dal Sommo Pontefice. «La giurisdizione dei Vescovi deriva direttamente e immediatamente dal Papa»[129]. Ciò, secondo la mia opinione, è una ingiustificabile offesa alla dignità episcopale, il di cui valore veniva umiliato, sacrificandolo in favore di un presunto grado, superiore cioè all’autorità papale. Non era indispensabilmente necessario sapere perfettamente e completamente la storia dell’antica Chiesa per comprendere che, già dai tempi Apostolici i Vescovi fondavano sempre la loro autorità basandosi sul fatto «che succedettero agli Apostoli, governando la Chiesa, tutti con la medesima facoltà[130] e col medesimo ministero degli Apostoli»[131]. S. Attanasio parla del ministero dei Vescovi come qualcosa che il Signore consacrò per mezzo degli Apostoli[132]. S. Gregorio il grande insegna chiaramente: «Oggi i Vescovi occupano nella Chiesa il posto degli Apostoli»[133].
S. Ignazio di Antiochia dice che l’autorità Apostolica che hanno ricevuto i Vescovi, proviene da Dio Padre[134]; e aggiunge che il Vescovo non va sottomesso a nessun altro che al medesimo N. S. Gesù Cristo[135]. Da ciò «la catena d’oro che unisce i fedeli con Dio, passa da anello in anello dai Vescovi agli Apostoli, dagli Apostoli a Gesù Cristo e da Gesù Cristo al Padre[136]». Questo tradizionale insegnamento è tanto chiaramente esposto dai SS. Padri che per conto mio non esisteva alcun dubbio. Basta leggere gli antichi cataloghi dei Vescovi che a noi ci hanno lasciato S. Ireneo, Tertulliano, Eusebio, S. Girolamo, S. Optato di Mileve e tanti altri Padri storiografi ecclesiastici, i quali cercarono di annotare e descrivere con la più dettagliata cura le successioni dei Vescovi che diressero le diverse chiese fondate dagli Apostoli. Dopo i nomi degli Apostoli fondatori vennero annotati, successivamente, i nomi di tutti i Vescovi di ogni seggio, fino all’epoca degli autori di questi cataloghi. Ora, perché tanta cura, tanto interessamento e tanta attenzione per poter dimostrare tale apostolica successione, se, come pretende il papismo che «l’autorità degli Apostoli si estinse con gli stessi Apostoli e non si trasmise ai loro successori nel ministero Episcopale?»[137].
Per logica conseguenza degli insegnamenti papisti circa l’autorità e la potestà dei Vescovi, nella Chiesa Romana, si crede, che gli stessi Concili Ecumenici non hanno altro valore che quello in cui il Papa si compiace concedere loro. «I Concili Ecumenici – dicono i papisti – non sono né possono essere altro che una Congregazione del Cristianesimo riunita per virtù del podere del Capo Supremo e sotto la presidenza di esso»[138]. Ora, dato che tale Supremo Capo non è il Signore ma il Papa, in linea di massima non può esistere Concilio Ecumenico se non convocato sotto la presidenza personale del Papa[139] o di uno dei suoi immediati rappresentanti[140]. In qualunque momento durante un Concilio Ecumenico il Papa da solo lo può sciogliere, differire o trasferire[141]; basta solo che egli esca dalla sala delle riunioni dicendo: «Io non sono più qui» che il Concilio Ecumenico, sia trasformato da quel momento in una riunione privata, e, se i suoi membri insistono ancora, «esso si trasforma in una congiura illegale e scismatica»[142]. I Canoni stessi del Concilio non hanno il minimo valore se non accettati e ratificati dal Papa, e se non saranno timbrati con il timbro dell’autorità di lui[143].
Dopo la lettura di tutti questi testi cominciai ad intuire qualche cosa che fino a quel momento mi era rimasto incomprensibile, che i Vescovi cattolici romani di tutte le contrade del mondo, radunati il 1896 in Sinodo nel Vaticano avevano aderito alla riduzione della loro autorità ed alla loro tramutazione in muti servi del Vescovo di Roma ammettendo il dogma dell’infallibilità papale. Il Papa era ivi semplicemente il Dittatore del Sinodo, dal giorno del suo inizio fino al termine di esso, di modo che era impossibile non realizzarsi ivi ciò che egli desiderava come pure era impossibile stabilirsi nel Sinodo qualcosa senza la volontà del Dittatore. Infatti, così viene dimostrato dalle dichiarazioni del Vescovo Tedesco Strosmayer, uno dei membri del Sinodo la cui retta coscienza si scandalizzò dinanzi allo spettacolo che presentarono i Vescovi privi di autorità e di libera volontà di fronte ad un onnipotente Papa: «Nel Sinodo del Vaticano – egli disse – non avevamo la necessaria libertà; a causa di ciò esso non può essere chiamato un vero Sinodo né può avere diritto di emettere dei canoni che potessero imporre l’ubbidienza alle coscienze dell’intero mondo cattolico. Tutto ciò che avrebbe potuto assicurare la libertà della parola e di pensiero venne escluso con molta accortezza… e come se tutto ciò non fosse bastato, questo Sinodo compì la più scandalosa violazione dell’antico detto ecclesiastico: «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus» cioè: «È infatti cattolico quello che sempre, da per tutto e da tutti è stato creduto»[144]. In una parola il più evidente e disgustoso uso della presunta infallibilità papale è stato necessario prima ancora che l’infallibilità stessa venisse proclamata quale dogma.
Per di più si aggiunse questo: «che il Sinodo non venne convocato né radunato legalmente; che i Vescovi, alti dignitari e altolocati italiani, formavano una enorme e dominante cricca quasi monopolistica; in modo che i membri di esso furono intimiditi dalla più scandalosa propaganda, e che tutto il meccanismo del potere papale che in quel momento esercitava il Papa di Roma contribuì ad intimidire e ad impedire ogni libera espressione. Ognuno, quindi, ne può dedurre chiaramente quale specie di libertà di parola (norma inviolabile ad ogni Sinodo) si avesse nel Sinodo del Vaticano»[145].
Durante tutto questo periodo di tanta violenta mia crisi spirituale, avevo quasi abbandonato i miei studi. In tutte quelle ore che il regolamento del mio Ordine mi concedeva libere, approfittavo della solitudine e compunzione della mia cella per aumentare le mie cognizioni e approfondire una tanto ampia materia. Mesi interi studiai la sintesi e l’organizzazione della Chiesa dei primi secoli da fonti Bibliche, Apostoliche e Patristiche. Ma questa fatica non si sviluppava completamente di nascosto: il mio aspetto esteriore sembrava fortemente influenzato dalla mia grande inquietudine, che già aveva assorbito tutto il mio interessamento. Non esitavo a cercare fuori dal monastero i libri e le persone che avrebbero potuto contribuire in qualche modo ad offrirmi nuovi lumi per il mio problema. Più tardi osavo già rivelare in parte le mie condizioni benché con la più grande attenzione e prudenza, accennandole confidenzialmente a diversi dotti ecclesiastici, amichevolmente legati a me. In tal modo ebbi consigli, pareri ed opinioni sul mio caso, sempre di grande importanza per me. Intanto, trovavo i più dei miei confidenti, più fanatici di quanto non avessi supposto. Per quanto riconoscevano con me l’assurdo dell’intera dottrina papista si aggrappavano disperatamente all’idea, che «la sottomissione dovuta al Papa esige un cieco consenso della mente»[146] e quell’altro detto di Ignazio Loiola, fondatore dell’Ordine dei Gesuiti secondo cui «per avere in tutte le cose la verità, per non deludersi in nulla, bisogna avere sempre come principio fermo, che ciò che vediamo come bianco, è in realtà nero, se tale lo determina la gerarchia della Chiesa»[147].
Conformemente a tale fanatica mentalità dinanzi alla quale ogni logica obiezione restava inefficace, un ieromonaco di quest’Ordine per l’amicizia che ci legava mi confidò: «Ciò che tu dici è indubbiamente chiaro e logico da ogni punto di vista e non posso fare a meno di riconoscerlo. Ma noi Gesuiti, oltre alle tre promesse, ne abbiamo anche una quarta speciale, più sostanziale di quelle dell’ubbidienza, della castità e della povertà. È la promessa della sottomissione al Papa[148]. Perciò sono costretto a preferire di gettarmi col Papa nell’eterna condanna, anziché salvarmi con tutte queste tue verità dell’assoluta certezza».

TU SEI PIETRO…

I più obiettivi tra i miei amici mi consigliavano di studiare le fonti bibliche sul papismo e cioè i passi evangelici che questo cita per la dimostrazione e la difesa del cosiddetto «Primato di Pietro»[149]. Consideravo giusto il consiglio ed era molto di mio gusto, perché mi offriva una nuova occasione di esaminare il mio caso sulla base della S. Scrittura. Come è naturale scelsi come argomento delle mie ricerche la più importante delle pericopi evangeliche nel 16° Capitolo del Vangelo secondo Matteo, sul quale si costruì la dottrina circa il detto del «Primato»: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»[150] *. Per il romano-cattolicesimo, questa parola del Signore rivolta a Simon Pietro, costituiscono la divina istituzione della pretesa giurisdizione amministrativa e giuridica di questo Apostolo[151]. Il Gesuita Bernardino Llorca scrive: «Come ricompensa della sua meravigliosa confessione circa la divinità di Gesù Cristo, il Signore annunziò a Pietro che lui, Pietro sarebbe la pietra angolare, cioè il Capo e la suprema Autorità dell’edificio della Sua Chiesa»[152]. Questa metafora (Pietro-Pietra) la quale fu applicata all’Apostolo e la quale indica che egli è il fondamento della Chiesa, dimostra anche chiaramente che egli viene stabilito massimo Capo di questa. Il senso della metafora è che Pietro dev’essere per la Chiesa ciò che è il fondamento per l’edificio. E come in ogni edificio il fondamento è precisamente ciò che consolida e dà vera unione all’insieme di esso, così anche nella Chiesa è lui, il Pietro, che da la stabilità e la vera unione ad essa[153].
Concordemente a tale interpretazione del citato passo evangelico, la Chiesa Romana insegna che S. Pietro, presunto primo Papa, «è il fondamento e la pietra angolare della Chiesa, il di lei Principe e Capo, e l’infallibile dittatore della terra»[154]. E difatti, ciò costituisce dottrina obbligatoria ed «è evidente che secondo la volontà e l’Ordine di Dio la Chiesa si regge sul beato Apostolo Pietro come precisamente ogni edificio si regge sulle sue fondamenta»[155]. Intanto questa tanto errata dottrina pretende che essa si accordi, secondo il Sinodo del Vaticano, «con il chiarissimo ed evidentissimo senso della S. Scrittura come è stato inteso sempre dalla Chiesa Universale»[156]. Secondo il mio giudizio però «il chiaro e molto evidente senso della S. Scrittura come è stato inteso sempre dalla Chiesa Universale era precisamente del tutto il contrario. Poche cose, infatti esistono nella S. Scrittura così chiare ed evidenti quanto quello che precisa che nessuno può porre altro fondamento che quello che è stato posto, il quale è Gesù Cristo»[157]. «Gesù Cristo è il solo fondamento della Chiesa», dice S. Attanasio[158]. Il Signore è l’unico fondamento, di cui l’Apostolo Paolo è orgoglioso perché l’aveva messo, quando insieme con lo stesso S. Pietro istituì la Chiesa di Roma[159] ** perché «solo il Signore Gesù Cristo è il fondamento di tutte le parti della Sua Chiesa»[160]; «ogni qual volta nelle Sacre Scritture si parla di un fondamento – dice S. Gregorio il Grande – non si accenna a nessun altro che al Signore»[161]. Sembra impossibile che uno possa osare di negare che Gesù Cristo è la pietra e il fondamento della Chiesa, se leggerà sia pure una sola volta, i libri canonici del Vecchio[162] e Nuovo Testamento[163] ***.
Le parole del Signore «Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa» riportate dall’Evangelo di Matteo, non sono riferite da nessun altro Evangelista. Non si ha il minimo cenno di esse né in Giovanni nonostante che questi fa testimone oculare della confessione di Pietro, né in Luca e neppure in Marco, il quale, anzi, è stato discepolo, compagno, interprete dello stesso Pietro e scrive il suo Evangelo secondo l’insegnamento e lo spirito di questo Apostolo. Tutte queste cose precisamente non ci presentano gli Evangelisti come seguaci e sostenitori del primato papale dato che dimenticarono di notare nelle loro Sacre Opere ciò che, secondo la dottrina papista costituisce «il più importante elemento del Cristianesimo[164], la sostanza e il totale di esso»[165]. O sarebbe più retto attribuire la responsabilità di tale ingiustificata omissione allo stesso Spirito Santo, sotto la guida del quale «sospinti parlarono»[166].
Nei diretti discepoli degli Apostoli, nella seconda generazione cristiana, non troviamo ugualmente traccia di una allusione circa il passo di cui si tratta. Difatti nelle Opere dei Padri Apostolici le quali comprendono 412 citazioni delle S. Scritture, manca completamente qualunque cenno relativo alla confessione di Pietro, riportata solo da Matteo. Lo stesso precisamente succede anche con gli altri passi evangelici che vanno citati a favore del primato papista. Né nella «Didachè (= Dottrina) dei dodici Apostoli», né in Clemente, né in Ignazio, né in Policarpo, né in Barnaba, né nell’epistola a Diognito, né nei frammenti di Papia, ancora meno nel Pastore di Erma, dove solo si fa menzione circa la organizzazione e costituzione della Chiesa, è possibile trovare la minima traccia circa il passo famoso encomiato dai papisti «Tu sei Pietro…». I due primi secoli, quindi, si presentano indiscutibilmente ignari di quello elemento «nella base del quale si regge completamente il cristianesimo»[167].
Questa importante omissione è maggiormente sentita nel Pastore di Erma il quale, Erma, era precisamente fratello di Pio Vescovo di Roma; inoltre sappiamo dal canone del Muratori che Erma scrisse quest’opera durante il Vescovato di suo fratello Pio. Ivi Erma descrive i posti degli Apostoli, Vescovi, confessori e diaconi[168], priori, dignitari[169], di quelli che presiedevano nella Chiesa protopresbiteri[170]. Ma nel Pastore, quandunque sia strapieno di immagini e simbolismi circa l’organizzazione e la gerarchia della Chiesa, non incontriamo in nessun punto una testimonianza circa il singolare posto di Vescovo, quale Capo generale di tutto il Cristianesimo. Importantissimo riesce, quindi, il fatto che il fratello stesso del Vescovo di Erma, si presenti ignorando del tutto le cose che riguardano il primato papista!
Il primo cenno del passo evangelico circa la famosa confessione di Pietro non si presenta fino alla seconda metà del 2° secolo; quando verso l’anno 160 fu scritto il dialogo al Giudeo Trifone da Giustino Martire. Lo stile semplice e indifferente con cui Giustino narra la confessione dell’Apostolo, è chiaro. Egli dice: «Gesù ad uno dei suoi discepoli che si chiamava Simone il quale per rivelazione divina, Lo dichiarò quale Figlio di Dio, gl’impose il nome di Pietro»[171]. Verso la fine dello stesso secolo appare per la prima volta nella Grammatologia Ecclesiastica, una citazione, anche se non tanto fedele, del predetto passo. Il testo, che contiene tale citazione, appartiene all’Evangelo «Diatessaron» del Siriaco clerico Tatiano. Questa opera è di tale importanza, che nella Chiesa Siriaca sostituì completamente i Vangeli canonici, almeno fino alla metà del IV secolo. La citazione è la seguente: «Beato sei Simone. E le porte dell’Ades non ti vinceranno»[172]. Dal senso dell’espressione orientale «le porte» (pyle) possiamo solo supporre la vittoria di Pietro sulla morte[173], secondo quel medesimo senso che il Signore Risorto utilizzò, parlando di Giovanni «Se voglio che rimanga finché io venga?»[174].
Da Giustino dobbiamo passare al secolo d’oro della Chiesa, per trovare altre citazioni del nostro passo. In principio la prima cosa che notarono i SS. Padri è che il Signore soprannominò il suo Apostolo «Pietro» nel genere maschile, mentre disse che avrebbe edificato la sua Chiesa «Sulla Pietra» adoperando il genere femminile, la cui distinzione è chiara ed esclude così completamente l’identificazione di «Pietro» con la «pietra». Tale distinzione guidò i Padri e gli altri scrittori ecclesiastici, nel credere che la «pietra» sulla quale venne edificata la Chiesa, non era la personalità di S. Pietro, perché in tal caso il Signore avrebbe adoperato l’espressione «su questo Pietro»[175].
Conseguentemente la maggioranza di questi scrittori inclinava per la interpretazione della Pietra, come confessione di fede al Figlio di Dio, interpretazione questa che da tempo già aveva scalfito il S. Apostolo Giuda (non l’Iscariota) consigliando edificare «Noi medesimi sulla santissima nostra fede»[176]. Altri intesero il significato della Pietra come lo stesso Cristo, il preannunciato dai Profeti l’aspettata Pietra d’Israele[177] cosa che lo stesso Signore attribuisce a Sé[178]. In fine, altri, pochissimi scrittori, come Tertulliano, nonostante che determinate volte avessero identificato la Pietra con l’Apostolo, pure attribuiscono ad essa solo un’interpretazione metaforica, un significato soltanto spirituale, senza ritenere questa come un particolare privilegio dell’Apostolo in paragone con gli altri e molto meno ereditario[179].
Il grande Agostino scrive nelle sue Retractationes che leggendo questo passo evangelico superficialmente ebbe la impressione che la Pietra si potesse identificare con l’Apostolo; ma più tardi, studiando con attenzione comprese che la retta interpretazione è, che la Pietra sulla quale la Chiesa edificata non è che Colui il quale l’Apostolo Pietro confessò come Figlio di Dio[180]. S. Agostino insegnava sempre questo insegnamento come risulta da innumerevoli passi delle sue Opere. Egli espone i motivi di tale interpretazione e così si esprime: «Siccome la parola “Pietra” è prototipo: perciò il Pietro prende il nome dalla Pietra, e non la Pietra dal Pietro; come anche noi stessi cristiani assumiamo questo nome da Cristo e non Cristo dai cristiani. Tu – dice Cristo – sei Pietro su questa Pietra che hai confessato, dicendo “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”, edificherò la mia Chiesa, cioè in me stesso il Figlio di Dio vivente»[181]. Lo stesso concetto ripete S. Agostino, quasi con le stesse parole nella sua la Omelia sulla festa dei due Πρωτοκορυφαίοι (Protocorifei) Apostoli Pietro e Paolo[182]. Lo stesso fa anche nella sua 5a Omelia sulla Pentecoste, in cui dice ancora più chiaramente: «Su questa Pietra edificherò la mia Chiesa; non sopra Pietro (Petrum) il quale sei tu, ma sulla Pietra (Petram), la quale tu hai confessato»[183]. Ed aggiunge nel Tractatus 124° sull’Evangelo di Giovanni: «Su questa Pietra, la quale hai confessato, io edificherò la mia Chiesa; e ciò perché la Pietra era lo stesso Cristo»[184].
Questo S. Padre ironizzava alcuni eterodossi, i quali, come oggi i papisti, identificavano l’Apostolo Pietro con la Pietra: quanto interpretava i passi circa la rinnegazione di Pietro domandando loro mordacemente con il tono bruciante che lo caratterizza: «Dov’è adesso la vostra Pietra? Dov’è la solidità di essa?»[185]. Lo stesso Cristo era la Pietra, mentre Simone non fu che Pietro… di pietra. La vera Pietra fu risuscitata per rinforzare Pietro, il quale vacillò abbandonando la Pietra[186]. Su questa divina Pietra, la quale è il Suo vero Figlio: Iddio pose «i fondamenti relativi» cioè i primi materiali umani della Chiesa. Questi «fondamenti relativi» sono tutti insieme gli Apostoli, fra i quali Simone Pietro non occupa nessuno speciale posto di autorità o di giurisdizione. Ciò insegnano S. Paolo e S. Giovanni Evangelista, il quale in una delle sue meravigliose profetiche visioni ebbe l’occasione di vedere, che l’edificio spirituale della Chiesa edificato «sulla Pietra», aveva dodici pietre di fondamento, e su queste stavano i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello[187].
Perciò S. Ignazio Antiocheno scrive ai Tralliani, che «fuori di loro (degli Apostoli), non esiste neanche il nome della Chiesa»[188]; e S. Cipriano lo riferisce anch’egli a modo suo, insegnando che la Chiesa si è basata «Super episcopos», cioè sugli Apostoli e sui loro successori[189] i quali sono, stati edificati su quella inamovibile roccia (pietra) di Nostro Signore Gesù Cristo[190]. L’ammettere che la Chiesa è edificata solo sull’Apostolo Pietro escludendo tutti gli altri, come pretende il Papismo[191], equivale a paragonare il Salvatore con «quello stolto uomo» della parabola «che edificò la sua casa sulla rena», la quale casa «cadde, e la sua rovina fu grande»[192]. «Tu dici che la Chiesa si eresse su Pietro – scrive S. Girolamo all’eretico Iovinianus – ma la verità è che si eresse su tutti gli Apostoli; e la potenza della Chiesa si stabilì su tutti loro»[193].
Lo studio degli insegnamenti dei Padri relativo a questo passo della S. Scrittura, è stato molto vantaggioso per me; perché, come scrive S. Vincenzo: «è necessario, per evitare difficoltà ed i labirinti dell’errore, che il modo della spiegazione della S. Scrittura sia consono con la nota regola secondo il senso della tradizione ecclesiastica»[194].
Dopo queste indagini sui Padri, non avevo più alcun dubbio riguardo al fatto che l’insegnamento cattolico-romano sul primato papista dell’Apostolo Pietro, era del tutto contrario al «chiaro ed evidente senso» della S. Scrittura e gli insegnamenti degli Apostoli ed alle interpretazioni dei SS. Padri e in genere al costante ed ecumenico insegnamento, secondo la tradizione della chiesa di Cristo[195].

IL PRINCIPIO DELLA DISPUTA

Quando le mie idee cominciarono a divenire conosciute, iniziò anche a circolare su di me la vaga diceria che fossi un monaco fortemente sospetto d’eresia. «Se fossimo vissuti, invece di adesso, pochi secoli fa – mi scrisse in modo molto severo un rispettabile Vescovo, ora Cardinale – le teorie che la Rev. Vostra sta sviluppando avrebbero costituito motivo più che bastante per condurla al rogo della Santa Inquisizione».
Non tardò anche a divulgarsi la diceria che i miei superiori ecclesiastici, avevano deciso per il caso di interporsi onde fosse impedita la mia ordinazione a Diacono[196]. Giunsero ad invocare il voto dell’ubbidienza e della disciplina monastica, per costringermi ad abbandonare coscientemente le mie convinzioni. Secondo loro dovevo ubbidire ciecamente e smettere d’occuparmi di altro in quanto il diritto dell’esame delle questioni di fede, l’aveva soltanto l’alta Gerarchia della Chiesa. Se credevo nella Chiesa Apostolica, mi dicevano, dovevo seguire, secondo loro, in tutti i legali successori degli Apostoli. Ma, la grazia del Signore permise che rimanessi fermo nelle mie convinzioni tenendo dinanzi a me i detti di S. Ireneo riguardo agli eterodossi. «Dal solo e semplice fatto che hanno l’Apostolica successione, non possono avere la pretesa di essere loro seguaci: bisogna che seguiamo i buoni successori degli Apostoli, ma anche bisogna dividerci dai cattivi»[197].
Difatti, la Chiesa romana può avere la formale successione apostolica dalla successiva imposizione delle mani dei Vescovi; ma non la vera successione della fede e dell’insegnamento Apostolico, quella che Papia encomiava alla stessa Cristianità di Roma nel secondo secolo dicendo: «In ogni successione ed in ogni luogo si osserva ciò che esigono le leggi, i Profeti ed il Signore»[198].
Nulla poteva ormai farmi cambiare idea. Perciò quando un prete, il quale d’allora non cessò di parlarmi con cattiveria, mi chiamò pubblicamente «ingrato figlio della Chiesa Cattolica», mi permisi di esprimere i miei dubbi se l’appellativo di «cattolico» s’accordasse realmente al papismo, che caratterizzai come «empia innovazione»[199], mentre «la vera fede cattolica è quella dell’antico ed universale Cristianesimo»[200]. E di fatti io stesso mi credevo più cattolico della stessa mia Chiesa: «È veramente cattolico colui il quale ama la verità di Dio, la Chiesa il Corpo di Cristo… colui il quale non preferisce nulla più della divina religione; e non pone prima di essa l’autorità d’un uomo, ma soltanto l’antica ed unica fede. E disprezzando questa autorità e rimanendo solidamente e fermamente collegato alla vera fede, è risoluto a non credere null’altro fuori di quello che sa che prescrisse la Chiesa fin dai primi inizi del suo cammino»[201].
Quando mi domandavano, se io, l’ultimo e il più umile dei monaci di S. Francesco, osavo giudicare e chiamare errata l’intera mia Chiesa, con tutti i Papi, i Sinodi e i Teologi di essa mi bastava rispondere semplicemente, ripetendo le parole di Tertulliano: «Ogni dottrina che si oppone alla verità insegnata dalla Chiesa, dagli Apostoli, da Cristo e da Dio dev’essere giudicata come errata»[202].

«ESCI DA ESSA, O POPOLO MIO…»

Ciò nonostante, probabilmente non avrei fatto il minimo passo per abbandonare la mia Chiesa, se fossi stato sicuro che malgrado la sua mostruosa deviazione dogmatica, mi sarebbe stato perlomeno possibile rifugiarmi esclusivamente nella vita spirituale, che il mio Ordine e il mio Convento mi offri vano lasciando alla Gerarchia la responsabilità riguardo all’eresia e l’obbligo di discernerla e di correggerla. Ma in una religione alla quale il semplice capriccio di un Papa che si crede infallibile, può introdurre tanti nuovi dogmi, decreti e insegnamenti errati quanti ne vuole, riguardo alla fede, al culto ed ai Sacramenti, resterebbero forse sicuri gli interessi della mia anima e la integrità della mia vita spirituale?
«Costituisce una grande tentazione – scriveva San Vincenzo di Lerino già nel 5° secolo – il fatto che costui, il quale tu consideri come profeta, come interprete dei profeti, come maestro e sostegno della verità che segui col più grande rispetto e amore, improvvisamente comincia ad introdurre clandestinamente pericolosi errori, che non puoi scoprire facilmente, abbagliato dal preconcetto dell’anteriore suo insegnamento e dalla cieca ubbidienza a lui»[203].
Di più ancora; era a me facile constatare, infatti, che la vita spirituale del Cattolicesimo romano presenta gravi ed evidenti prove d’influenza della sua deviazione Teologica. Dogmi, come quello del Purgatorio, usanze come quella dell’amministrazione della divina Comunione da uno e solo elemento, esagerazioni come quella del culto esagerato alla Vergine, costituiscono chiari sintomi di degenerazione teologica, evidenti agli occhi di quelli che vogliono vederli senza parzialità e senza preconcetti. Infatti, avendo loro di già profanato la iniziale purezza della fede evangelica ed apostolica con la dottrina sul papato e con l’eresia dell’infallibilità papale, avendo con tale modo travisata una parte del retto insegnamento sull’uomo deviarono similmente anche in altri punti. E come in tutti gli altri casi di eterodossia, che vengono ricordati dalla storia ecclesiastica: «in seguito continuano l’alterazione anche in altri insegnamenti, in principio per abitudine, e in seguito come se si fosse acquistato un certo diritto per continuare l’alterare. E così essendo snaturate in fine tutte le parti del retto-insegnamento, alterano, il tutto con lo stesso modo»[204].
Non è per nulla strano se personalità distinte, dal punto di vista spirituale, nella Chiesa romana, cominciavano a dare il segnale d’allarme, sebbene già tardi, con dichiarazioni pubbliche tanto espressive come la seguente: «Chi sa, se i “piccoli mezzi di salvezza” che ci assediano ci guidarono nel dimenticare l’unico Salvatore: Gesù!…»[205]. «Oggi la nostra pietà si presenta come un albero con tanti rami intrecciati e con tanto fitto fogliame, dove le farfalle svolazzano col pericolo di non sapere più dove si trova il tronco il quale contiene il tutto e dove si trovano le radici che abbracciano la terra»[206]. Aggiungiamo anche questa più opprimente frase: «Abbiamo decorato e supercolmato il quadro in tal modo, che l’immagine di Colui che è l’unico necessario è scomparso sotto gli ornamenti»[207].
La riparazione è semplice e possibile ed i più sinceri e coraggiosi di questa Chiesa lo riconoscono. Sfortunatamente però, l’occasione che venga applicata opportunamente è già molto dietro: «Non ci cibiamo d’altro cristianesimo che non sia quello dei tempi Apostolici – esclamava un sapiente Reverendo cattolico romano, Mons. Le Camus –. Non dobbiamo permettere a coloro che ci propongono altre differenti idee di turbare la nostra vita religiosa, di sottrarci alla nostra buona volontà e di diminuire le nostre energie»[208].
Le seguenti parole sono veramente una eco dei rimproveri di S. Policarpo ai Pilippesi: «Si abbandonino le vanità degli uomini e i falsi insegnamenti e si torni all’insegnamento che ci fu dato in principio»[209]. E aggiungiamo anche le osservazioni di S. Cipriano a Cecilio: «Quando la verità manca dall’usanza e dalla Tradizione queste non sono altro che l’antichità dell’errore. Esiste un mezzo molto sicuro per il quale le anime pietose possono distinguere ciò che è vero da ciò che non è vero: basta risalire al primo inizio del divino insegnamento, là dove ha termine l’errore umano. Si ritorni al primiero insegnamento, che ci fu dato da N. S. G. Cristo, come fino all’inizio Evangelico, fino alla Tradizione Apostolica da cui scaturisce la ragione dei nostri pensieri e delle nostre opere»[210].
Aggiungiamo ancora le parole del grande Profeta: «Fermatevi sulle vie, e guardate, e domandate quali siano i sentieri antichi del Signore, e guardate dove sia la buona strada e incamminatevi per essa; e voi, troverete la purificazione delle vostre anime»[211].
Ero, quindi, persuaso che anche la stessa vita spirituale della Chiesa romana potesse riuscirmi seriamente pericolosa; perché «nella Chiesa di Dio, costituisce grande tentazione per i fedeli, l’errore di coloro, i quali li conducono, e maggiore e più grave è la tentazione, quando quelli che insegnano l’errore occupano gradi molto elevati»[212]. Colui che affida la sua anima ad una Chiesa, che è diretta e governata da eterodossi, corre il pericolo che gli accada ciò che accadde ai fedeli, che si trovavano sotto l’autorità pastorale di Origene, per il quale i Padri dicono: «Infatti, non semplice tentazione, ma molto grave fu la cattiva influenza di questo maestro della Chiesa a lui affidata…, che nulla sospettava, nulla temeva da lui e così fu da esso condotta, a poco a poco ed incoscientemente, dalla originale religione ad una empia innovazione»[213].
Non volevo più restare nel seno di un falso cristianesimo, che sfruttava il Vangelo, per servire i fini imperialistici del cesaropapismo. Non volevo essere di quelli, che «non possono avere il vero Dio quale Padre in quanto disprezzarono la vera Chiesa quale Madre»[214], perché come dice S. Cipriano, quanti deviarono dalla vera dottrina e dalla prima unione ecclesiastica, «non hanno la legge di Dio, non hanno la fede del Padre e del Figlio, non hanno la vita e la salvezza»[215]. Avevo la convinzione che nulla più mi restava, che prendere la ultima decisione e fare il passo decisivo, ponendo fine alla insopportabile mia condizione nel seno del papismo, condizione la quale era già scossa da ogni punto di vista.
Indubbiamente la grazia del Signore mi ha contenuto in quei giorni in cui avrei dovuto prendere una così grave decisione, in modo che io mi domando ancora stupito, come mai ho potuto resistere alle tante lacrime dei miei cari fratelli del monastero ed ai tanti rimproveri e alle tante minacce dei miei superiori. Mi chiamarono ingrato e apostata della Chiesa dei miei avi e apostata della Tradizione religiosa della mia Patria. Mi limitavo a rispondere ai pochi che volevano ascoltarmi ancora, con queste parole di S. Girolamo nelle quali trovavo tanta forza e consolazione in ogni momento: «Non siamo obbligati a seguire gli errori dei nostri antenati e dei nostri maggiori ma i dettami della S. Scrittura e gli ordini di Dio»[216]. Per quanto riguarda il supposto «tradimento» alla Tradizione della Patria ero tranquillo. «Tutto ciò che si contrappone alla verità, anche se si tratta di una Tradizione o di una antica usanza, è eresia»[217].
E quando, dopo mesi, scrissi il primo capitolo del mio studio «Storia dell’Ortodossia Spagnuola», nel quale scientificamente mi occupavo della fondazione delle prime Chiese Iberiche dall’Apostolo Paolo[218] ho constatato che ero precisamente l’unico che non aveva tradito ancora la vera e antica Tradizione Spagnuola, dato che la Chiesa della mia Patria era infatti Ortodossa durante i primi quattro secoli dalla sua fondazione e non papista e non dominata dal Vaticano come oggi[219].
Abbandonai infine il monastero e poco dopo proclamavo pubblicamente la mia decisione, di abbandonare la Chiesa Romana. Altri monaci e Sacerdoti, avevano dimostrato fin allora il proposito di seguirmi, ma all’ultimo momento nessuno di loro si mostrò premuroso di sacrificare tanto radicalmente le sue condizioni nella Chiesa, il suo onore e la sua buona riputazione della società[220]. Prima di abbandonare il Convento ebbi la buona idea di chiedere ai superiori di rilasciarmi un certificato che attestasse che l’abbandono del Convento da parte mia avveniva dietro mia spontanea volontà e che durante tutta la mia vita monastica, non avevo dato il minimo motivo ad osservazioni. Tale documento mi venne rilasciato in seguito e fu «la deplorevole particolarità» che impedì posteriormente i Greci Uniti in Ellade di costruire qualche calunnia sulle cause della mia «Apostasia».
In tal modo abbandonai la Chiesa di Roma, il cui Capo dimenticando che il regno del Figlio di Dio non è di questo mondo[221] e che «colui il quale è stato chiamato alla dignità Episcopale, non lo è stato per investirsi di un’autorità umana, ma per servire intera la Chiesa»[222], imitò colui che «nella sua superbia desiderando essere come Dio, perdette la vera felicità per guadagnare una falsa gloria»[223]; imitò colui che «sedette al Tempio di Dio, per credersi Dio[224]». «Salirò fino ai cieli ed innalzerò il mio trono al disopra delle stelle di Dio: siederò sulla montagna, ove seggono gli Dei… e somiglierò all’Altissimo»[225].
Giustamente Bernardo di Chiaravalle, una delle maggiori figure mistiche d’Occidente, scriveva a Papa Eugenio: «nessun veleno maggiore per te, nessuna spada più pericolosa, che la passione del dominio»[226]. Guidati da questa sfrenata passione i Papi obbligarono la loro Chiesa a «fornicare con le forze del mondo, facendone bottino di mercanti»[227]. In tal modo trasgredirono i comandamenti di Dio, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini[228] e «minando la verità, per costruire su questa i loro errori»[229] divennero loro stessi bugiardi[230], e seguaci del padre dei bugiardi e della menzogna[231]. E ciò, come del resto è accaduto a tutte le altre eresie di tutte le epoche, «perché introdussero nel divino dogma superstizioni umane, perché violarono i precetti degli antichi, disprezzando gli insegnamenti dei SS. Padri, annullando la sapienza degli antenati, attratti dalla sfrenata passione di una empia e vana, innovazione e perché non volevano contenersi nei limiti della santa e incorruttibile antichità»[232]. Ecco, dove è andato a finire il Papa, come quello sventurato Origene «coll’avere sprezzato la semplicità della religione cristiana e coll’avere preteso che egli sa più d’ogni altro, disprezzando le Tradizioni della Chiesa e gli insegnamenti degli antichi»[233].
In un tale stato di cose, non potevo fare altro che ciò che ho fatto, ubbidendo alla voce della mia coscienza, la quale ripeteva il comandamento dello stesso Dio al popolo eletto: «Esci da essa, o popolo mio: affinché non sii partecipe dei suoi peccati e non abbi parte alle sue piaghe»[234].

VERSO LA LUCE

Quando la notizia della mia disapprovazione del papismo cominciò a divulgarsi in larghi circoli ecclesiastici e ad essere accettata con entusiasmo dai Protestanti Spagnoli e Francesi, la mia posizione diveniva ancora più delicata. Nella mia quotidiana corrispondenza ricevevo molte lettere anonime di minacce e di ingiurie: mi si imputava che io cercavo di creare una pubblica opinione antipapista tra i fedeli e che volevo condurre all’apostasia un determinato numero di sacerdoti cattolici-romani, i quali, venivano considerati «deboli dogmaticamente» perché avevano la debolezza di palesare pubblicamente un interesse ed una simpatia per il mio caso. Tutte queste cose mi condussero alla decisione di lasciare Barcellona per trasferirmi a Madrid, ove accettai la ospitalità degli Anglicani e per mezzo loro iniziai relazioni col Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Intanto, nemmeno là riuscii a rimanere inosservato. E, dopo ogni mia predica, nei diversi Tempi della Chiesa Anglicana, un grande numero di ascoltatori erano desiderosi di conoscermi personalmente e discutere con me, confidenzialmente, su diverse questioni di coscienza. Il maggior numero dei miei interlocutori mi poneva la domanda circa la coesistenza di diverse Chiese Cristiane le quali si scomunicavano fra loro perché ognuna di esse sostiene che è l’unica, autentica e genuina rappresentante e, quindi, erede della Chiesa dei primi secoli.
Così, senza che io lo avessi cercato, cominciò a formarsi intorno a me un circolo sempre maggiore, di cui la maggioranza dei componenti non erano papisti. Ciò mi esponeva pericolosamente a venire alla rottura con le autorità, specialmente quando fra le visite confidenziali che ricevevo, cominciarono ad annoverarsi anche alcuni Sacerdoti cattolici-romani da molti conosciuti e disprezzati quali «ribelli contro la loro chiesa e quali seguaci di una idea liberale riguardo il Primato e la Infallibilità del Pontefice di Roma».
L’odio fanatico che nutrivano da allora in poi per me determinati cattolici-romani più papisti che cristiani, lo integrarono, infine, in quel giorno in cui risposi pubblicamente per esteso ad uno studio ecclesiologico, che mi era stato inviato dall’Azione Cattolica come «ultimo passo» per farmi desistere dalla «mia eretica ostinazione». Lo studio in parola, di carattere apologetico, portava il titolo espressivo: «Il Papa Vicario di N. S. Gesù Cristo sulla terra», ed il suo riassunto era presso a poco il seguente: «In virtù dell’infallibilità di Sua Santità i cattolici-romani sono, oggi, i soli cristiani che possano essere sicuri di ciò che credono». Dalle colonne della Rassegna portoghese «Critica dei Libri», risposi loro senza alcuna riserva: «Più obiettivo è, per virtù precisamente di tale infallibilità, il fatto che oggi siete in realtà i soli cristiani… i quali non possono essere sicuri… di ciò che Sua Santità li obbligherà a credere domani». Il mio commento terminava con queste parole: «ancora un po’ di più, e riuscirete a mutare N. S. Gesù Cristo in Vicario del Papa nei cieli».
Poco tempo dopo posi termine alla nostra disputa con la pubblicazione a Buenos Aires di un triplice studio, che esauriva completamente il tema nel modo più obiettivo[235]. Questo studio consiste in una raccolta di tutti i passi delle opere dei SS. Padri dei primi quattro secoli, che alludono direttamente o indirettamente ai così detti «Testi del Primato» che, come è noto, sono: Matt. 16, 16-19; Giovan. 21, 15-17; Luc. 22, 31-32. In tal modo dimostravo che la dottrina papista è assolutamente contraria alla interpretazione che danno i SS. Padri su questi passi del Vangelo, interpretazione che costituisce precisamente l’unica regola della spiegazione della parola di Cristo.

L’INCONTRO CON LA VERITÀ

Durante questo periodo, indipendentemente dai detti avvenimenti, venni per la prima volta in immediato contatto con l’Ortodossia. Prima di procedere alla enumerazione dei fatti devo far notare qui che le mie cognizioni su questa Chiesa erano abbastanza sviluppate fin dal principio della mia odissea. Da una parte, determinate discussioni, che per lungo tempo avevo fatto in temi ecclesiastici con un gruppo di universitari Polacchi ortodossi, i quali erano di passaggio per la mia patria, d’altra parte le notizie pubblicate che ricevevo dal Consiglio Ecumenico relative all’esistenza ed all’azione degli Ortodossi d’Occidente, avevano mosso sinceramente il mio interessamento. Di più, ultimamente, cominciai a ricevere pubblicazioni da Russi, da Greci, da Londra, da Berlino ed alcuni preziosi studi dell’Archimandrita Benedictos Katsanevakis, pubblicati a Napoli, che avevano guadagnato la mia simpatia.
Tutto ciò contribuì, naturalmente, a poco a poco ad estinguere integralmente tutti i miei preconcetti, che, a riguardo dell’Ortodossia vengono fomentati dal Cattolicesimo romano, i cui testi ufficiali di dottrina che vengono insegnati alla gioventù scolastica e universitaria riferiscono che: «Lo scisma d’Oriente, il così detto Ortodossia, non è null’altro che un insieme senza vita, mummificato, fossilizzato e disseccato; piccole chiese locali, senza nessuno dei caratteristici contrassegni distintivi della vera Chiesa di Cristo»[236]. Cioè «un lacrimevole scisma il quale ebbe come Padre il Diavolo e come Madre la superbia del Patriarca Fozio»[237].
Quando, di mia propria iniziativa, cominciai le mie relazioni per corrispondenza con un venerabile membro della Gerarchia Ortodossa in Occidente a cagione della mia propria crisi dovuta a tutte queste generiche informazioni, ero già integralmente capace di ricevere obiettiva cognizione di quanto questo Vescovo mi voleva riferire riguardo alla dottrina Ortodossa. In altre parole ero già in condizione di esaminare senza preconcetti tutte le relative questioni dottrinali riguardanti sia la fondazione che la situazione teologica delle Chiese Orientali.
Durante tali relazioni, non tardai a discernere il parallelismo esistente fra la mia negativa posizione e la dottrina Ecclesiologica dell’Ortodossia dinanzi al papismo. Mentre io combattevo «ciò che non doveva esistere» l’Ortodossia parallelamente, offriva «tutto ciò che deve esistere». Riferii questo parallelismo a quel venerabile prelato, dato i nostri reciproci rapporti convenne meco su tale punto, anche se con qualche riserbo dovuto al fatto della mia permanenza fra Protestanti. Qui devo osservare che i rappresentanti dell’Ortodossia in Occidente non s’interessano per nulla del proselitismo perché il proselitismo tra cristiani è contrario alla loro concezione circa la situazione ecclesiastica in Europa ed alla loro attività strettamente pastorale fra i Greci ed i Russi, la di cui spiritualità è stata loro affidata.
Quando la nostra corrispondenza era ormai molto avanzata e per mezzo di essa le mie relazioni erano estese fino allo stesso Patriarcato Ecumenico, solo allora, fu deciso di consigliarmi lo studio della preziosa opera di Sergio Boulgakoff «L’Ortodossia»[238] e la non meno profonda opera del Metropolita Serafino di Berlino, la quale porta il medesimo titolo[239]. Dal principio della lettura di queste opere, sentii il mio essere identificarsi con lo spirito dei loro autori. Nessun paragrafo vi incontrai da non potere ammettere e abbracciare coscientemente. Tanto in tali opere, quanto in molte altre che cominciai a ricevere dalla Grecia accompagnate da lettere incoraggianti, mi sorprendeva l’evangelica purezza dell’insegnamento Ortodosso, i di cui fedeli sono oggi, indubbiamente, gli unici cristiani del mondo i quali credono quello che credevano anche i cristiani delle catacombe; gli unici e veramente fedeli, i quali hanno ragione di ripetere con legittimo orgoglio la patristica frase: «Crediamo a tutto ciò che ricevemmo dagli Apostoli, a tutto ciò che gli Apostoli ricevettero da Cristo, e a tutto ciò che Cristo ricevette dal Padre». O a queste parole di Tertulliano: «Solo noi siamo in comunione con le Chiese Apostoliche, perché la nostra dottrina è la sola, che non si differenzia dalla dottrina loro. Questa è la testimonianza della nostra verità»[240].
Durante questo periodo scrissi il mio studio «Concetto della Chiesa secondo i Padri dell’Occidente» e lo studio «Dio nostro, Dio vostro, e il Dio»[241], la cui pubblicazione, nel Sud America, fui costretto di sospendere, per non offrire un’arma tanto maneggevole quanto pericolosa alla propaganda protestante.
Venni allora consigliato dal lato Ortodosso, di lasciare il mio atteggiamento semplicemente negativo dinanzi al papismo, atteggiamento al quale mi ero attaccato, per dedicarmi ad un lavoro di concentrazione e di autoesame, per il rinvenimento del mio positivo e concreto mio personale «Credo», per mezzo del quale avrebbero potuto esaminare la mia esatta condizione teologica e misurare le distanze che questa potesse avere dall’anglicanismo da una parte e dall’Ortodossia dall’altra. Tale fatica non era né facile né breve in quanto mi obbligava ad un esame molto largo, trattandosi della fede per la quale indubbiamente non ero ancora teologicamente preparato. Perché, non si trattava per me soltanto di cancellare i dogmi relativi al Primato Papale e le sue prerogative e rimanere con il resto della dottrina romana, ma occorreva un profondo lavoro di analisi e chiarificazione, tra le verità fondamentali del Cristianesimo e le barriere dogmatiche papali di ogni ordine e specie, sulle quali sono stati solidamente basati per secoli gl’interessi politico-ecclesiastici del Vaticano, per la realizzazione delle sue mire imperialistiche sulla Chiesa. E ciò perché non volevo ricadere nel medesimo errore degli Antichi Cattolici i quali scandalizzandosi della proclamazione del dogma dell’infallibilità papale nel Sinodo del Vaticano, abbandonarono il Papa e restarono però con la medesima teologia romana, contessuta con tanti altri artefatti dogmi, preconcetti e superstizioni.
Innanzi all’enorme difficoltà di questo lavoro preferii esprimere il mio atteggiamento con parole generiche e positive, quanto più mi era possibile, esprimendomi quindi così: «Credo a tutto ciò che contengono i libri canonici del Vecchio e Nuovo Testamento ed a tutti gli insegnamenti che scaturiscono direttamente dal loro contenuto conformemente all’interpretazione di esso fatta secondo il tradizionale insegnamento ecclesiastico, cioè secondo l’insegnamento dei Concili Ecumenici e dell’unanime consenso dei Santi Padri».
Da quel momento, cominciai a notare che la simpatia dei Protestanti verso di me diminuiva rapidamente, fatta eccezione degli Anglicani, la comprensione e l’incoraggiamento morale dei quali mi accompagnavano durante tutto questo difficile periodo. E solamente allora l’interesse degli Ortodossi, anche se molto tardi, cominciava a dileguare il preconcetto verso me e considerarmi come uno «probabile e interessante catecumeno». Le parole di uno scienziato Ortodosso Polacco (al quale, gli Uniti[242], informati della sua influenza, delle sue ricchezze e del suo prestigio, fecero proposte di convertirsi con ogni costo al papismo), le parole dico di lui mi persuasero circa la fede dell’Ortodossia sulle verità sostanziali del primo Cristianesimo. Questo mio amico diceva agli Uniti: «Mi consigliate che devo rinnegare la fede Ortodossa per diventare perfetto cristiano: E bene; la mia fede Ortodossa, è costituita dai seguenti elementi: Gesù Cristo, Vangelo, Sinodi e SS. Padri. Chi o quali di questi elementi devo rinnegare, per diventare, come dite, perfetto cristiano?». E quando, modificando la loro politica, gli proposero di non rinnegare nulla di ciò, ma almeno riconoscere il Papa come infallibile Capo della Chiesa, rispose semplicemente: «Riconoscere il Papa? Ciò sarebbe come rinnegare tutti i sopraccennati elementi!».
Compresi, che difatti, ogni cristiano non Ortodosso, ha la possibilità di sacrificare una parte dell’intera sua dottrina, per giungere ad una più completa purezza della sua fede, mentre il cristiano Ortodosso non ha questa facoltà, perché solo lui resta fermamente alla sostanza del Cristianesimo, la quale costituisce la Verità rivelata, eterna ed immutabile. Un cristiano cattolico-romano per esempio, può rinnegare il Papa, come feci io, o confutare la dottrina sul Purgatorio, o portare obiezioni alle norme del Concilio di Trento senza perciò cessare d’essere cristiano. Con lo stesso modo un Protestante può rinnegare gli insegnamenti dei grandi Riformatori in ciò che riguarda la Divina Grazia e la Predestinazione e rimanere intanto ugualmente cristiano. Solo l’Ortodosso è colui il quale non dispone nella sua fede di altri elementi che di quelle sostanziali e basilari verità del Cristianesimo, direttamente rivelate da Dio per mezzo di Gesù Cristo. La Ortodossia è la sola Chiesa la quale non accettò mai di proporre nulla ai suoi fedeli, tranne quello, che «sempre, dappertutto e da tutti» fu considerato come insegnamento rivelato da Dio[243]. Perciò, l’abbracciare l’Ortodossia non è altro che l’abbracciare la fede del Vangelo nella sua limpidezza primitiva, mentre al contrario il rinnegarla e il ribellarsi ad essa è come rinnegare e distaccarsi interamente dal Cristianesimo.
L’Ortodossia è quell’unica Chiesa, che come fedele custode della fede Evangelica «giammai mutò in essa nulla, né tolse né aggiunse nulla»[244] «non tolse nulla di sostanziale né accumulò degli accessori, né smarrì qualcosa di suo, né rapì nulla di estraneo, sempre fedele e prudente verso ciò che ereditò»[245], perché sa che nella fede, che originariamente le fu affidata una volta per sempre[246], non è permesso il minimo cambiamento neanche da un angelo del cielo[247] e tanto meno da un uomo terreno bugiardo e peccatore!…
L’Ortodossia è la vera sposa di Cristo «gloriosa, senza macchia, e senza ruga o qualcosa di simile, ma santa ed irreprensibile»[248].Questa è la Santa Chiesa di Dio l’unica sua[249], «la veramente Chiesa Universale (= Cattolica) che combatte contro tutte le eresie». Essa può combattere ma non può essere mai vinta. Benché tutte le eresie e gli scismi siano da Essa germogliati, sono tolti da Essa come tralci inutili dal tronco della vite principale, questa però resta ferma alla sua radice, alla sua unione con Dio[250]. Chi la segue, segue Dio; chi ascolta la sua voce, ascolta quella di Dio[251]; e colui il quale le disubbidisce è uno dei Gentili[252].
Persuaso di tutte queste idee non mi sentivo più tanto solo, dinanzi all’onnipotente papismo da una parte, e la sempre più manifesta freddezza dei protestanti dall’altra. Sentivo che esistevano in Oriente e sparsi in tutto il mondo, milioni di miei fratelli cristiani, i costituenti la Chiesa Ortodossa, che, con essi, mi trovavo già in comunione di fede e di dottrina. La calunnia papista della fossilizzazione e del disseccamento teologico dell’Ortodossia, non mi ha per nulla toccato, poiché, avevo compreso, ormai, che questa perseverante costanza dell’Ortodossia nella verità da Essa ereditata, non era immobile, statica, impassibile e quindi pietrificata, ma era una confessione di fede a corrente permanente, quale la corrente di una cascata, che appare sempre la stessa, mentre, le sue acque, alternandosi, sono permanentemente diverse ed in ogni momento producono nuova eco ed armonia.
A poco a poco, anche gli ortodossi cominciarono a considerarmi come persona loro. «Il discutere con questo Spagnolo delle verità dell’Ortodossia non è proselitismo – scriveva un Archimandrita – ma è parlare con lui di un insegnamento, di uno spirito religioso, i quali sono tanto nostri quanto suoi, con la sola differenza che noi li abbiamo ereditati dai nostri anteriori mentre lui è riuscito ad esumarli da una profondità di quindici secoli di storia della nostra Chiesa». Era quindi chiarissimo che il naturale sviluppo delle mie «spirituali inquietudini», così chiamate dal mio confessore, mi aveva guidato inconsciamente nel seno della Madre Chiesa cioè della Chiesa Ortodossa. Di più; durante questo ultimo periodo, ero già, senza che me ne accorgessi, un Ortodosso e nello stesso modo come i discepoli a Emmaus, così, anch’io camminavo percorrendo insieme con la Divina Verità, senza riconoscerla, fino al termine del mio viaggio spirituale.
Quando, arrivato alla piena convinzione di tutte queste cose, compresi che non mi restava null’altro che agire in conseguenza. Scrissi quindi, una lunga esposizione del mio caso e del suo sviluppo al Patriarcato Ecumenico come pure a Sua Eminenza l’Arcivescovo di Atene a mezzo della Direzione della «Diaconia Apostolica» (Αποστολική Διακονία) della Chiesa di Grecia. Allo stesso modo esposi chiaramente la mia risoluzione alle Gerarchie e ad altri membri delle varie Chiese, con le quali ero in relazioni. E sentendomi come colui che possiede già la perla preziosa per la quale vale la pena di sacrificare qualunque cosa che ha[253], pur di custodirla, abbandonai la mia Patria a mi recai in Francia dove venni in pieno contatto con gli Ortodossi miei fratelli appena conosciuti. Preferii, però, di lasciare passare ancora del tempo, prima di entrare regolarmente come membro della Chiesa Ortodossa, avendo ancora intenzione di maturare a poco a poco la mia tanto importante risoluzione.
Infine feci il passo definitivo, chiedendo ufficialmente l’ingresso nella vera Chiesa di Cristo. Tutti concordemente decisero che l’avvenimento avesse luogo nella stessa Grecia, terra per eccellenza della Ortodossia, ove dall’altra parte, bisognava che mi recassi poiché colà dovevo seguire gli studi teologici. Giunto ad Atene mi presentai a Sua Beatitudine l’Arcivescovo, che mi serbò la migliore accoglienza paterna il di cui affetto, la tenerezza e l’interesse si mantengono inalterati fin oggi, accompagnandomi ad ogni passo della mia nuova vita ecclesiastica. Ciò potrei dire anche per l’allora Rev.mo Protosincello (Vicario Generale), oggi per grazia Divina Vescovo di Roge (Ρωγών), vero padre, il di cui interessamento per me superò fin dal principio ogni mia aspettativa. Inutile dire che in tale ambiente di affettuosa tenerezza, il Santo Sinodo non tardò a decidere per il mio definitivo ingresso nel seno della Chiesa Ortodossa.
Durante la Sacra Funzione della Cresima, per me commoventissima, in virtù della quale divenni ormai membro della vera vite, fui onorato col nome dell’Apostolo delle Genti, ed in seguito ammesso nel monastero della Madonna di Pentelis come monaco. Pochi mesi dopo venni ordinato Diacono per mezzo dell’imposizioni delle mani del Vescovo di Roge (Ρωγών).
Disprezzando le continue molestie da parte dei membri del fosco Ordine papista dei così detti «Greci uniti» poco numerosi in Grecia, la fantasia dei quali non si esaurisce mai quando si tratta di macchinare ogni specie di calunnie mi sento felice perché circondato dall’affetto, dalla simpatia, e dalla comprensione da parte della SS. Chiesa Greca e della venerabile Gerarchia, come pure da parte delle diverse Organizzazioni religiose ed in genere di tutti coloro che fin oggi mi onorano con la loro spirituale conoscenza.
Da tutti questi, miei padri e fratelli nella fede, e da quelle persone che a mezzo dei miei scritti benevolmente hanno appreso di me e di tutta la mia Odissea, chiedo il soccorso delle loro preghiere per ricevere la grazia del Cielo, onde mantenermi degno e costante verso il grande ed eccellente beneficio di Dio.

IL CONSENSO DELL’AUTORE

Salonicco, 1 febbraio 1955

Al molto Rev.
Archimandrita Benedictos Katsanevakis
NAPOLI (Italia)

Molto Reverendo,

Con grande gioia ho ricevuto tempo fa il Vostro libro: “I Sacramenti nella Chiesa Ortodossa”, per l’invio del quale desidero esprimerVi i miei più sentiti ringraziamenti. L’ho letto e studiato con molta attenzione e dopo di ciò sento profondamente, come ortodosso Occidentale, la riconoscenza per la Vostra attività illuminatrice e missionaria in Occidente, attività e opera, alle quali, io, personalmente, debbo tanto, come attuale Cristiano Ortodosso.
La seria obiettività che usate nei vostri studi, la profonda scientifica dignità e la fervente dedizione ai principi dell’inalterata eredità dell’Ortodossia, presentano la Vostra Opera Apostolica quale veramente unica.
Da molto tempo avevo grande desiderio di venire in contatto spirituale con Voi, affinché, da giovane ed inesperto operaio nella Vigna del Signore, approfittassi dalla Vostra ricca, spirituale e scientifica esperienza missionaria, ma ignoravo il Vostro preciso indirizzo in Napoli. Ultimamente l’ho conosciuto durante la mia permanenza al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, ove con piacere ho constatato la profonda stima di cui lì gode la Vostra persona ed il Vostro Apostolato…
Ora, rispondendo alla Vostra ultima lettera, con filiale riconoscenza per l’onore concessomi Vi do pieno il mio consenso per la traduzione in lingua italiana del mio umile libretto circa la mia conversione all’Ortodossia. Ringrazio anticipatamente per questa Vostra fatica.

Devotissimo
Paul Fr. Ballester Convalier
[1] Editto del Sancti Officii del 24 Gennaio 1647 che fu approvato ed inviato da Papa Innocenzo X. Vedi il testo in: Du Plessis d’Argenté, 3, 2/248.
[2] L’«Index Librorum Prohibitorum» è il catalogo ufficiale che pubblica il Vaticano e nel quale vengono registrati tutti i libri il cui insegnamento è contrario a quello Cattolico-Romano.
[3] Concretamente: Matt. 15, 18-19, Luc. 22, 31-32, Giov. 21, 15-17.
[4] «Catene» si chiamavano le consecutive citazioni dei passi esegetici dei S. Padri riferentisi nello stesso tempo ai passi commentati della S. Scrittura.
[5] Tutti questi avvenimenti non possono non essere riconosciuti dagli stessi storici romani. Vedi p. e. G. Greenen, «Dictionnaire de Théologie Catholique», Paris 1946, XVI, 1, pagg. 745-746; J. Madoz, S. J., «Une nouvelle rédaction des textes pseudopatristiques sur la Primauté, dans l’oeuvre de Jacques de Viterbe?» («Gregorianum» vol. XVII, 1936 pagg. 563-583); R. Ceiller «Histoire des Auteurs Ecclesiastiques», Paris vol. VIII, pag. 272. Ed anche: F. X. Rensch, «Die Falschungen in dem Tractat des Thomas von Aquin gegen die Griechen» («Abhadlungen der K. Bayer», III. cl. XVIII, Bd. III. Munich, 1889). C. Werner, «Der heilige Thomas von Aquin», I, Ratisbone, 1889, pag. 763.
[6] «Licet facere mala ut veniant bona».
[7] II Corinzi 11, 5 e 12, 11 «Io stimo di non essere in nulla inferiore ai sommi Apostoli» e «in nulla sono stato da meno dei sommi Apostoli».
[8] Vedi: G. Greenen, «Dictionnaire de Théologie Catholique» Paris 1946, vol. XVI, 1, pag. 745 e segg.; R. Ceiller, «Histoire des Auteurs Ecclèsiastiques» Paris, vol. VIII, pag. 272.
[9] Il 23 ottobre 1329, nella Sentenza «Licet Iuxta Doctrinam». «Ioannis XXII, Constitutio, qua dammantur errores Marsilli Patavini et Ioannis de Ianduno». Vedi testo a: Du Plessis d’Argenté, 1/365.
[10] Il 29 settembre 1351 nell’Epistola Papale «Super Quibusdam», al Cattolico Consolatore degli Armeni. Vedi testo a: Cardinale Baronio «Cronache» anno 1351, art. 3.
[11] Articuli 30 Ioannis Huss damnati a Concilio Constantiniensi et Martino V Artic 7.
[12] Il Sinodo del Vaticano, che fu convocato nella Basilica di S. Pietro in Roma dal 8-12-1869 fino al settembre del 1870, stabilì, che il Primato del Papa era la parte più importante del Cristianesimo, e confermò la teoria dell’Infallibilità del Papa. Vedi testi a: Conc. Vatic. Const. Dogmat. Sess. 4, Const. 1, Bulla «Pastor Aeternus» Cap. 1. (Denzinger, Enchiridion, 139, 1667-1683).
[13] Pio X nell’Editto «Lamentabili» il cui testo trovasi negli: Acta Sanctae Sedis, 40-1907, 470-478. Vedi anche: Concilii Fiorentini Decreta, Decretum unionis Graecorum, in Bulla, Eugenii IV «Laetentur Coeli». Professio fidei Graecae praescripte a Gregorio XIII per Constitutionen 51 «Sanctissimus Dominus noster»; Professio fidei Orientalibus praescripta ab Urbano VIII ed Benedicto XIV per Constitutionem 79 «Nuper ad Nos».
[14] Vedi: Galati 2, 7-8.
[15] » Galati 1,1.
[16] » Galati 2, 9.
[17] » Galati 2, 2.
[18] » Galati 2, 6.
[19] S. Giov. Crisostomo, Commenti all’Epistola ai Galati 2, 3.
[20] «Hoc erant utrique et caeteri Apostoli quod fuit Petrus, pari consortio praediti et honoris et potestatis». S. Cipriano, De Unitate Ecclesiae IV. S. Basilio, in Isaia, 2. S. Isidoro Hispalensis (di Siviglia), De Officiis Liber II cap. 5, ecc.
[21] S. Giov. Crisostomo. Circa l’utilità delle S. Scritture. Atti, 3.
[22] S. Cipriano. De Unitate Ecclesiae, V.
[23] S. Ambrosio. Lib. de Incarnatione, 7.
[24] S. Ambrosio. De Poenitentia, 7. In Occidente circolano edizioni dell’opera di S. Ambrosio nelle quali la parola latina «Fidem» è stata sostituita con «Sedem» facendo sì che il testo dice «Non possono avere eredità di Pietro coloro i quali non reggono come lui sulla stessa cattedra».
[25] Martino V. Bolla «Inter cunctas», 8 Calend. Martii 1418. Gerson, de Statu Sum. Pontif. Consid., 1.
[26] Devoti, Inst. Canonicae, Prolegom., Cap. 2, Benedetto XIV, De Sinod. Diocesan. 2, 1.
[27] Benedetto XIV, ivi al passo menzionato.
[28] «Si quis dixerit… Petrum non esse a Cristo constitutum, Apostolorum et totius Ecclesiae Militantis Visibile Caput…, anathema sit», Concilii Vaticani, Constit. Dogmat. Sess. 4, Const. 1, Bulla a «Pastoar Aeternus», Cap. 1.
[29] Agostino, Epistola adversus Donatum, III, 5.
[30] II Corinzi 13, 5.
[31] Agostino, Epistola adversus Donatum, III, 5.
[32] Salm. 119, 105.
[33] Marc. 12, 24.
[34] Atti 17, 11.
[35] Ivi.
[36] Colossesi 2, 8.
[37] Devoti, Instit. Canon. Proleg. Cap. 2.
[38] Gregorio XVI (Mauro Cappellari, libro circa il Primato del Vescovo di Roma). Omelia introduttiva, cap. 25.
[39] Bolla «Pastor Aeternus» del Sinodo Vaticano. Introduzione.
[40] Maistre, «Du Pape» Discours préliminair, I; e ivi. libr. 1, cap. 3.
[41] Ivi, Omelia introduttiva, 3.
[42] Cardinale Bellarmino, De Sum. Pontifiae, libr. 2, cap. 31, vol. I.
[43] Idem, Prologo, vol. 2. Vedi anche: Marin Ordonez, «El Pontificato», vol. I, cap. 10, p. 30, Madrid 1887. J. Donoso Cortés: «Obras Completas» vol. 2, pag. 27, Madrid, 1904.
[44] Pio X, «Vacante Sede Apostolica» del 25-12-1904. Pio XI, «Cum Proxime», del 1 marzo 1922.
[45] Agosto Trionfo, «Summa de Potestate Ecclesiastica», Quest. 19, 1, art. 3.
[46] Mons. Roey, «L’Episcopat et la Papauté au Point de vue Theologique», appendice 10° in «The Conversations at Malines», publicato da Lord Halifax, London 1930.
[47] Ved. p. e. il Bollettino del Vescovado di Strasburgo, Marzo 1945, vol. 3, pag. 45.
[48] Cappellari [Gregorio XIV], ivi Indice cap. 6, 10.
[49] Gerson, «De Statu Sum. Pont.» Consid. 1.
[50] Cicerone, De Divinatione, libr. 2, cap. 54.
[51] Gregorio VII. Epistola «Notum fieri», ai Tedeschi.
[52] Cappellari, ivi, 11.
[53] Bonifacio VIII, Bolla «Unam Sanctam»; e più chiaro e sviluppato in: Bernadus Claravalensis, De Consideratione, IV, 3; Hugui Sancti Victoris, De Sacramentis, II 2, 4; Alexandre d’Halés, Summa Theologia, IV, quaestio 10, N.° 5, N.° 2.
[54] Giovanni 18, 36.
[55] Luca 22, 25-26.
[56] Mathieu, «Le Pouvoire Temporale des Papes».
[57] Maistre, «Du Papes, Discours Prelim.» 2.
[58] Constit. Dogmat. Conc. Vatic. Sess. 4, Const. 1, Bolla «Pastor Aeternus» (Test. in: Denzinger, Enchiridion, 139, 1667-1683).
[59] Veuillot, Livre sur la Papauté, Cap. 1, 11 (Giov. 6, 68).
[60] Giovanni 16, 13.
[61] In questo modo i cattolici-romani, in virtù dell’ipotetica infallibilità del loro Papa, somigliano a quegli antichi eretici i quali furono condannati da tutta la Chiesa, perché, come dice S. Vincenzo da Lerino, «avevano la temerità di promettere e insegnare, che nella loro Chiesa, cioè nella loro eretica fazione, scendeva una speciale grande grazia, del tutto personale, di modo che senza nessuna fatica, senza nessuno sforzo, senza la minima cura, anche se non richiesta o non invocata ricevevano da Dio un tale rinforzo tutti coloro che facevano parte della fazione, come se Angeli li sostenessero sulle loro ali, e mai ferivano i loro piedi sopra alle pietre, cioè mai subivano scandalo di falsa spiegazione». Commonitorium de Orthod. Fide 25, 8.
[62] Perujo, Dizionario delle Scienze Ecclesiastiche, 100.
[63] Devoti, Instit. Canon., Prol. Cap. 2. Più che in ogni altro caso si addicono qui le parole di S. Vincenzo: «Non finisco di stupirmi – dice questo venerabile e più antico padre della Chiesa – per l’estrema empietà del loro cieco cervello, per la loro insaziabile passione per l’errore ed il male, che non si soddisfano con canone della fede, dato e ricevuto una volta per sempre da tempi antichissimi, ma cercano quotidianamente innumerevoli innovazioni e sono continuamente inquieti volendo aggiungere ancora qualcosa alla religione o cambiare o togliere qualcosa, come se non fosse dogma divino quello secondo il quale basta agli uomini quello che è stato rivelato una volta, e loro credono che ciò sia una legge umana, la quale non può essere portata alla sua perfezione se non attraverso una assidua correzione e revisione». (Commonitorium 21, 1).
[64] Baronii, Annales, Ad Ann. 553, Num. 224.
[65] Gratianus, Codex juris Canonici, vol. 1, dis. 13, part. 1, cap. 6, pag. 90. Parigi, 1612 e Col. 55, Editio Leipzig., 1839.
[66] «Si autem Papa erret, praecipiendo vitia, vel prohibendo virtutes, tenetur Ecclesia credere vitia esse bona et virtutes mala». Theologia, Bellarmino, «De Romano Pontefice», libr. 4, Cap. 23.
[67] «Deus et Papa faciunt unum consistorium… Papa potest quasi omnia facere quae facit Deus… et Papa facit quidquid libet, etiam illicita, et est ergo plus quam Deus». Cardinalins Zabarella, De Schism, Innocent. VII.
[68] S. Agostino, De Civitate Dei, XVIII, 54.
[69] Luca 9, 33.
[70] Galati 2, 11.
[71] «Vidi che non procedevano con fermo e diritto piede secondo la verità del Vangelo» (Gal. 2, 14).
[72] Papa Marcello (296-303) cadde nell’idolatria e giunse al punto di sacrificare nei Templi degli Dei pagani per salvare la propria vita e i propri beni durante le persecuzioni di Diocleziano. È per esempio un avvenimento di storica precisione, che Marcello entrò nel Tempio di Afrodite e ivi sacrificò alla Dea sullo stesso altare di questa. Tale avvenimento scandaloso generalmente noto e divulgato all’epoca, fu il motivo per cui la cristianità di Roma conservò il peggiore ricordo di questo Papa per intere generazioni, almeno fino al termine del V secolo, da quello che giudichiamo dalle testimonianze che giunsero fino ai nostri giorni. – Gli storici cattolici-romani nell’impossibilità di negare la chiarezza delle prove storiche su questi tristi avvenimenti, preferiscono attribuirli alla fantasia degli eretici Donatisti, nemici di Marcello, i quali avrebbero sollevato una campagna diffamatoria contro di lui dopo la sua morte. Ma non possono spiegarci perché in tal caso, nello stesso romano «Liber Pontificalis» Papa Marcello è esplicitamente annotato apostata. Questa, inoltre, è stata precisamente l’opinione del clero superiore romano, il quale negò di inscrivere il nome dell’apostata suo Capo nel calendario ufficiale ove si segnano gli anniversari di tutti i papi. Difatti da papa Fabio (250) fino a papa Marco (335) si trovano ivi tutti i nomi e le date di tutti i vescovi di Roma con la sola eccezione di Marcello.
[73] È generalmente noto che nel Sinodo di Sardica del 342 (343 ?) i Vescovi d’Oriente insieme al Patriarca di Antiochia Stefano, di fronte alle pretese Occidentali di revisionare le sentenze e le particolari disposizioni ecclesiastiche degli Orientali, scomunicarono Giulio, vescovo di Roma, Osio vescovo di Cordova (Κορδούης), Protogene di Sardica ed altri (Vedi: Mansi, Summa Conciliorum, Anche Synod. Sardica, Decreta).
[74] Riguardo alla eresia di Liberio, (352-366) abbiamo tre insospettabili testimoni: S. Girolamo, S. Ilarione e S. Pietro il Damianòs. Papa Liberio essendo Ortodosso in principio fu poi escluso da Roma ed esiliato dagli Ariani. Ma poco dopo, stanco degli incomodi dell’esilio, e mosso dalla nostalgia della sua molto onorata e sontuosa vita che menava sulla cattedra papale, tradì i suoi seguaci, si ribellò, e firmò «il credo» eretico degli Ariani. Dopo di ciò condannò e scomunicò S. Attanasio quale eretico. Grazie a ciò, gli ariani gli permisero di tornare a Roma e di rioccupare il suo trono. S. Girolamo scrive esplicitamente: «Liberio stanco degli incomodi dell’esilio sottoscrisse l’errore eretico e tornò a Roma come conquistatore» (Cronache, A. D. 357; e: De Script. Eccles.). Ciò conferma e dichiara S. Ilarione parlando del terrore che si produce vedendo la firma papale sotto il «credo» eretico: «Haec est perfidia ariana!» (Fragment. Histor, VII). Anche S. Pietro il Damianòs, del secolo XI, conferma di nuovo, che Papa Liberio fu «eretico e apostata». (Liber Gratissimus, cap. 16).
[75] S. Attanasio, Storia Ariana, 73. S. Attanasio dice egualmente, che papa Felice era tanto scandalosamente eretico che i fedeli di Roma si rifiutavano di entrare nelle chiese, che egli visitava (Epist. ai Monaci opp. I 861, Parigi 1627). Vedi anche: Duchesne, Histoire Ancienne de l’Eglise, vol. II, cap. XIII.
[76] Papa Onorio (625) accettò e sanzionò pubblicamente gli insegnamenti eretici dei monoteliti. Restando fermo in tale errore, tanto fondamentale per la fede, fu con unanimità condannato e scomunicato dal VI Concilio Ecumenico insieme con tutti gli altri capi della eresia monotelita. «A Teodoro Faranite anatema; a Sergio l’eretico anatema; a Onorio eretico anatema; Ciro l’eretico anatema; a Pirro l’eretico anatema» (Vedi Mansi, Sum. Concil. Actae VI Concil. Gener, Sess. XIII). Su tali avvenimenti non esiste nessun dubbio; gli stessi successori di Onorio al papato lo confermano nelle loro Epistole; così S. Leone II nella sua lettera Apostolica che inviò ai Vescovi di Spagna, chiedendo il loro consenso sugli insegnamenti del VI Concilio Ecumenico, dice che Onorio ed i suoi seguaci «furono puniti con la perpetua condanna» («aeterna condemmatione multati sunt»), perché il Concilio li trovò traditori della purezza della tradizione apostolica. Lo stesso S. Leone II scrive al Re Ervigio che Onorio «fu condannato dal venerabile Concilio e escluso dalla comunione della Chiesa universale». Similmente Papa Adriano II nella sua Epistola circolare del Sinodo Romano, fa menzione dell’eretica colpevolezza e della scomunica di Onorio dal Concilio «Honorio ab Orientalibus post mortem anathema sit dictum sciendum tamen est, quia fuerit super hacresi accusatus…» (Adriani II, Epist. Synod. Concilii Romani, quae in Octavae Synodi Actione VII et lecta et approbata est). Gli storici cattolici-romani, non potendo negare la evidenza di tali avvenimenti, hanno l’ordine di passarli sotto silenzio assoluto o, nel caso in cui vi sarebbe bisogno assoluto, solo di menzionarli semplicemente. Così p. e. nella «Somme des Conciles» di Abbé Guyot (Paris, 1968), non si trova in nessuna parte dei verbali che riguardano la XIII seduta del VI Concilio Ecumenico nemmeno il minimo cenno della condanna di Onorio (Vedi voi. I, pag. 315). E l’Ufficio del «Breviarum Romanum», per il festeggiamento di S. Leone che si festeggia in Occidente il 28 giugno, conteneva le relazioni di tutti questi avvenimenti fino al giorno in cui il Vaticano si avvide che il testo era tanto offensivo e ne ordinò la distruzione. Lo tolsero difatti nella riforma del «Breviarium» che fece Papa Clemente VIII.
[77] Papa Sisto V pubblicò intorno al 1590 un testo della «Vulgata» e proclamò ufficialmente dal «perpetuum Decretum» che questo sarebbe da allora in poi l’unico autentico e autorevole testo delle Sante Scritture, dato che lui stesso lo aveva corretto con le sue mani medesime, «appoggiandosi sulla potenza della sovrabbondanza dell’autorità apostolica». Il «Decretum» rendeva ufficialmente noto ai fedeli che tutte le altre edizioni della Bibbia restavano automaticamente senza valore e che colui il quale osasse mutare il minimo del nuovo testo o anche degli insegnamenti e delle altre pubbliche interpretazioni come discussioni private, ripianerebbe «ipso facto» scomunicato. Ma questa edizione di Sisto V fu presentata tanto piena di errori di traduzione, espressione ed insegnamento che neanche uno scolaro l’avrebbe presentata. Ciò costrinse a ritirarla subito con il più grande scandalo. Il successore di Sisto al papato, Clemente VIII, per far dimenticare quanto più possibile il fatto, pubblicò un nuovo testo della «Vulgata» il 1592, differente in innumerevoli parti dal precedente, anche questo molto difettoso. Ma lo scherno generale sollevato dalla infelice «Vulgata» di Sisto V fu tale che per secoli la memoria di questo Papa era dappertutto causa di ironici motteggi, fino al punto che il Cardinale Bellarmino comprendendo che ciò costituiva un serio ostacolo per la divulgazione dei suoi insegnamenti circa il potere papale, chiese a Papa Gregorio XIV di proteggere la fama di Sisto V, pubblicando di nuovo il testo ora corretto (Vedi Card. Bellarminus, Autobiografia, Ediz. 1591, pag. 211). Il Bellarmino pensava di aggiungere anche un prologo a questa nuova edizione, nel quale fosse spiegato ai fedeli che nella infelice lª edizione del 1590 si erano commessi «alcuni errori» di cui i responsabili erano… «i tipografi ed altre persone»! Ma lo stesso Bellarmino confessa nella sua Autobiografia che tale suo pensiero non era altro che una pia bugia, perché nessuno ignorava che Sisto era l’autore di tale «labirinto d’errori di ogni genere» e che ogni paragrafo che questo papa aveva toccato era stato tramutato nel peggiore modo. «Per multa perperam mutata». (Bellarm. Aut. ibid., 291).
[78] Quando la Santa Inquisizione con le sue torture e i suoi tormenti, per ordine del Papa Urbano VIII, ordinò a Galileo di disapprovare la sua teoria, cioè che la terra gira intorno al sole, questo celebre astronomo, avendo perduto la sua fede nel Papa e nella Chiesa di lui, sussurrò ancora, dopo che aveva già firmato la disapprovazione impostagli, quelle parole che la Storia fece celebri: «eppur si muove…!». Urbano VIII pubblicò subito, come una vittoria dell’autorità papale, l’atto della disapprovazione del grande astronomo, costretto a ciò tanto indegnamente dai carnefici della Santa Inquisizione. E così dal giorno 30 Giugno 1633 tutti furono costretti a credere che la terra non girava intorno al sole per paura della scomunica per eresia. «Ma Iddio, il quale ancora anche in tali tempi era più forte del Vescovo di Roma – dice con ironia Stanislas Jedrezewky – aveva da dar ragione infine a Galileo». Difatti, posteriormente il progresso della scienza astronomica fece tanto chiara la teoria «eretica» di Galileo, in modo che il 1822 Papa Pio VII fu costretto a porre in derisione l’autorità papale, correggendo i decreti della Santa Inquisizione del 1633 contro Galileo, permettendo gli studi astronomici di Kopernico. Infine, col più grande scandalo dei fedeli e con l’ironico scherno del mondo scientifico, il Vaticano non seppe trovare altro mezzo onde ristabilire il prestigio della sua autorità che permettendo e approvando tutto quello che fino allora aveva condannato e scomunicato. E il 1835 fra la generale derisione, il Papa ordinò di cancellare dal catalogo dei libri proibiti (Index Librorum Prohibitorum) tutte le opere di Kopernico, di Keplero e di Galileo.
[79] Vedi Innovaciones del Romanismo. G. H. C. XIV pag. 202. Madrid 1891.
[80] «Unum a te petimus fili clarissime, Doctoribus Sedis Apostolicae non semper credas, multa illorum passionibus tribua». (Epist. Pii II ad Carolum VII Regem Galliae. Epistol. CCCLXXIV).
[81] Pio IV spergiurò contro le disposizioni del canone VII del Concilio Ecumenico di Efeso nel quale è compresa la sentenza e l’anatema contro colui il quale avrebbe osato comporre e imporre ai fedeli un altro «Credo» differente da quello del Concilio di Nicea. Egli compose il Credo che porta il suo nome: «Credo di Pio IV». (Credo Pii Quarti). È vero che questo «Credo» non è contrario a quello di Nicea, ma basta il fatto che è differente. Difatti nella V seduta del Concilio Ecumenico di Calcedonia fu recitato il «Credo» di Nicea, e in seguito, fu proibito non solo la compilazione di un «Credo» contrario a questo ma anche «un altro Credo qualsiasi». (Vedi Mansi, Summa Concil. Act, Concil. Ephes. Can. VII Act. Conc. Calced. Sess. V).
[82] Ogni Papa, secondo la disposizione dell’VIII canone del Sinodo di Costanza è obbligato a fare confessione di fede contenuta al «Liber Diurnus» durante la cerimonia della sua intronizzazione. Tale confessione dice: «Con la mia bocca e col mio cuore, prometto di osservare senza mutare in minima parte ciò che è stato prescritto e ordinato negli otto Concili Ecumenici e cioè: in quello di Nicea, il primo; di Costantinopoli, il secondo; di Efeso, il terzo; di Calcedonia, il quarto; di Costantinopoli, il quinto e il sesto, e il 2° di Nicea, il settimo e quello di Costantinopoli, l’ottavo. Prometto di stimarle tutte egualmente con il medesimo onore e rispetto seguendo con sollecitudine tutto ciò che in essi è stato disposto e condannando tutto ciò che in essi è stato condannato».
[83] S. Cipriano, Epistola LXXIII.
[84] Matteo, 28/, 20.
[85] Giovanni 14, 16.
[86] Giovanni 16, 13.
[87] Giovanni 14, 26.
[88] I Timoteo 3, 15.
[89] S. Ireneo, Contro Eresie, III cap. 4.
[90] Luca 10, 16.
[91] Vedi Mansi, Summa Conciliarum, Act.Concil. Arelat. Canon. VIII.
[92] «Placuit etiam, ut de dissentione Romanae atque Alexandrinae Ecclesiae, ad sanctum papam Innocentium scribatur: quo utraque Ecclesia intra se pacem, quam praecepit Dominus, teneat». Afric., N° 101.
[93] Vedi Mansi, Sum. Concil., Concil. Sard. Decreta.
[94] «Honorio haeretico, anathema» Mansi, Sum. Concil. Act. VI Concil. Gener. Sess. XIII.
[95] Matt. 15, 3-9; Marc. 7, 7-9.
[96] S. Agostino, De Unitate Ecclesiae 1, 16.
[97] S. Agostino, Epist. Adversus Donatum, 3, 5.
[98] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, 29, 2.
[99] Clementi XI, Bolla «Unigenitus».
[100] Cardinale Bellarminus, De Verbo Dei…, Liber IV, 4.
[101] Gregorio XVI (Mauro Cappellari) El Triunfo de la S. Sede, Madrid, 1834, Index, Cap. 8, 2.
[102] Cornelius Mussus., In Epist. ad Roman. I, Cap. IV.
[103] Cardinalii Hosii, De Expresso Verbo Dei, pag. 623, Edit. 1584.
[104] Proverbi 8, 9, S. Clemente d’Alessandria, Stromatis Libro 6, cap. 15.
[105] Salmo 119, 105.
[106] II Corinzi 4, 34; Isaia 8, 20.
[107] Filippesi 2, 16.
[108] Atti 20, 32.
[109] Efesini I, 13; Giacomo 1, 18.
[110] Atti 13, 26, Efesini 1, 13.
[111] Vedi Giovanni 12, 48.
[112] II Timoteo 3, 15-17.
[113] S. Agostino, Sermo IV De Verbo Apost.
[114] S. Attanasio, Contro Gentili vol. I.
[115] S. G. Crisostomo, Omel. IX al Ep. ai Colos.
[116] S. Isidoro Pelusiota, Epist. 4, 67, 91.
[117] S. Basilio, Epist. a Gregorio, S. Agostino, De Doctrina Christiana, 1, Cap. 9.
[118] S. Basilio, «Della Fede» Cap. I, Confr. anche S. Giov. Crisostomo, Omelia XIII a II Corinz. 7. Del medesimo Omelia XXI agli Efes.; e Omelia VI del Lazzaro; S. Cirillo di Gerusal. Catechesi, 12.
[119] S. Basilio, Omelia XXI «Contro i Calunniatori della SS. Trinità»; Confront. S. Giovanni Damasceno, «Della Fede Ortodossa». Libr. I, Cap. I, S. Teodoreto, Dial. I.
[120] S. Ambrosio, De Offic., Lib. I, 23; Origene, Omel. V di Levitico.
[121] S. Ireneo, Contro Eresie I, 3, Cap. 2.
[122] S. Giov. Crisostomo, Omelia XXXIII circa gli Atti degli Apostoli.
[123] Devoti, Institutiones Canonicae, Proleg., Cap. 2 et T. N. V., sect. I, 5.
[124] Maret, «Du Concile General» 2, 375.
[125] Giovanni 21, 15-17.
[126] Bernardino Llorca S. J. «Historia de la Iglesia Catolica», vol. I, pag. 262. Madrid, 1850.
[127] Pii X, Decretum «Lamentabili», 50. Acta Sanctae Sedis, 40, 476.
[128] Devoti, Institutiones Canonicae, Prolegom., Cap. 2.
[129] Bellarminus, «De Pontifice Romano», Liber IV, 24 et 25, et Lib. I, 9.
[130] S. Clemente di Roma. Ai Corinz. Epistol. 42, 44.
[131] Vedi Martigny, Dictionn. d’Archéologie Chréstienne, Evéques pag. 569: Atti di Sinodo di Calcedonia.
[132] S. Attanasio: Epistola a Dracontio 3, 1.
[133] S. Gregorio il Grande, Omelia sui Vangeli II, 23, 5.
[134] S. Ignazio d’Antiochia, Epistola ai Magnesesi, 3.
[135] S. Ignazio d’Antiochia, Epistola ai Filadelfesi, 1. Confr. Martigny Dict. d’Archéol. Chrét., Evéques, pag. 566.
[136] Ruiz Bueno, Padres Apostolicos, Introd. all’Epistola di S. Clemente, pag. 149. Madrid, 1850.
[137] Devoti, Institutiones Canonicae, Proleg. Cap. II. – Bellarminus, De Pontifice Romano, Lib. IV, Cap. 24, 25; e Libr. I, Cap. 9.
[138] De Maistre, Du Pape, Libr. I, Cap. 3.
[139] Benedetto XV, Codex Iuris Canonici, Canon. 222, 1. – Hefel, Histoire de Consiles, Introd. II, 3.
[140] Benedetto XV ivi; Devoti, come sopra, Proleg. 111, 38; Hefel, ivi.
[141] Decreto Leone X al V Concilio del Laterano.
[142] De Maistre, Du Pape, Libr. I, Cap. 3.
[143] Benedetto XV Codex Iuris Canonici, Can. 227; Leone XIII, Enciclica «Satis Cognitum».
[144] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, Cap. 2.
[145] Dalle dichiarazioni pubblicate nel giornale «Kolnische Zeitung» del 13 Luglio 1881.
[146] Gregorio XVI (Mauro Cappellari), El Triunfo de la Santa Sede, Tavol. Cap. VI, 10. Madrid, 1834.
[147] Ignazio Loiola, Libro de Exercicios Espirituales.
[148] Questa dedizione dei Gesuiti alla cattedra papale, non fu mai sincera, specialmente nei casi in cui si urtavano gli speciali interessi di questo involuto Ordine. Gli stessi Gesuiti, nonostante la loro solenne promessa di cieca sottomissione al Papa, a cagione della quale tanto si vantano quali possessori di una speciale virtù di primo ordine, la dimenticarono d’un tratto, quando Clemente XIV ordinò lo scioglimento del loro Ordine. Difatti il Papa Clemente nell’anno 1773 emanò un Editto «Decretum Brevis» col quale proclamava lo scioglimento della Organizzazione dei Gesuiti e l’annientamento di essa per sempre; costoro però invece di sciogliersi si rifugiarono in Prussia e in Russia, dove il Papa non poteva mettere con la forza delle armi in pratica il suo Editto. Ivi rimasero organizzati moltiplicandosi fino al 1814, quando riuscirono con le loro perfide macchinazioni ad ottenere dal Papa Pio VII la emanazione di un altro Editto con il quale si abrogava il primo e si permetteva di nuovo l’esistenza e il funzionamento dell’Ordine.
[149] È quanto segue :
Matteo 16, 18-19: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Ades (Ades vuol dire mondo invisibile e designa il soggiorno dei morti) non la potranno vincere; ti darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto nei cieli».
Giovanni 21, 15-17: «Gesù disse a Simon Pietro: Simon di Giona, m’ami tu più di questi? Egli gli rispose: Sì, Signore, Tu sai che io t’amo. Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo una seconda volta: Simon di Giona, m’ami tu? Ei gli rispose: Sì, Signore: tu sai che io t’amo. Gesù gli disse : Pastura le mie pecorelle. Gli disse per la terza volta: Simon di Giona mi ami tu? Pietro fu rattristato ch’ei gli avesse detto per la terza volta: Mi ami tu? E gli rispose: Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che io t’amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore».
Luca 22, 31-32: «Simon, Simon, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito assicura i tuoi fratelli (del tuo convertimento)».
[150] Nella Vulgata: «Tu es Petrus, et super istam petram aedificabo Ecclesiam meam».
* Nota : Per diretta esperienza acquistata durante i venticinque interi anni in cui svolgo il mio ministero qui in un paese per eccellenza Cattolico posso affermare che potete trovare il 90% dei cattolici-romani digiuni delle più elementari nozioni circa la religione e il loro rito ma non trovereste nemmeno uno che non conosca il passo Evangelico «Tu es Petrus» ecc. † A. B. K.
[151] Vedi, per esempio, Knabenbauer, S. J., Cursus Scripturae Sacrae, Paris, 1903, Comment. in Ev. Matthaeum, pars altera, pag. 60 e seguenti. I Knabenbauer, Cornely e Hummelauer dell’Ordine dei Gesuiti hanno la temerità di sostenere nel loro «Cursus Scripturae Sacrae» che quei dei SS. Padri, i quali non riconoscono sulla base del su riferito passo il primato papale, lo fanno perché hanno sbagliato, prestando bene attenzione al vero senso di tutto il testo: «Si Sanctus Doctor recogitasset – scrive Knabenbauer parlando del S. Agostino – Christum locutum esse aramaice, vel si hanc et totum conteaeum perpendiset, probaeto priore sua interpretatione stetisset» (Ivi pag. 61).
[152] Bernardino Llorca, S. J. Historia de la Iglesia Católica. Vol. I, Cap. 1, pag. 49. Madrid, 1850.
[153] Ivi, Cap. 1, pag. 261.
[154] Cardinale Hergenroether, Histoire de l’Eglise, vol. I, Cap. l, 7.
[155] Leone XIII, Enciclica «Satis Cognitum» (il testo in: Josè Madoz, S. I. Enquiridion sobre el Primado Romano, 361).
[156] Concil. Vatic. Constitut. Dogmat., I. De Ecclesia Christi. Cap. I. (Denzinger, Enchiridion, pag. 396). Vedi anche: The Conversations at Malines, pubblicate da Lord Halifax, III Conv. London, 1930.
[157] I Corinzi 3, 11.
[158] S. Attanasio, Contro gli Ariani.
[159] S. Ireneo, Adversus Haereses, III 3, 3. – Apud Euseb. V 6, 1-3.
** Nota: L’Apostolo Pietro non si è recato mai a Roma come ha dimostrato L. Teillefer Pasteur nel suo libro «S. Pierre a-t-il jamais été a Rome?», Genève 1845. Vedi anche: Arch. Demetracopulos nel suo libro: «Della leggendaria venuta di Pietro a Roma». Arcivescovo di Atene Crisostomo «Il primato di Vescovo di Roma» pag. 14, Atene 1930. Il mio libro «Luce sulle vicende della Chiesa» pagg. 47-50, Napoli 1949.
Riguardo al passo di Eusebio citato dal Rev. autore osserviamo che esso proviene da Papia Vescovo di Gerapoli che scrisse verso il 140 una «Esegesi dei detti del Signore», andata perduta ma di cui Eusebio di Cesarea (†340) nella sua «Storia Ecclesiastica» ed altri scrittori ci hanno conservato qualche frammento. Papia nel proemio del suo libro diceva che si basava, per la raccolta «dei detti del Signore» sopratutto sulla tradizione orale degli anziani e specialmente di Aristione e di un certo anziano Giovanni che non può essere l’Apostolo Giovanni per molte altre ragioni e perché egli certamente sarebbe già morto quando Papia scriveva. Papia poi come risulta dalla sua narrazione non era nemmeno il diretto ascoltatore del detto anziano Giovanni, ma ha ricevuto i suoi detti di seconda mano, dimodoché questi possono essere andati soggetti a due successive alterazioni, per opera dell’informatore di Papia e di Papia stesso. Le informazioni non sicure di Papia che interessano il nostro argomento dicono: «L’anziano Giovanni diceva anche questo: Marco divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente quanto ricordo… e intorno a Matteo poi dice (chi dice l’anziano o Papia?) Matteo raccolse per scritto i discorsi in lingua ebraica» (Eus. III 16, 4). Ireneo vescovo di Lione (†180) attingendo anche egli come Eusebio da Papia la stessa frase l’ha manipolata così: «Matteo scrisse il Vangelo fra gli Ebrei, nella loro stessa lingua, quando Pietro e Paolo evangelizzavano in Roma e fondavano la Chiesa. Dopo la loro morte poi Marco, lo scolaro e l’interprete di Pietro…» (Ireneo, Adversus Haereses III l, 1-3). Il tratto specifico in cui Papia riferiva: «Marco divenuto interprete di Pietro…» e Ireneo con identiche parole: «Marco lo scolaro e l’interprete di Pietro…» ci mostra come Ireneo debba avere Papia per fronte. Siccome le notizie di Papia non hanno nessun fondamento solido così anche le notizie che attinge da lui Ireneo non possono avere di storicamente apprezzabile nulla riguardo alla fondazione della Chiesa romana né da S. Pietro, né da S. Paolo e tanto meno l’hanno fondata insieme. Lo stesso vale per Tertulliano e per Clemente di Alessandria (†200) con i quali giungiamo fin entro il terzo secolo. È assurdo ammettere che S. Pietro andasse attorno nel mondo ellenico-latino, predicando in aramaico e che Marco un suo figlio (I Pietr. 5, 13) (certamente non l’Evangelista Giovanni Marco) gli facesse da interprete. † A. B. K.
[160] Homiliae Aelfric., Passio SS. Apostoli Petri e Pauli (London, 1844 pagg. 369-371).
[161] S. Gregorio il Grande, Moralis, in Iob, 28, 14.
[162] Già al Vecchio Testamento, Dio e Gesù molte volte vengono simboleggiati con la Pietra: Genesi 49, 24; Deuteronomio 32, 4-15; II Samuele 23, 3; Salmi 18, 3; 47, 19; 28, 1; 31, 3; 73, 26; 89, 27; 118, 22; Isaia 8, 14; 17, 19; 28, 16; Zaccaria 3, 8-9; confr. Apocalisse 5, 6.
[163] Al Nuovo Testamento, il simbolo della Pietra si riferisce sempre a Gesù Cristo: Matteo 21, 42; Marco 12, 10; Luca 20, 17; Atti 4, 11; Romani 9, 33; Efesini 2, 20; I Corinzi 3, 10; Colossesi 2, 7, I Pietro 2, 4-8.
*** Nota: Non è affatto certo che l’Evangelista Marco era stato «discepolo, compagno e interprete dello stesso Pietro» e meno ancora che egli «scrisse il suo Evangelo secondo l’insegnamento e lo spirito di questo Apostolo». Eusebio Vescovo di Cesaria (†340) nella sua «Storia Ecclesiastica» (III, 15) riporta un brano della perduta opera di Papia Vescovo di Gerapoli (†140) «Esegesi dei detti del Signore» in cui Papia scrive che egli ebbe l’informazione da un individuo che non determina, ma che definisce un certo «anziano Giovanni» diceva che «Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente quanto ricordò…». Dalla detta Opera di Papia prese tale notizia, come abbiamo visto nella nota precedente, Ireneo di Lione (†180) e da Ireneo altri successivamente fino ai nostri giorni. Ma chi sarebbe questo Marco? Papia e da lui Ireneo gli altri studiosi posteriori, sapendo che esiste un Vangelo secondo un certo Marco supposero che potevano identificare il Marco Evangelista con il Marco menzionato nella I Pietro (5, 13) come «figliuolo» di Pietro. E partendo essi da questa ultima notizia hanno supposto che il Marco della epistola di Pietro sarebbe il Marco Evangelista. Tenendo poi loro presente che l’Evangelista Marco non è annoverato fra gli Apostoli non hanno trovato difficoltà nello scrivere che Marco Evangelista aveva come fonte del suo scritto la predicazione di S. Pietro, e per conseguenza egli era «interprete e scolaro di Pietro». Ma secondo i dati del Vangelo, tale identificazione non regge. L’Evangelista Marco può essere identificato con Giovanni Marco, parente di Barnaba, nominato ripetutamente negli Atti (12, 12-25; 13, 13; 15, 37-39) identico alla sua volta col Marco che compare come seguace di S. Paolo in Col. 4, 10 (ove è chiamato espressamente nipote di Barnaba) Fil. v. 24, e II Tim. 4, 11. Marco Evangelista quindi potrebbe essere identificato con Giovanni Marco seguace di S. Paolo, ma seguace, di S. Pietro, mai. Marco che S. Pietro menziona come suo «figliuolo» (I Pietro 5, 13) potrebbe essere benissimo un omonimo suo «figliuolo» spirituale come pure non si esclude possa essere un suo figliuolo genuino una volta che S. Pietro era certamente non solo sposato (Matteo 8, 14; Marco 1, 30; Luca 4, 38) ma aveva l’abitudine di avere con sé nei suoi viaggi Apostolici la sua moglie ed altri famigliari (I Corinzi 9, 5). † A. B. K.
[164] Cardinale Bellarmino, De Summ. Pontific. B. 2, Cap. 31, vol. 1.
[165] Idem, Prologo, vol. 2. Marin Ordónez, El Pontificado, vol. I, Cap. 10, pag. 30. Madrid, 1887.
[166] II Petr. 1, 21.
[167] De Maistre, Du Pape, Discours préliminaire, I.
[168] Visione 3ª, 5, 1.
[169] Visione 2ª, 2, 6.
[170] Visione 3ª, 5, 1.
[171] Vedi Migne S. G. 571 e seguenti.
[172] Diatessaron Evangelion (A S. Efrem Siro S. Migne).
[173] L’espressione orientale «le porte» (Πύλαι), significa «le forze», perché in caso di guerra o di un altro pericolo esterno, le forze della difesa si raggruppavano presso le porte delle città fortificate, ove si mostrarono le reali forze dinanzi al nemico. Questo senso, di più generalizzato si usa ancor oggi; da ciò la frase «La Porta Alta» (Υψηλή Πύλη) ed altre. Questa metafora era certamente abituale fra gli ebrei, popolo orientale per eccellenza, e per mezzo di esso entrò nei testi delle S. Scritture.
[174] Giovanni 21, 23.
[175] Vedi p. e. S. Agostino, In Concione II super Psalmum XXX; In Psalm. LXXXVI; Epistola CLXV ad Generosum; Tractati VII, CXXIII et CCXXIV in Ioannem; Sermo CCLXX in die Pentecostes V; Sermo CCXLIV; Sermo CCXIV; in Psalm. LXIX; Sermo XXIX De Sanctis. De Baptism, II, 1. S. Crisostomo, Omelia 55ª nell’Evangelo di Matteo; Omelia 51ª a Matt. 16, 18; Omelia 65ª; 4ª; 83ª; S. Cirillo di Alessandria, a Isaia, Libr. 4°, Discorso 2° sulla SS. Trinità, 4; al Vangelo S. Giovanni 21, 42. S. Girolamo, In Sctum. Matthaeum, liber VI; Adversus Iovinianum, lib. I; In Psalmum LXXXVI; Epistola XV ad Damasum, 2; S. Cipriano, Epist. XXVII De Lapsis; Epistol. XXXIII, in initio; Epist. LXXIII ad Lubainum. De Unitate Eclesiae, IV; S. Ambrogio, De Incarnatione. Domin. Sacrament. 5; Liber VI Comment. in Evang. Lucae 9; Comment. in Ephes. 2; Epist. ad Damasum; S. Giovan. Damasceno, Omelia, Della Trasfigurazione; Tertulliano, De Pudicitia, 21; De Praescriptionibus Haereticorum, XVI et XXII; S. Attanasio, Contro Ariani, 3; S. Gregorio Nanzianzeno, Omelia 32ª 18; S. Gregorio Nisseno, Encomio a S. Stefano, 2; Per la venuta del Signore; S. Basilio, al 2° cap. di Isaia, Contro Eunomio, 2, 4; S. Epifanio, Contro dell’eresie, 59; S. Ilario, De SS. Trinità, liber II et VI; S. Gregorio Magno (di Roma) Moralia in Iob. XXVIII, 14; Comment. in Psalm. CI, 27; S. Isidoro d’Ispaleo, De officiis lib. II, 5; S. Beda, In Quest. super Exodum, cap. XLII, in Recapitulatione; Homil. de Feria III Palmarum in cap. XXI Ioannem; Basilio di Seuleucia, Discorso 25°; S. Pietro Crisologo, Omelia 55ª Del Protomartire Stefano; Omelia 74ª; Origene a Geremia, Omelia 16ª; Contro Celso, libr. 3° 28; Commenti all’epistola ai Romani, 5; Omelia 7ª ad Isaia. S. Eusebio di Alessandria (vescovo di Laodicea) Omelia circa la Resurrezione; Theodorito, Epist. 77ª a I. Corinz. 3, 10; Al Evlalio, vescovo di Persia; S. Isidoro Pelusiota, Epist. 235ª 1; Theofilato a Matt. 16, 18; Hincmari del Reims, in Opuscoli XXVIII adversus Hincmarum Laudunensis episcopum, Vet. XIV; S. Ippolito al S. Epifania, 9. S. Paolino, Epistol. XXVII, ad Severum, 10.
[176] Epist. Giuda, 20.
[177] Genesi 49, 24.
[178] Matteo 21, 42; Marco 12, 10 ; Luca 20, 17.
[179] Vedi p. es. S. Cipriano, De Unitate Ecclesiae.
[180] S. Agostino, Retractationes, I, 21.
[181] S. Agostino, Omelia LXXVI, 1.
[182] S. Agostino, Omelia CCVC.
[183] S. Agostino, Omelia CCLXX, 1.
[184] S. Agostino, Tractatus CXXIV in Ioann.
[185] S. Agostino, Omelia CCVIL, 1.
[186] Efesini 2, 20.
[187] Apocalisse 21, 14.
[188] Epist. ai Tralliani 3, 1.
[189] S. Cipriano, Epist. XXXIII, in initio. Epist. XXVII, De Lapsis.
[190] Vedi S. Girolamo, Adversus Iovinianum, Lib. I.
[191] «(Il Signore), preferendo Pietro fra tutti gli altri Apostoli lo costituì quale Capo dell’Unità della Chiesa e quale fondamento visibile di essa, sulla saldezza del quale edificò l’eterno edificio della Chiesa». Bulla Pastor Aeternus, Constit. I, Introduct. (Denzinger, Enquiridion, 1667).
[192] Matteo 7, 26-27.
[193] S. Girolamo, Adversus Iovinianum, I. Vedi anche dello stesso: In Evangelo S. Matt., lib. VI.
[194] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, II.
[195] Ciò costituisce la principale obiezione contro il Primato Papale, che riferì l’Arcivescovo Strossmayer nel Sinodo del Vaticano. Durante il suo discorso, fu interrotto molte volte dagli altri Cardinali, membri del Sinodo, con le frasi: «rompete la bocca all’eretico» «Faccia silenzio il bestemmiatore!» ecc. (Vedi Kolnische Zeitung 13-7-1881). Anche l’Arcivescovo cattolico-romano Kenrick (San Louis, U.S.A.) pubblicò a Napoli, il 1850, un discorso che aveva approntato per leggerlo al Sinodo del Vaticano. In tal documento egli confessava: che il Primato del Papa è contrario alle rette interpretazioni della S. Scrittura, contrario agli atti dei Concili Ecumenici e agli insegnamenti dei SS. Padri. Per ignote cause, che non è difficile indovinare, questo discorso non fu tenuto al Sinodo. Da fonte non ufficiale tale mancanza fu giustificata con il pretesto che: «Il molto Rev. Kenrick aveva perduto già il suo portacarte quando giunse alla Città del Vaticano!». Qui si adattano molto bene le frasi di S. Attanasio relativamente ai seguaci di Apollinario: «Accecati dall’odio, tradiscono i messaggi dei Profeti e gl’insegnamenti degli Apostoli e gli ordini dei SS. Padri, e le stesse indiscutibili parole del Signore» (Dell’Incarnazione, Contro Apollinario I, 1).
[196] Ogni candidato all’Ordinazione nella Chiesa romana deve indispensabilmente giurare solennemente, fra le altre cose: «Credo fermamente che la Chiesa è stata edificata su Pietro, Principe della Gerarchia Apostolica e sopra i suoi successori» (Motu Proprio Sacrorum Antistitum, Pii X. Acta Sanctas Sedis, II 1910, 669-672).
[197] S. Ireneo, Contro Eresie, IV cap. 26.
[198] Papia (Eusebio, Storia Ecclesiastica IV, 22, 1-3).
[199] L’etimologia del termine «Cattolico» non si adatta a coloro i quali si staccarono dalla cattolicità della Chiesa.
[200] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, XVIII, 5.
[201] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, XX 1, 2.
[202] Tertulliano, De Praescriptionibus Haereticorum, cap. 21.
[203] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, X, 7 e 8.
[204] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, XI, 4.
[205] Ruiz Bueno, Padres Apostolicos. Introduccion, Madrid 1850.
[206] Idem, Introduccion.
[207] Le Camus, L’Oeuvre des Apótres, vol. II, pag. 29, Barcelona, 1909.
[208] Mgr. Le Camus, Ivi vol. I pag. 10.
[209] S. Policarpo di Smirne, Epistola ai Filippesi 7, 2.
[210] S. Cipriano, Epist. LXIII ad Caecilium Fratrum.
[211] Geremia 6, 16.
[212] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, XVII, 1, 2.
[213] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, XVII, 15.
[214] «Haberliam non potest Deam patrem, qui Ecclesiam non habet matrem». S. Cipriano, De Unitate Ecclesiae VI.
[215] «Hanc unitatem qui non tenet, Dei legem non tenet, non tene Patris et Filii fidem, vitam non tenet et salutem». Ivi.
[216] «Nec parentum nec maiorum nostrorum error sequendus est, sed autoritas Scripturarum et Dei docentis imperium». S. Girolamo. In Ierem., 1, 12.
[217] Tertulliano, De Virginibus Velandis, Cap, I.
[218] Pubblicato ad Atene sotto il titolo «Il viaggio e l’opera di S. Paolo in Spagna» (Ristampato dal periodico «Ecclesia» Marzo 1954).
[219] Vedi: Relazioni tra le Chiese Iberiche e le Chiese d’Africa, dal S. Cipriano a S. Agostino. Lux, Lisbona, 1950. Anche: Arcivescovo Inan B. Cabrera: La Iglesia en Espana, (Desde la Edad Apostolica hasta la invasione de los Sarracenos) Madrid, 1910.
[220] È però vero che oggi le cose sono fortunatamente molto differenti e possiamo prevedere che, con l’aiuto di Dio, nel prossimo futuro altre conversioni sicuramente saranno realizzate a cagione dell’interesse e dell’amore all’Ortodossia, per le quali continuamente combattiamo per aumentarle in Occidente.
[221] Giovanni 18, 36.
[222] Origene, Omelia 6ª in Isaia, 1.
[223] S. Gregorio Magno, Epistola a Giovanni, Patriarca di Costantinopoli (Libro V, epist. XVIII Ed. Bened. 1705).
[224] II Tessalonicesi 2, 4.
[225] Isaia 14, 13-14.
[226] Bernardus Claravalensis, ad Eugeuium Papam, De Consideratione, III, 1.
[227] Apocalisse 18, 3.
[228] Matteo 15, 3-9.
[229] Tertulliano, De Praescriptionibus Haereticorum, 42.
[230] Proverbi 30, 6.
[231] Giovanni 8, 44.
[232] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, IV, 7.
[233] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, XVII, 14.
[234] Apocalisse 18, 4.
[235] I passi Evangelici del Primato e l’interpretazione Patristica: Buenos Aires, 1951.
[236] Vedi p. e. l’Apologetica di Juan Ruano Ramos, per uso degli alunni delle Scuole Medie, Barcellona, 1948.
[237] Ecco come viene caratterizzata l’Ortodossia dai papisti: a) L’Ortodossia non è l’«una» Chiesa, perché si è allontanata dal centro dell’Unità, il quale centro sarebbe il Papa. b) Non è la «Santa» Chiesa, perché costituisce un tralcio distaccato dalla vite madre, in cui circolano la grazia e la santità: Questa vite madre sarebbe la Chiesa papale. c) Finì d’essere la «Cattolica» Chiesa, quando si staccò da Roma che sarebbe centro del Cattolicesimo. d) Non è nemmeno «Apostolica», in quanto non deriva dagli Apostoli, ma, dicono, da Fozio o/e da Cerulario. Ivi: parte II (cioè: Apologetica di Juan Ruano Ramos), contrassegni Distintivi della vera Chiesa di Cristo.
[238] Serge Boulgakoff, L’Orthodoxie, édit. Felix Alcan. Paris, 1933.
[239] Metropolite Seraphim, L’Eglise Ortodoxe. Payot, Paris, 1952.
[240] Tertulliano, De Prescript. Haeretic, XXI.
[241] Nuestro Dios, Vuestro Dios y Dios. Buenos Aires, 1951.
[242] Gli «Uniti» da «Unitas» costituiscono l’Ordine spionistico dei papisti di rito greco, i quali travestiti da Ortodossi operano proselitismo ai paesi e agli Stati Ortodossi.
[243] «Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus» S. Vincenzo, Comm. 23, 16.
[244] S. Vincenzo di Lerino, Commonitorium, 23, 16.
[245] Ivi.
[246] Epist. Giuda, 3.
[247] Galati 1, 8.
[248] Efesini 5, 27. Origene, a Esod. Omel. 9ª.
[249] Cantico dei Cantici 6, 9.
[250] S. Agostino, Serm. De Symbol. Catech. 40, 635.
[251] Vedi: Luca 10, 16.
[252] Matteo 18, 17.
[253] Vedi: Matteo 13, 44-46.

<>



Total Pageviews

Welcome...! - https://gkiouzelisabeltasos.blogspot.com